«Per colpa di qualcuno non si fa credito a
nessuno». L’antico adagio affisso come monito in larga parte dei bar e dei
caffè italiani riassume uno dei temi centrali di queste settimane: mai come
oggi i cittadini vorrebbero usare il più possibile l’autocertificazione per
sgusciare tra i reticoli della cattiva burocrazia e avere nei tempi più brevi i
soldi loro destinati e mai come oggi sono in tanti a chiedersi: possiamo
fidarci fino in fondo?
Finora no, sul tema non abbiamo avuto molti
buoni esempi. Quasi 5 miliardi in euro attuali sono costate all’Italia le multe
per le quote latte dovute, secondo l’ultima sentenza della primavera 2019 a
«dati non veritieri fondati su autodichiarazioni spesso false». Altri cinque
sono stati rubati in un solo quinquennio all’Italia e alla Ue dalla «Mafia dei
pascoli» dove, spiega l’ex presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci
sfuggito a un attentato dopo aver denunciato la mega truffa, «tutto ruotava
intorno alle autocertificazioni false, in Sicilia come in Calabria».
Per dirla con l’avvocato Caterina
Malavenda, «le autocertificazioni sono una benedizione per le persone oneste
che possono scampare a pedaggi burocratici spesso insuperabili, ma una
istigazione a delinquere, purtroppo, per quelli che tanto onesti non sono». «E’
così, ma proprio per questo qui occorre coniugare due esigenze», sospira il
Procuratore della Repubblica di Milano Francesco Greco, che insieme col collega
Giovanni Melillo, procuratore a Napoli, denuncia da settimane che mentre il
governo
sta attivando «una gigantesca iniezione di liquidità nel mercato delle
imprese» loro avvertono «tutto il peso dell’inadeguatezza degli strumenti di
controllo» col pericolo di «distorsioni applicative in grado di favorire
indebite erogazioni e persino i processi di accumulazione patrimoniale tipici
del crimine organizzato».
Il tema è: si possono conciliare l’assoluta
necessità di distribuire al più presto quei contributi economici di cui tanti
italiani hanno bisogno e insieme la non meno assoluta necessità di arginare i
peggiori (probabili) assalti alla diligenza? Tutti d’accordo: meno scartoffie e
più velocità possibile. Ma possiamo permettercelo in un paese come il nostro
dove la semplificazione introdotta nel ‘97 partì benissimo tra l’entusiasmo di
Carlo Azeglio Ciampi («Mi diceva l’altro giorno Franco Bassanini che in alcuni
comuni l’emissione di certificati si è ridotta del 70%: una svolta culturale,
storica») ma è stata via via infettata da una miriade di furbizie
inaccettabili?
Come dimenticare le circa cinquemila
matricole «sedicenti nullatenenti» all’Università della Bicocca ridotte del 90%
alle prime verifiche, le 521 autodichiarazioni false contro 327 veritiere
controllate a campione alla Sapienza, i 96 tassisti romani con la fedina penale
auto-ripulita (serviva al rinnovo della licenza) grazie alla «magica» carta
autocertificata, i 321 dipendenti comunali napoletani denunciati perché si
erano gonfiati lo stipendio autocertificando di avere a carico una massa di
nonne, suoceri, zie, cugini e consuocere? O ancora le decine di migliaia di
falsi braccianti e falsi disabili e falsi poveri che hanno rubato somme immense
ai veri braccianti, i veri disabili, i veri poveri?
Il fatto è che a dispetto di oltre
vent’anni di imbrogli di ogni genere, i reati connessi alle autocertificazioni
false (anche quando sono vergognose) sono puniti con pene, diciamo così, non
molto severe: dalla ramanzina a un massimo di due anni con la sospensione della
pena, arresto non consentito, fermo non consentito, carcerazione non consentita...
Per rischiare davvero il carcere chi dichiara il falso deve farla grossa,
impossessandosi ad esempio di pubblico denaro, italiano o europeo, con la
truffa aggravata. Se no, ciao.
«Mettiamola così», accusa il procuratore
Greco, «Tutte le norme si fanno normalmente col bastone e la carota. Il vizio
italiano è non metterci mai il bastone. E se il furbo sa che non rischia niente
è un guaio...» Urge un bastone, si capisce, severo ma proporzionato al reato,
alle circostanze, alle persone, ai tempi. Che non terrorizzi quanti sono
perbene ma scoraggi finalmente quanti pensano di potersela cavare sempre. Una
carota e un bastone che sappiano distinguere.
Quindi? Ne stanno discutendo governo,
parlamento, partiti, magistrati. «Fate presto!», chiedono i cittadini. Il buon
senso suggerisce una via di mezzo. Massima fiducia nel senso di responsabilità
delle persone, con il controllo vero, però, appena possibile, di quelle
auto-certificazioni prese oggi per buone. Massima attenzione nel non lasciare
porte aperte a quanti probabilmente stanno già cercando di sfruttare la
situazione come sfruttarono il terremoto in Irpinia, quello all’Aquila, le
inondazioni e gli altri disastri più o meno «naturali».
Propongono ad esempio i due procuratori di
Napoli e Milano, per non correre il rischio che i soldi per arrivino «fra una
decina d’anni», di alleggerire il più possibile le verifiche preventive sugli
aiuti fino ai 25.000 («Tanto vale che siano dati subito, dato che parliamo di 4
o 5 miliardi sui 400 annunciati, come fossero una sorta di aiuto di
cittadinanza: un’autocertificazione ben fatta, seria, in cui uno dichiara
diverse cose, senza dover fornire un pacco di allegati che di questi tempi
rischierebbero di essere solo carta...», dice Greco) con un inasprimento delle
sanzioni che permetta di affrontare con strumenti più sicuri il bersaglio
grosso: i grandi affari a volte legati a mondi ambigui se non addirittura alla
criminalità.
Punto primo: dato che questi soldi vengono
dati a chi ha subìto danni dall’emergenza Coronavirus, siano vincolati a
questo. «Se porti soldi all’estero o li usi per cose che non c’entrano con
l’emergenza Covid-19, violi il patto con lo Stato». Difficile non essere
d’accordo. La domanda è: accetterà, la politica, questi consigli? O li leggerà
come una nuova intromissione dei giudici in temi che spettano alla politica
respingendoli ai mittenti?
Né mancheranno strascichi polemici, tra il
mondo della grande impresa e la magistratura su un altro punto sul quale
procuratore di Milano non fa mistero delle sue opinioni: «Francamente non
capisco perché se vai a mettere la holding in Olanda i soldi non li vai poi a
chiedere in Olanda. È una cosa che stride col senso comune». Tema
spinosissimo... «Sì, ma una delle poche cose buone di questi tempi di
coronavirus è che i temi spinosissimi vengono tirati fuori e messi in chiaro:
tu da che parte stai?».
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