Prima è caduto il muro del patto di
stabilità. Poi è arrivata la mossa della Banca centrale per tenere a bada gli
spread, influenzati dall’aumento del costo dei debiti pubblici nazionali.
Parallelamente, altri flussi di denaro si sono aperti: sia per chi ha perso il
lavoro (il Sure), sia per le piccole e medie imprese (attraverso la Banca
europea degli investimenti). E poi si è sfrondato il vecchio Mes dalle sue
condizioni-capestro (Pandemic crisis support). Tutti strumenti con i quali, di
fronte all’emergenza covid-19, l’Unione europea ha superato i limiti delle
politiche dell’austerità, consentendo maggior debito pubblico e privato.
Con la proposta della Commissione
presentata dalla presidente Ursula von der Leyen – intitolata “Next generation
Eu” – si fa un passo in più, prevedendo 750 miliardi di euro per sostenere la
ripresa economica dopo la pandemia: cinquecento miliardi saranno trasferimenti
e 250 prestiti aggiuntivi ai programmi citati. I cinquecento miliardi di quello
che prima era chiamato “recovery fund” non sono prestiti che i singoli paesi
dovranno rimborsare, ma trasferimenti, sussidi: stavolta “parliamo di soldi
veri”, ha scritto Martin Sandbu sul Financial Times.
I “soldi veri” l’Unione li raccoglierà sul
mercato, dove potrà contrarre debiti a condizioni più favorevoli dei singoli
stati. E sarà la stessa Unione a ripagarli. Il “momento dell’Europa” – altro
titolo usato nei documenti della Commissione – non è ancora un “momento
Hamilton”,