da: https://www.lettera43.it/
- di Francesco Peloso
L’intervento
dal sagrato della basilica vaticana rappresenta fino ad ora, sia pure in una
chiave religiosa e cristiana, una delle poche espressioni di leadership a
livello mondiale capace di dare una lettura complessiva dalla pandemia: non
solo sanitaria ma anche sociale.
Nella lunga notte della pandemia papa
Francesco ha provato a indicare una strada: quella di un cammino condiviso
costruito sulla solidarietà e la fratellanza – illuminato dalla fede cristiana
ma il discorso ha valore universale – per sconfiggere il coronavirus; se
infatti la battaglia sanitaria e sociale per superare un momento tanto aspro e
difficile sarà lunga, essa potrà essere vinta, secondo il vescovo di Roma, solo
se si ci si ricorderà di quella appartenenza comune «alla quale non possiamo
sottrarci: l’appartenenza come fratelli».
Sul sagrato di san Pietro il papa, da solo,
sotto la pioggia, nella serata di venerdì 27 marzo, ha presieduto un momento di
preghiera «in tempo di pandemia». Bergoglio ha pronunciato la sua omelia e
impartito la benedizione urbi et orbi davanti a una piazza deserta, fatta
eccezione per gli uomini della pubblica sicurezza, immersa in un clima plumbeo;
ma, per una volta, la piazza virtuale di quanti hanno visto il pontefice dalle
tivù e dai computer chiusi nelle proprie case, è stata davvero immensa.
L’intervento pubblico di Francesco arriva in giorni particolarmente difficili:
in Italia migliaia di morti mentre il Covid-19 ha toccato nuovi allarmanti
record di diffusione e vittime dagli Stati Uniti, alla Spagna, alla Francia.
Nel frattempo, quasi in evidente contrasto
con quanto affermato dal papa, i Paesi che compongono l’Ue non riescono a
trovare una strategia comune per scongiurare il rischio che la crisi
determinata dal virus dilaghi in tragedia sociale. Non solo: in qualche caso
anche la collaborazione sanitaria ha trovato ostacoli. Senza contare che la
pandemia continua a diffondersi senza tener conto delle frontiere, della
geopolitica, dei divari economici, scientifici e tecnologici fra le varie
nazioni. Per questo, dice il papa, è urgente rivedere le priorità nella vita
degli Stati come in quella delle comunità.
DAL
PONTEFICE UN MONITO PER COSTRUIRE UNA SOCIETÀ PIÙ GIUSTA
In particolare Francesco, ha voluto mettere
al centro dei riflettori categorie che si solito «non compaiono nelle
passerelle dell’ultimo show»: tutti quelli che mostrano come l’esistenza
quotidiana di ciascuno di noi non sia in realtà sostenuta dalla smania del
possesso e dell’egoismo, ma da persone comuni che «stanno scrivendo oggi gli
avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermieri e infermiere,
addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze
dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno
compreso che nessuno si salva da solo». Il messaggio è andato però anche oltre
le cronache drammatiche di queste settimane, il discorso si è infatti allargato
allo scenario globale.
Se oggi, ha ricordato il pontefice,
imploriamo il Signore dal mare agitato in cui la pandemia ha portato le nostre
vite, allo stesso tempo troppe volte siamo stati sordi alla voce di Dio: «Di
fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei
poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti,
pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato». Se l’omelia contiene
dunque un invito forte e affettuoso a superare la crisi insieme, il monito è
altrettanto severo: solo se le scelte che metteremo in campo per superare la
pandemia diventeranno le nostre scelte del futuro, costruiremo società più
giuste a capaci di affrontare i tornanti più complessi della storia.
IL
PAPA HA DATO UNA LETTURA COMPLESSIVA DELLA CRISI SCATENATA DAL VIRUS
L’immagine solitaria del papa in piazza san
Pietro è destinata in ogni caso a restare nell’immaginario collettivo di questa
cattività di massa. Già la passeggiata di Francesco lo scorso 15 marzo in una
via del Corso vuota in un tardo pomeriggio dal clima già primaverile aveva
destato scalpore. Anche in quell’occasione Bergoglio stava andando a pregare
(nella chiesa di San Marcello al Corso); ma lungi dal rappresentare un invito
implicito alla violazione delle misure restrittive imposte dal governo,
quell’uscita interpretò invece il bisogno di molti si sentire che fra la paura,
le clausure autoimposte, e le interviste preoccupanti agli epidemiologi, vi
fosse anche un segno di vicinanza, uno sguardo che restasse umano nella
sequenza drammatica dei fatti.
L’intervento dal sagrato della basilica
vaticana rappresenta fino ad ora, sia pure in una chiave religiosa e cristiana,
una delle poche espressioni di leadership a livello mondiale capace di dare una
lettura complessiva della crisi scatenata dalla pandemia. Forse l’unico altro
leader riconosciuto – almeno in Europa – ad aver proposto una interpretazione
forte e autorevole degli avvenimenti in corso – questa volta sul piano
economico – è stato l’ex governatore della Banca centrale europea, Mario
Draghi, che non a caso ha chiesto all’Ue, ai governi e agli istituti di
credito, di collaborare facendo il massimo sforzo per evitare che dalla crisi
sanitaria si passi a un’epidemia sociale. Infine, in una prospettiva più
italiana ma non solo, anche il presidente Sergio Mattarella ha fatto sentire la
sua voce chiedendo all’Europa di intervenire prima che sia troppo tardi, ed è
giusto sottolineare in questo quadro la costante sintonia fra Quirinale e Santa
Sede.
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