da: https://www.startmag.it/
- di Giuseppe Liturri
Il
Recovery Fund sarà come farsi intermediare dalla Commissione per prendere del
denaro in prestito (circa 60 miliardi potrebbe essere il nostro contributo, in
base al Pil, alla restituzione del debito) per poter, nella migliore delle
ipotesi, spenderlo attraverso i canali del budget Ue nei prossimi 3 anni. Con
annesse rilevanti condizioni in termini di destinazione della spesa e politiche
economiche del Paese.
Nel giorno in cui il Financial Times aveva sparato
a palle incatenate su Ursula Von Der Leyen e sulla sua capacità di guidare
la sua neo insediata Commissione, in particolare sulla (in)capacità di proporre
un Recovery fund (FD) degno di questo nome, Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno battuto un colpo per toglierla,
almeno momentaneamente, dallo stallo in cui è impantanata.
Stavolta niente Deauville, niente Meseberg.
È bastata una videoconferenza e 5 paginette di comunicato stampa per riuscire
ad iniettare un po’ di entusiasmo nelle vene di chi, come Federico Fubini sul Corriere della Sera, vagava sgomento per l’assoluta incapacità della Ue di concepire
soluzioni all’altezza della gravità della crisi che stiamo attraversando a
causa del COVID 19.
Premesso che si parla di un’intesa politica
che dovrà reggere all’esame in sede di Consiglio Europeo, sotto la regia del
presidente Charles Michael, che già a febbraio ha però dovuto registrare il
nulla di fatto per la definizione del prossimo bilancio pluriennale. Ed i primi
commenti giunti dal premier austriaco Sebastien Kurz non sembrano lasciar
presagire nulla di buono per il lavoro del Presidente Michel.
Ma vediamo per sommi capi di cosa si tratta:
- Le risorse distribuite agli Stati membri
attraverso il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 (QFP), saranno aumentate
con un apposito fondo di 500 miliardi,
non finanziato da risorse proprie (contributi degli Stati) ma con obbligazioni
a lungo termine emesse dalla Ue. Le garanzie
saranno prestate dagli Stati membri in
proporzione al Pil. Da notare che il bilancio UE prevede ogni anno una
distribuzione di risorse pari a circa 160 miliardi. Quindi verrebbe
praticamente raddoppiato il bilancio dei prossimi 3 anni.
- Le somme saranno spese a favore degli Stati più colpiti dalla pandemia. Non è
dato sapere secondo quale base di ripartizione. Il tutto avverrà sempre
nell’ambito del programma di bilancio Ue ed in linea con le priorità europee,
in particolare privilegiando gli investimenti verso la tutela dell’ambiente e
la digitalizzazione.
- Le risorse saranno spese focalizzandosi
sulle sfide poste dalla pandemia e saranno quindi complementari alle decisioni
di spesa delle risorse proprie. Avranno una entità ed una scadenza ben definita
e, soprattutto, saranno collegate ad un piano di rimborso vincolante il cui
orizzonte temporale supera quello del QFP.
- La base di partenza per i negoziati sarà
lo stato di avanzamento dei lavori raggiunto a febbraio, e l’obiettivo è quello
di rendere il fondo disponibile al più presto possibile.
- Il RF aggiuntivo sarà complementare agli
sforzi già intrapresi a livello nazionale ed al pacchetto di misure già
concordato a livello di Eurogruppo (Mes, Bei e Sure) e sarà inoltre fondato su
un chiaro impegno degli Stati membri a seguire un’agenda di riforme ambiziosa e
sane politiche economiche.
- Migliorare il sistema impositivo della Ue
resta una priorità. In particolare introdurre un’aliquota effettiva minima,
un’equa tassazione dell’economia digitale ed istituire una base imponibile
comune per le tasse societarie.
Cosa
c’è di buono per noi nel Recovery Fund?
- Si tratta
di contributi a fondo perduto, come ha subito sottolineato il Presidente
Giuseppe Conte, o di prestiti? Premesso che si tratta comunque di una somma ben inferiore ai 1.000/1.500 miliardi
di cui aveva parlato nelle settimane scorse il Commissario Paolo Gentiloni, si potrebbe affermare che formalmente sono contributi a fondo perduto,
in quanto inquadrati nelle risorse distribuite dal bilancio Ue. Ma resta un aspetto meramente formale, ammesso che
continui ad essere formulato in questi termini. La sostanza invece è quella
della stretta correlazione con un piano
di rimborsi. E quindi, a prescindere dalle definizioni, se ci sono dei rimborsi allora è un
prestito. O peggio, potrebbero pure aggiungersi
entrate proprie della Ue e cioè maggiori
tasse a carico anche dei contribuenti italiani. In un modo o nell’altro,
sono risorse che dovremo restituire alla UE.
- Ci
conviene il Recovery Fund? Lo sapremo definitivamente quando saranno chiarite e messe sul tavolo
definitivamente le seguenti cifre:
a) quanto
ci mettiamo a garanzia per emettere quei bond, quanto e come dovremo rimborsare
quelle somme raccolte sui mercati dalla Commissione emettendo obbligazioni?
b)
quanto riceveremo in sussidi?
c)
quali condizioni ci saranno per spendere quelle somme?
Anche
i bond emessi dell’EFSF a suo tempo per finanziare la Grecia al
collasso non furono stati contabilizzati
nel debito pubblico. Non appare quindi questo un grande pregio della
soluzione odierna.
Non bisogna dimenticare i termini della
nostra partecipazione al bilancio Ue: siamo
i terzi contribuenti ed i quinti
beneficiari. Nel 2018, il contributo netto al bilancio Ue è stato di circa
6 miliardi (differenza tra 16 miliardi di contributi erogati e 10 miliardi di
contributi ricevuti).
Ora, pur
con tutta la più buona volontà (ammesso che ci sia davvero) dei partner europei
di voler riversare i contributi sui Paesi e sui settori maggiormente colpiti, è
immaginabile che questa ripartizione
possa subire degli stravolgimenti a nostro favore? Al punto da farci diventare
beneficiari netti per una somma che abbia un qualche rilevanza a livello
macroeconomico? In altre parole, qualcuno ritiene che, alla fine della fiera, l’Italia possa essere beneficiaria netta di
una somma pari ad almeno 2/3 % del Pil (50 miliardi almeno)?
Ammesso e non concesso che ciò avvenga,
pensiamo sia una buona idea quella di mettere il nostro Paese definitivamente
sotto un’”ambiziosa agenda di riforme” e
“sane politiche economiche”, confiscando quel minimo di agibilità della
politica economica che ci è rimasta, dati i vincoli del Semestre Europeo e del
Patto di Stabilità e Crescita?
La migliore risposta l’ha data il professor Henrik Henderlein, direttore
dell’istituto Delors di Berlino, non certo un pericoloso covo di
antieuropeisti. Pur sottolineando gli aspetti positivi, Henderlein annovera tra gli aspetti negativi proprio la modesta solidarietà finanziaria e fa
l’esempio dell’Italia, per la quale il saldo tra contributo ricevuto e
debito da rimborsare non si conosce ancora. Conclude che la simbolicità
dell’operazione è sicuramente maggiore del concreto contributo che potremmo
riceverne.
In conclusione, il Recovery Fund sarà come farsi intermediare dalla Commissione per
prendere del denaro in prestito
(circa 60 miliardi potrebbe essere il nostro contributo, in base al Pil, alla
restituzione del debito) per poter, nella migliore delle ipotesi in ugual
misura, spenderlo attraverso i
canali del budget Ue nei prossimi 3
anni. Con annesse rilevanti
condizioni in termini di destinazione della spesa e politiche economiche
del Paese.
La scena delle 40.000 lire di Totò e Peppino torna prepotentemente alla memoria.
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