Arresti
di massa e senza mandato, interrogatori con sputi, pugni, scosse elettriche sui
genitali e unghie strappate. Mentre anche la stampa e le Ong sono nel mirino
della legge. Così il governo al-Sisi porta avanti la legalizzazione della
repressione. Mentre l'Onu si interessa solo di facciata. E anche l'Italia
rimane incoerente.
Non solo Giulio
Regeni, non solo Patrick
George Zaki. Nelle carceri egiziane le torture sono diventate il
metodo sistematico utilizzato nei confronti di chi si ritiene, senza alcuna
prova concreta e dopo soltanto dei processi sommari, un «nemico politico».
LE
STIME: 60 MILA PRIGIONIERI POLITICI
Le ultime stime – negate dal governo di
Abdel Fattah al-Sisi e ritenute invece al ribasso da diversi Organizzazioni non
governative – parlano di 60 mila prigionieri politici. Non solo. Come spiega a
Lettera43.it il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, «dal
2014 una sessantina di prigionieri arrestati non hanno più visto i propri
familiari. E oltre 700 persone sono morte per diniego di cure mediche, come nel
caso dell’ex
presidente Mohamed
Morsi.
Anche tale diniego è ufficialmente riconosciuto come “tortura” dal 2017».
ARRESTI
CON RAID E SENZA ALCUN MANDATO
Ma sono le modalità di detenzione, quasi
scientifiche, che lasciano senza parola. A rivelarle è stato un recente e
dettagliato rapporto di Human Rights Watch che parla, non a caso, di «catena di
montaggio», in base alle testimonianze di ex detenuti. Nonostante la legge
egiziana precisi che gli agenti di polizia non possono «arrestare, detenere o limitare la libertà di nessuno in alcun modo se non in virtù di un ordine giudiziario motivato richiesto nel contesto di una investigazione», a nessuno degli intervistati dall’Ong questo trattamento è stato garantito. Nella maggior parte dei casi sono stati arrestati in raid mattutini a casa loro o in luoghi mirati (posto di lavoro o università), senza alcun mandato e con agenti spesso in abiti civili.
egiziana precisi che gli agenti di polizia non possono «arrestare, detenere o limitare la libertà di nessuno in alcun modo se non in virtù di un ordine giudiziario motivato richiesto nel contesto di una investigazione», a nessuno degli intervistati dall’Ong questo trattamento è stato garantito. Nella maggior parte dei casi sono stati arrestati in raid mattutini a casa loro o in luoghi mirati (posto di lavoro o università), senza alcun mandato e con agenti spesso in abiti civili.
GLI
ABUSI COMINCIANO NELLE STAZIONI DI POLIZIA
Ma siamo solo all’inizio. Dopo aver
trasportato il sospettato spesso bendato e legato, gli abusi cominciano già
nelle stazioni di polizia, dove gli interrogatori si alternano a sputi, offese,
minacce, in un crescendo che porta il detenuto a essere nudo e in posizioni di
stress. Se non si ottiene una confessione, vera o falsa che sia, comincia la
vera tortura. Secondo le testimonianze raccolte da Human Rights Watch gli
agenti di sicurezza nazionale utilizzano spesso una pistola stordente elettrica
in luoghi sensibili come l’orecchio o la testa. E poi schiaffi, pugni, percosse
con barre di metallo.
SCOSSE
ELETTRICHE ANCHE SUI GENITALI
Tutte pratiche che caratterizzano l’ormai
tristemente nota Tashrifa, «festa di benvenuto» in arabo. «Se il sospettato non
fornisce risposte soddisfacenti», continua il report, «gli agenti di sicurezza
aumentano la durata delle scosse elettriche e usano la pistola stordente su
altre parti del corpo del sospettato, includendo quasi sempre i suoi genitali.
Durante gli interrogatori in alcuni casi si sostituiscono le pistole con fili
elettrici».
MESSI
A TESTA IN GIÙ E VIOLENTATI
Nel caso in cui non si ottiene la sperata
confessione, le torture peggiorano. Si va dalla sospensione a testa in giù,
appesi a una corda e il continuo stordimento con la pistola elettrica fino ai
colpi ai genitali con mazze di ferro. Ci sono testimonianze che parlano anche
dell’utilizzo di materassi inumiditi e collegati all’elettricità col detenuto
ammanettato e steso sopra. A Fayoum, secondo altri resoconti, ci sarebbe una
“Camera infernale” in cui le pratiche diventano ancora più dure: dagli abusi
sessuali, di gruppo o con mazze di ferro, fino allo choc elettrico sui denti
del giudizio per far sanguinare le gengive.
IL
CASO DEL 18ENNE CON LE UNGHIE STRAPPATE
Non viene tralasciato nessuno, neanche i
più giovani. Karim (nome di fantasia) è stato arrestato a soli 18 anni per aver
partecipato a una protesta nel suo villaggio rurale alle porte del Cairo.
Durante i primi giorni di tortura, accanto a percosse e stordimenti, gli sono
state strappate con le pinze e addirittura con morsi le unghie delle dita. «Gli
ufficiali», continua il report, «hanno tenuto Karim nella sua cella per altri
tre o quattro giorni prima di farlo uscire di nuovo. Gli fecero fatto domande
su dove abitavano i suoi amici. Karim affermò di non ricordare dove abitavano e
disse che non avrebbe aiutato la polizia a trovarli. “Bene, ok”, disse un uomo.
“Portalo in frigo”».
LA
STANZA DEL FREDDO E LA CELLA DI 1,5 METRI PER 3
La polizia ha messo allora Karim in una
piccola stanza dove sembrava che fossero in funzione due condizionatori d’aria:
faceva molto freddo e la polizia ha tenuto Karim lì per circa un giorno vestito
di sole mutande. «Successivamente, riportarono Karim nella sua cella, che
misurava circa 1,5 per 3 metri, per circa 15 giorni».
TEMA
DEI DIRITTI UMANI AFFRONTATO SOLO DI FACCIATA
Quello che sta accadendo in Egitto, dunque,
è una continua legalizzazione della repressione. E poco hanno fatto anche le
istituzioni internazionali: «Il tema del rispetto dei diritti umani», spiega
Noury, «è affrontato solo di facciata. Nel 2019 addirittura l’Onu avrebbe
voluto organizzare la conferenza mondiale contro la tortura proprio in Egitto.
Solo grazie all’impegno di diverse Ong siamo riusciti a evitare tale
assurdità».
STAMPA
E ONG NEL MIRINO DI AL-SISI
E nel frattempo sono tante le leggi
draconiane approvate nel corso degli anni. Nel 2017 è stato varato un
provvedimento che consente alle autorità di negare il riconoscimento delle Ong,
di limitarne attività e finanziamenti. Nel 2018 è toccato a leggi sui mezzi
d’informazione, che hanno esteso ulteriormente i poteri di censura sulla
stampa: da allora si stima che le autorità egiziane abbiano bloccato almeno 513
siti web. Una serie di emendamenti controfirmati da al-Sisi già nel 2017 ha poi
conferito alle autorità il potere di eseguire arresti di massa. E in questo ha
giocato un ruolo-chiave la procura suprema per la sicurezza dello Stato,
responsabile delle indagini sulle minacce alla sicurezza nazionale. Non a caso,
dalla salita al potere di al-Sisi, il numero dei casi trattati dalla Procura
suprema è aumentato di tre volte: da 529 nel 2013 a 1.739 nel 2018.
E anche l’Italia, davanti a questi numeri,
preferisce tacere: «L’atteggiamento del nostro Paese continua a essere
incoerente», dice Noury. «I rapporti economici sono sempre più floridi specie
nel settore delle armi e in quello energetico. Però poi si continua a
pretendere che si faccia il massimo per la verità sulla morte di Giulio Regeni.
Se gli interessi umani avessero prevalso su quelli economici, la verità sarebbe
già venuta fuori».
Nessun commento:
Posta un commento