da: Domani
Il Movimento non ha mai avuto una ideologia, se non l’ostilità ai partiti con i quali poi si è alleato. Per questo non sarebbe andato lontano nella versione “liberale e moderata” di Di Maio. L’ex premier dovrà reinventarlo.
Non conosco il pensiero politico del professor Giuseppe Conte. Non sono neppure riuscito a vederne il pensiero istituzionale nei suoi quasi tre anni di governo. Anzi, ricordo di avere criticato la sua concezione di presidente del Consiglio come “avvocato del popolo”. Sbagliato. Semmai, l’avvocato/a del popolo è chi rap- presenta l’opposizione alla quale spetta difendere quel popolo dalle malefatte del governo. Non so quanti libri di scienza politica Conte abbia mai letto (o sfogliato). Ho visto, però, che nella sua pratica istituzionale si è mostrato abilissimo, equilibrato ed equilibrista, entrambi elementi che ritengo positivi anche se, talvolta, il decisionismo diventa indispensabile. Nessuno di questi termini compare nel linguaggio di Conte come da lui stesso manifestato sia nel suo sobrio, serio e sofferto discorso d’addio a palazzo Chigi sia nella sua cosiddetta lectio magistralis per il ritorno, che probabilmente non ci sarà, all’insegnamento fiorentino.
I Cinque stelle dimezzati
Il fatto più duro dell’esperienza di governo di Giuseppe Conte è che il Movimento che lo ha
designato sembra avere già perso quasi la metà dei voti ottenuti nel marzo 2018 e sta assistendo inebetito ad una considerevole emorragia di deputati e senatori. Adesso, sembra che a Conte verrà affidato il compito di ricostruire il Movimento 5 stelle con l’obiettivo principale di riportarlo ai fasti d’antan. Quei fasti erano stati costruiti su una grande pervasiva insoddisfazione nei confronti della politica politicata, ma anche contro lo stesso sistema istituzionale repubblicano: la democrazia parlamentare.Tutti i dati confermano che l’insoddisfazione permane molto diffusa né mi pare probabile che il governo Draghi calato dall’alto del Quirinale e alquanto carente in materia di comunicazione riuscirà a contenerla prima che, tempi non brevi, venga ridimensionata la pandemia e facciano effetto i fondi europei. Quanto alla sfida alla struttura della democrazia parlamentare in quanto tale, di successi, nel nome usurpato di Rousseau, non ne ha avuti nessuno. Anzi, va a grande merito del parlamentarismo e della Costituzione italiana l’avere sconfitto tutte le versioni anti-sistema del Movimento, versioni riguardo le quali non conosciamo le eventuali condivisioni e valutazioni di Giuseppe Conte.
Tuttavia, non possiamo dimenticare che la critica anti-parlamentare ha prodotto qualche esito sostanzialmente irreversibile: abolizione o quasi dei vitalizi, drastica riduzione del numero dei parlamentari. Resta da vedere se il limite dei mandati sarà più o meno tacitamente abbandonato. Anche su questo il silenzio di Conte è stato assoluto.
Probabilmente, però, la leadership che il Movimento ovvero, quanto meno, il garante maximo Beppe Grillo, gli ha offerto non dovrà misurarsi sulle proposte del passato né sulle innovazioni, alcune delle quali possibili e auspicabili, da introdurre nelle modalità di funzionamento della democrazia parlamentare italiana, ad esempio con pratiche e esperimenti di democrazia deliberativa (il lettore apprezzerà il mio riserbo sulle leggi elettorali ancora oggetto di oscuri desideri dei partiti e dei loro leader).
Il Movimento non ha mai avuto una ideologia se non quella di essere contro le poche rimanenti elaborazioni occasionali dei simulacri di partiti che soltanto alcuni dirigenti politici sembravano puntellare. Certamente, il Movimento non avrebbe fatto molta strada dichiarandosi «liberale e moderato», secondo la linea di Luigi Di Maio. L’europeismo al quale Conte è approdato senza fare rumore è, al tempo stesso, molto più che un’ideologia (è, invece, il più ambizioso progetto politico del secondo dopoguerra) e molto diverso da un insieme di idee rigide e costrittive. Richiede, però, una declinazione e un arricchimento che sono sicuramente estranei al Movimento. Quanto Conte sia in grado di trovare una via originale per l’europeismo dei Cinque Stelle è una delle sfide alla sua leadership.
La transizione
La transizione da un ruolo istituzionale adempiuto con successo (opinione condivisa in una lunga serie di sondaggi da circa il 50/60 per cento degli italiani) a un ruolo più propriamente politico, è complicatissima. Non farò nessun paragone con la frettolosa «salita in politica» di Mario Monti. La ricostruzione di un movimento declinante, roso da tensioni e conflitti, anche di tipo personale, si presenta come un’avventura che fa tremare i polsi. Compulsando la ricca storia politica delle democrazie europee non sono riuscito a trovare esempi e precedenti utilizzabili per una sana e feconda comparazione.
Non sta a me suggerirli, ma credo che Conte dovrebbe indicare e operare attorno ad alcuni punti incomprimibili, irrinunciabili. Il primo consiste nel mantenere, rivista, potenziata e meglio regolamentata, una piattaforma telematica che consenta agli iscritti di esprimersi frequentemente non solo in votazioni, ma anche in discussioni.
Il secondo punto irrinunciabile consiste nel garantire la pluralità di prospettive: allargare i confini senza espulsioni che mi paiono una deplorevole pratica da partiti totalitari. Sarà lo stesso Conte a fare la sintesi. Pur tenendo sempre alto il tiro delle mie critiche al Movimento, lo ritengo un attore utile al sistema politico italiano per incanalare il dissenso e per obbligare a decisioni meglio profilate.
Non
so quanto “politico” riuscirà a diventare Conte, ma questo è il compito che
sta per assumersi.
Quello, molto eventuale e arditissimo, di “federatore delle
sinistre” verrà semmai dopo.
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