da: https://www.corriere.it/esteri/ - di Marta Serafini
Amr Abdelwahab, ex matricola all’Università del Cairo, all’indomani del rinnovo della custodia cautelare chiede sostegno per lo studente dell’Università di Bologna in carcere da oltre un anno
«Ho studiato con Patrick nella stessa università del Cairo dal 2008 al 2012, non eravamo nemmeno nella stessa facoltà ma solo nella stessa università. Dopo la rivoluzione del 2011 facevamo parte dei gruppi di attivisti dell’università ed è così che siamo diventati amici».
Amr Abdelwahab è uno studente di ingegneria informatica, oggi vive a Berlino e dalla Germania — mentre viene rinnovata la custodia cautelare per Zaki di altri 45 giorni — racconta di quel suo amico rinchiuso nel carcere di Tora in Egitto. «L’ultima volta che ho incontrato Patrick è stato a Bologna nel novembre 2019 e abbiamo viaggiato insieme fino a Firenze e abbiamo trascorso alcuni giorni insieme a Bologna».
Ad Amr abbiamo chiesto notizie della famiglia di Patrick, dato che il padre del giovane è ancora ricoverato in ospedale e dopo che la madre ieri ha incontrato il figlio in carcere, dove l’ha trovato provato ma grato per il sostegno ricevuto dall’Egitto e dall’Italia. «Sono devastati, lo stato di salute del padre di Patrick si sta deteriorando, la sorella e la madre sono esauste. Un anno fa non sapevano nulla di questa roba e ora
devono correre in giro cercando di capire come visitare il loro figlio in prigione o capire le strane e incomprensibili leggi egiziane. La condizione di suo padre non è grave ma sta peggiorando sempre di più nell’ultimo anno. È ancora ricoverato in ospedale e continua a dire che starà meglio solo se gli portano Patrick», spiega.Nelle ore di attesa per la decisione dei magistrati egiziani dopo l’ennesima udienza per il rinnovo della custodia cautelare, come sempre amici, sostenitori e attivisti hanno postato notizie e aggiornamenti. Ma è il senso di incertezza e di impotenza a dominare, mentre l’apparato egiziano continua a vessare Patrick e tutti gli altri egiziani rinchiusi in carcere come oppositori. «Come attivisti egiziani operiamo secondo il modello del “Non aspettarsi mai niente”, perché le dittature operano sulla base della casualità. Non puoi aspettarti nulla. Lavori solo lavoro e lavori».
Difficile
andare avanti, dopo un anno di detenzione ma nessuno si arrende. «Non
perdiamo la speranza. Ma non ti aspetti nemmeno cose buone a meno che non
accadano». Ad Amr abbiamo chiesto se il governo italiano possa fare
qualcosa, dopo la proposta avanzata da alcuni deputati di concedere la
cittadinanza italiana a Zaki e dopo la mobilitazione in occasione
dell’anniversario del suo arresto. «Non sono un cittadino italiano e
sinceramente non mi aspetto molto dai governi. La mia chiamata è ai miei
concittadini italiani non ai governi. Voglio che il popolo italiano
ricordi e capisca che Patrick è un essere umano con un volto e una storia
come ognuno di loro, e chiedo loro di fare pressione sul loro governo affinché
facciano qualcosa per sostenerlo». Non è un atto di pietà, aggiunge Amr. « Sto
semplicemente e direttamente chiedendo alle persone di costringere i loro
governi a smettere di essere complici del regime egiziano».
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