Ora che ho preso gusto con i titoli
acchiappa-click, vorrei brevemente spiegare ai miei lettori perché questo tiro
al piccione è diventato stucchevole, allo stesso modo in cui il premier pro
tempore non è Moro: né Aldo, né Tommaso.
Lo sport nazionale pare infatti essere
diventato quello di imputare ogni nequizie a questo avvocato e docente
universitario, uscito dal nulla un paio di anni addietro, da candidato ministro
dei 5S come “tecnico di area” e divenuto poi presidente del consiglio di un
improbabile contratto all’italiana (malgrado i soliti provinciali orgoglioni di
casa nostra avessero sbraitato di ispirarsi a quello “alla tedesca”), ed ora in
grado di muoversi con relativa scioltezza nel materiale di colliquazione della
politica italiana, portando alcuni king maker immaginari di varie epoche, da
Eugenio Scalfari a Marco Travaglio, a vedere in lui la “sorpresa” di un paese
specializzato in scherzi di pessimo gusto ai propri sudditi, gentilmente
ottriati di suffragio universale.
Una domanda: ma voi cosa credevate,
esattamente? Che da questa devastazione pandemica avremmo posto le basi per una
rinascita nazionale? Oppure che il mainstream di questo paese, a livello di opinione
pubblica e classe politica, convinto sia possibile essere un felice connubio
tra Unione Sovietica, socialdemocrazie scandinave e suk arabi, magari a colpi
di stampa di cartamoneta, produce necessariamente partiti i cui programmi
sembrano
fotocopiati ed inseguono il “diritto alla felicità” come potrebbe
farlo lo strafatto partecipante ad un rave party?
Prendete il Decreto Rilancio. Enorme,
abnorme, un catalogo di micromisure di “sostegno” necessitato, né migliore né
peggiore di quelle viste in questi lustri. Misure che spesso sono il frutto di
prassi di logrolling in uso in tutte le democrazie del pianeta. Cosa è il
logrolling? Quella cosa per cui se io gratto la schiena a te, tu la gratti a
me. Nulla di scandaloso, sia chiaro: il Congresso americano è il monumento al
logrolling. Da noi, per motivi imperscrutabili, tale operatività tende a
produrre giochi a somma negativa anziché lievi progressi.
Ma davvero pensate sia colpa di Conte?
Toglietevelo dalla mente. Arrivato come comparsa e prestanome del consiglio,
col celeberrimo “Luigi, posso…?” “NO!”, ha finito col prendersi tutto lo spazio
reso possibile da una coalizione nata già in decomposizione, intenta a
sbranarsi in nome del popolo sovrano con proposte che spesso manco il Barone di
Münchhausen. Conte media, tesse, taglia, cuce, infaticabile. Per ambizione
personale? Si, e allora? Volevate il dottor Schweitzer, in quella posizione?
E pensate quanto è comodo, Conte: serve
all’opposizione -ed alla stessa maggioranza, a rotazione- come bersaglio a cui
sparare addosso. Poi, quando l’opposizione si trasforma in maggioranza, ecco
che inizia il teatrino: intralci, problemi, vertici, verifiche, attriti,
retroscenisti nascosti nel bagagliaio dell’auto, mediazioni, implosione finale
spesso con coalizioni di governo che nascono vitali come Cernienko sulla Piazza
Rossa mentre qualcuno alle sue spalle lo sorreggeva e gli alzava il braccio a
salutare il popolo. E dopo qualche settimana, l’immancabile morte per
influenza. E non era una pandemia.
La variazione sul tema dell’impotenza di
coalizione è quella del bullo di periferia che scappa di notte, in una calda
notte di agosto. Ma questa la sapete, vero? La cosa che non smetterà mai di
affascinarmi sono le coalizioni italiane: veri e propri monoliti di tufo. Quelle
di destra, poi, sono suggestive: hayekiani dall’opposizione, keynesiani di rito
sudamericano quando sono maggioranza.
Ecco, il nostro paese produce coalizioni
oniriche, dove le briciole della torta sono ormai velenose, e dove un figurante
può quindi innalzarsi al ruolo di statista. Bella la Prima Repubblica, quella
degli statisti veri, si dice. Può essere: forse, in realtà, quella dove c’erano
ancora risorse fiscali per dare la mancia a tutti ed apparire come statisti che
non devono impiccarsi ai consigli dei ministri salvo intese per strapparsi di
mano gli ultimi brandelli rimasti della carcassa putrefatta e devastata dai
bonus fiscali.
Allora non prendetevela con Giuseppe Conte,
pianista di un bar che farebbe invidia a quello di Guerre Stellari. Lui è solo
il prodotto di un sistema giunto al capolinea. E, a dirla tutta, in questo
ruolo è anche bravo.
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