da: https://24plus.ilsole24ore.com/ - di
Giuseppe Chiellino
Su
1.900 miliardi di aiuti pubblici degli Stati membri autorizzati dalla Dg
Concorrenza, 1.000 riguardano misure di sostegno decise da Berlino per le
aziende tedesche. La Commissione è preoccupata per gli effetti distorsivi della
concorrenza nel mercato unico. La lezione per l’Italia
La Dg
Concorrenza della Commissione europea ha autorizzato finora circa 1.900
miliardi di euro di aiuti da parte degli Stati membri alle proprie aziende
per far fronte all’emergenza pandemica da coronavirus. Le maglie più larghe
adottate da Bruxelles da metà marzo non solo hanno drasticamente semplificato
le procedure e ridotto i tempi per le autorizzazioni che spesso arrivano nel
giro di 48 ore, anche durante i week-end, ma consentono agli Stati membri di
utilizzare tutta la flessibilità prevista dalle norme sugli aiuti di Stato per
sostenere l’ economia, anche in modo selettivo per sostenere i settori più
colpiti.
Al 30 aprile erano state autorizzate 127
misure nazionali, per 26 Stati membri più il Regno Unito. Ma come avverte un
portavoce della Dg che fa capo a Margrethe Vestager, i numeri cambiano di
giorno in giorno, in relazione tipo di misura in questione o perché gli Stati
membri hanno già detto che alzeranno gli importi.
Tutto bene, dunque? Non proprio. «Tutti gli aiuti di Stato approvati sono
stati necessari e proporzionati per sostenere le imprese» – spiega un
portavoce. «Tuttavia, vi sono enormi
differenze nell’ ammontare degli aiuti concessi dagli Stati membri, che
sembrano proporzionati alle
disponibilità di finanza pubblica che ciascun Paese ha e alla dimensione
delle rispettive economie». Basta andare guardare i dati dei singoli Paesi per
capire qual è il problema: il 52% degli
aiuti approvati riguarda la sola Germania, quasi mille miliardi di euro.
Molto
staccate ci sono Italia e Francia con il 17% degli aiuti autorizzati, 320
miliardi circa ciascuna. E poi gli altri: il Regno Unito al
4%, il Belgio al 3% e tutti gli altri sotto il 2%, compresa la Spagna, il Paese
Ue con il maggior numero di contagiati. Senza contare che «l’ effetto economico
delle misure di aiuto approvate è diverso, alcuni provvedimenti riguardano
sovvenzioni dirette a fondo perduto, altri prestiti e garanzie».
Insomma, ce n’è abbastanza per far suonare
un vigoroso campanello d’allarme per le conseguenze che questa situazione può
produrre nel mercato unico, trasformando una crisi sanitaria simmetrica in una
crisi economica asimmetrica, al termine della quale l’Unione si sveglierà con
divari tra “ricchi e poveri” ancora più ampi di oggi.
In un clima che richiama il “liberi tutti”,
c’è anche chi – è il caso dell’ Austria – vorrebbe eliminare la notifica
ex-ante o addirittura abolire le regole sugli aiuti pubblici alle imprese,
superando anche i limiti previsti dal temporry framework (800mila euro per
ciascuna impresa, oltre ai 200mila previsti dal regime de minimis) introdotti
proprio per evitare che gli Stati membri con finanze pubbliche più floride
elargiscano alle proprie imprese aiuti eccessivi provocando quelle che
Bruxelles definisce «indebite distorsioni alla parità di condizioni nel mercato
unico».
«Qualche paese vorrebbe farlo, non può
farlo ma non si può escludere con lo stia già facendo» osserva un funzionario.
Il rischio, dunque, è che gli Stati che possono permetterselo, i deep pockets,
in questa fase ricoprano di soldi le proprie imprese, rafforzandole rispetto a
quelle di altri Paesi e falsando la concorrenza nel mercato unico. Perciò
Bruxelles resiste: «Il controllo degli aiuti di Stato è necessario per
preservare il mercato unico Ue e la coesione nell’ Unione e per consentire all’
economia europea di riprendersi dalla crisi attuale e ripartire con forza». Non
si può tacere, però, la lezione che l’ Italia dovrebbe trarre: risanare i conti
pubblici quando l’ economia lo consente, permette di mettere sufficiente fieno
in cascina per le situazioni di crisi cjhe prima o poi arrivano.
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