venerdì 15 maggio 2020

Non sparate sul pianista Giuseppe Conte




Ora che ho preso gusto con i titoli acchiappa-click, vorrei brevemente spiegare ai miei lettori perché questo tiro al piccione è diventato stucchevole, allo stesso modo in cui il premier pro tempore non è Moro: né Aldo, né Tommaso.

Lo sport nazionale pare infatti essere diventato quello di imputare ogni nequizie a questo avvocato e docente universitario, uscito dal nulla un paio di anni addietro, da candidato ministro dei 5S come “tecnico di area” e divenuto poi presidente del consiglio di un improbabile contratto all’italiana (malgrado i soliti provinciali orgoglioni di casa nostra avessero sbraitato di ispirarsi a quello “alla tedesca”), ed ora in grado di muoversi con relativa scioltezza nel materiale di colliquazione della politica italiana, portando alcuni king maker immaginari di varie epoche, da Eugenio Scalfari a Marco Travaglio, a vedere in lui la “sorpresa” di un paese specializzato in scherzi di pessimo gusto ai propri sudditi, gentilmente ottriati di suffragio universale.

Una domanda: ma voi cosa credevate, esattamente? Che da questa devastazione pandemica avremmo posto le basi per una rinascita nazionale? Oppure che il mainstream di questo paese, a livello di opinione pubblica e classe politica, convinto sia possibile essere un felice connubio tra Unione Sovietica, socialdemocrazie scandinave e suk arabi, magari a colpi di stampa di cartamoneta, produce necessariamente partiti i cui programmi sembrano
fotocopiati ed inseguono il “diritto alla felicità” come potrebbe farlo lo strafatto partecipante ad un rave party?

Prendete il Decreto Rilancio. Enorme, abnorme, un catalogo di micromisure di “sostegno” necessitato, né migliore né peggiore di quelle viste in questi lustri. Misure che spesso sono il frutto di prassi di logrolling in uso in tutte le democrazie del pianeta. Cosa è il logrolling? Quella cosa per cui se io gratto la schiena a te, tu la gratti a me. Nulla di scandaloso, sia chiaro: il Congresso americano è il monumento al logrolling. Da noi, per motivi imperscrutabili, tale operatività tende a produrre giochi a somma negativa anziché lievi progressi.

Ma davvero pensate sia colpa di Conte? Toglietevelo dalla mente. Arrivato come comparsa e prestanome del consiglio, col celeberrimo “Luigi, posso…?” “NO!”, ha finito col prendersi tutto lo spazio reso possibile da una coalizione nata già in decomposizione, intenta a sbranarsi in nome del popolo sovrano con proposte che spesso manco il Barone di Münchhausen. Conte media, tesse, taglia, cuce, infaticabile. Per ambizione personale? Si, e allora? Volevate il dottor Schweitzer, in quella posizione?

E pensate quanto è comodo, Conte: serve all’opposizione -ed alla stessa maggioranza, a rotazione- come bersaglio a cui sparare addosso. Poi, quando l’opposizione si trasforma in maggioranza, ecco che inizia il teatrino: intralci, problemi, vertici, verifiche, attriti, retroscenisti nascosti nel bagagliaio dell’auto, mediazioni, implosione finale spesso con coalizioni di governo che nascono vitali come Cernienko sulla Piazza Rossa mentre qualcuno alle sue spalle lo sorreggeva e gli alzava il braccio a salutare il popolo. E dopo qualche settimana, l’immancabile morte per influenza. E non era una pandemia.

La variazione sul tema dell’impotenza di coalizione è quella del bullo di periferia che scappa di notte, in una calda notte di agosto. Ma questa la sapete, vero? La cosa che non smetterà mai di affascinarmi sono le coalizioni italiane: veri e propri monoliti di tufo. Quelle di destra, poi, sono suggestive: hayekiani dall’opposizione, keynesiani di rito sudamericano quando sono maggioranza.

Ecco, il nostro paese produce coalizioni oniriche, dove le briciole della torta sono ormai velenose, e dove un figurante può quindi innalzarsi al ruolo di statista. Bella la Prima Repubblica, quella degli statisti veri, si dice. Può essere: forse, in realtà, quella dove c’erano ancora risorse fiscali per dare la mancia a tutti ed apparire come statisti che non devono impiccarsi ai consigli dei ministri salvo intese per strapparsi di mano gli ultimi brandelli rimasti della carcassa putrefatta e devastata dai bonus fiscali.

Allora non prendetevela con Giuseppe Conte, pianista di un bar che farebbe invidia a quello di Guerre Stellari. Lui è solo il prodotto di un sistema giunto al capolinea. E, a dirla tutta, in questo ruolo è anche bravo.

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