giovedì 4 marzo 2021

Gianfranco Pasquino: La missione quasi impossibile di Conte per salvare i Cinque stelle

 


da: Domani

Il Movimento non ha mai avuto una ideologia, se non l’ostilità ai partiti con i quali poi si è alleato. Per questo non sarebbe andato lontano nella versione “liberale e moderata” di Di Maio. L’ex premier dovrà reinventarlo.

Non conosco il pensiero politico del professor Giuseppe Conte. Non sono neppure riuscito a vederne il pensiero istituzionale nei suoi quasi tre anni di governo. Anzi, ricordo di avere criticato la sua concezione di presidente del Consiglio come “avvocato del popolo”. Sbagliato. Semmai, l’avvocato/a del popolo è chi rap- presenta l’opposizione alla quale spetta difendere quel popolo dalle malefatte del governo. Non so quanti  libri  di  scienza  politica  Conte abbia mai letto (o sfogliato). Ho visto, però, che nella sua pratica istituzionale si è mostrato abilissimo, equilibrato ed equilibrista, entrambi elementi che ritengo positivi anche se, talvolta, il decisionismo diventa indispensabile.  Nessuno  di  questi  termini  compare nel linguaggio di Conte come  da lui  stesso  manifestato  sia nel suo sobrio, serio e sofferto discorso d’addio a palazzo Chigi sia nella sua cosiddetta lectio magistralis per il ritorno, che probabilmente non ci sarà, all’insegnamento fiorentino.

I Cinque stelle dimezzati

Il fatto più duro dell’esperienza di governo di Giuseppe Conte è che il Movimento che lo ha

designato sembra avere già perso quasi la metà dei voti ottenuti nel marzo 2018 e sta assistendo inebetito ad una considerevole emorragia di deputati e senatori. Adesso, sembra che a Conte verrà affidato il compito di ricostruire il Movimento 5 stelle con l’obiettivo principale di riportarlo ai fasti d’antan. Quei fasti erano stati costruiti su una grande pervasiva insoddisfazione nei confronti della politica politicata, ma anche contro lo stesso sistema istituzionale repubblicano: la democrazia parlamentare.

Tutti i dati confermano che l’insoddisfazione permane molto diffusa né mi pare probabile che il governo  Draghi  calato  dall’alto  del Quirinale e alquanto carente in materia di comunicazione riuscirà a contenerla prima che, tempi non brevi, venga ridimensionata la pandemia e facciano effetto i fondi europei. Quanto alla sfida alla struttura della democrazia parlamentare in quanto tale, di successi,  nel  nome  usurpato  di  Rousseau, non ne ha avuti nessuno. Anzi, va a grande merito del parlamentarismo e della Costituzione  italiana  l’avere  sconfitto  tutte le versioni anti-sistema del Movimento, versioni riguardo le quali non conosciamo le eventuali  condivisioni  e  valutazioni  di  Giuseppe Conte.

Tuttavia, non possiamo dimenticare che la critica anti-parlamentare ha prodotto qualche esito sostanzialmente irreversibile: abolizione o quasi dei vitalizi, drastica riduzione del numero dei parlamentari. Resta da vedere se il limite dei mandati sarà più o meno tacitamente  abbandonato.  Anche  su questo il silenzio di Conte è stato assoluto.

Probabilmente,  però,  la  leadership  che  il  Movimento  ovvero,  quanto meno, il garante maximo Beppe Grillo, gli ha offerto non dovrà misurarsi sulle proposte del passato né sulle innovazioni, alcune delle quali possibili e auspicabili, da introdurre nelle modalità di funzionamento della democrazia parlamentare italiana, ad esempio  con  pratiche  e  esperimenti di democrazia deliberativa (il lettore apprezzerà il mio riserbo sulle leggi elettorali ancora oggetto di oscuri desideri dei partiti e dei loro leader).

Il Movimento non ha mai avuto una ideologia se non quella di essere contro le poche rimanenti elaborazioni occasionali dei simulacri di partiti che soltanto alcuni dirigenti politici sembravano puntellare. Certamente,  il  Movimento  non  avrebbe fatto molta strada dichiarandosi «liberale e moderato», secondo la linea di Luigi Di Maio. L’europeismo al quale Conte è approdato senza fare rumore è, al tempo stesso, molto più che un’ideologia (è, invece, il più ambizioso progetto politico del secondo dopoguerra) e molto diverso da un insieme di idee rigide e costrittive. Richiede, però, una declinazione e un arricchimento che sono sicuramente estranei al Movimento. Quanto Conte sia in grado di trovare una via originale per l’europeismo dei Cinque Stelle è una  delle  sfide  alla  sua  leadership.

La transizione

La transizione da un ruolo istituzionale adempiuto con successo (opinione condivisa in una lunga serie di sondaggi da circa il 50/60 per cento degli italiani) a un ruolo  più  propriamente  politico,  è  complicatissima.  Non  farò  nessun  paragone  con  la  frettolosa  «salita in politica» di Mario Monti. La ricostruzione di un movimento declinante, roso da tensioni e conflitti, anche di tipo personale, si  presenta  come  un’avventura  che fa tremare i polsi. Compulsando la ricca storia politica delle democrazie europee non sono riuscito a trovare esempi e precedenti utilizzabili per una sana e feconda comparazione.

Non sta a me suggerirli, ma credo che  Conte  dovrebbe  indicare  e  operare attorno ad alcuni punti incomprimibili, irrinunciabili. Il primo consiste nel mantenere, rivista, potenziata e meglio regolamentata, una piattaforma telematica che consenta agli iscritti di esprimersi frequentemente non solo in votazioni, ma anche in discussioni.

Il secondo punto  irrinunciabile  consiste nel garantire la pluralità di prospettive: allargare i confini senza espulsioni che mi paiono una deplorevole pratica da partiti totalitari. Sarà lo stesso Conte a fare la sintesi. Pur tenendo sempre alto il tiro delle mie critiche al Movimento, lo ritengo un attore utile al sistema politico italiano per incanalare il dissenso e per obbligare a decisioni meglio profilate.

Non so quanto “politico” riuscirà a diventare Conte, ma questo è il compito  che  sta  per  assumersi.  Quello, molto eventuale e arditissimo, di “federatore delle sinistre” verrà semmai dopo.

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