mercoledì 3 marzo 2021

Covid, Attilio Fontana: chiedeva di aprire gli impianti sciistici sapendo di essere in crisi con i vaccini

 


da: https://it.businessinsider.com/ - di Andrea Sparaciari

Un verbale segreto dimostra che quando Fontana chiedeva di riaprire gli impianti sciistici sapeva di essere in crisi coi vaccini

Regione Lombardia sapeva di essere in crisi con i vaccini e che non sarebbe riuscita a organizzare una vaccinazione su ampia scala già all’inizio di febbraio. Tanto che già l’11 febbraio il Comitato tecnico scientifico regionale chiedeva al suo omologo nazionale di poter inoculare una sola dose di vaccino a chi si era già ammalato di Covid. Una discussione – più che comprensibile – che appare però surreale, se confrontata con le dichiarazioni pubbliche rilasciate negli stessi giorni dei vertici di Regione Lombardia.

Mentre il comitato degli esperti, su impulso dell’assessorato al Welfare guidato da Letizia Moratti, inviava le richieste a Roma per snellire un processo vaccinale già allora in ritardo, il presidente Attilio Fontana andava davanti alle telecamere a invocare a gran voce la riapertura di impianti sciistici e ristoranti. Incurante del pericolo di propagazione del virus.

«Riaprono in sicurezza gli impianti di risalita anche per gli sciatori amatoriali. Seggiovie al

100%, funivie e cabinovie con capienza ridotta al 30% per i grandi impianti, 50% per i piccoli impianti, oltre a un numero giornaliero limitato di skipass, definito in base alla capienza dei comprensori per evitare assembramenti. Obbligatorio anche l’uso della mascherina», gioiva Fontana su Facebook nelle stesse ore in cui i medici si riunivano per trovare una soluzione al disastro.

Il giorno dopo, quando cioè la Lombardia veniva riconfermata in zona gialla, il presidente se ne rallegrava apertamente: «La conferma che la Lombardia rimarrà in zona gialla è una buona notizia per tutti», scriveva sempre su Facebook il 12 febbraio, «deve spingere a guardare con fiducia al futuro, ma anche ad agire con grande senso di responsabilità per evitare che ogni sforzo venga vanificato».

A testimoniare come realtà scientifica conosciuta dalla Regione e dichiarazioni politiche dei vertici del Pirellone fossero in antitesi, è il verbale segreto della riunione del Cts regionale che Business Insider Italia è in grado di mostrarvi.

Dalla lettura del verbale, traspare una riunione nella quale appare evidente la preoccupazione sui ritardi vaccinali e sull’impossibilità di tenere fede alla promessa del supercommissario Guido Bertolaso di vaccinare tutti i 10,2 milioni di lombardi entro giugno. Si legge infatti:

“Tutti i componenti convengono sulla necessità di porre tale quesito al CTS nazionale, proponendo di posticipare la vaccinazione di coloro che sono risultati positivi alla ricerca di SARS-CoV-2 (fa fede la presenza nel DB regionale del caso), effettuando una sola dose: in tal senso, con la collaborazione di parte del CTS, viene delegata la UO prevenzione a predisporre il quesito”.

Tradotto: assessorato alla Sanità regionale e medici (“in particolare la componente degli specialisti infettivologi e igienisti”, dice il documento) vogliono ritardare i vaccini per quanti sono stati già ammalati. Dai tre ai sei mesi. Il perché è chiaro: i  vaccini non ci sono e manca anche un’organizzazione in grado di somministrarli. Non solo, assessorato e scienziati concordano anche sul fatto che non si possono avallare nuove aperture o allargare i controlli: «Si condivide che con l’avanzamento della campagna vaccinale potranno essere valutate alcune misure di alleggerimento, per ora non definibili o non supportate da evidenze.

Ecco il verbale:

E anche qui si riscontra un’altra separazione tra realtà scientifica e comunicazione politica della giunta Fontana, che mira a spostare l’attenzione non sulla difficile situazione in essere, ma su altro. Perché mentre i medici cercano di trovare soluzioni per arginare le condizioni già allora critiche e spingono il mantenimento delle misure in essere, il presidente Fontana sui media faceva il diavolo a quattro a seguito della mancata analisi da parte dell’Istituto superiore di Sanità del “Piano organizzativo vaccinale di massa” preparato da Bertolaso.  

«Trovo incredibile che il ministero della Salute abbia deciso di bloccare la valutazione», sbottava Fontana il 12 febbraio, puntando l’attenzione su tutt’altro. Letizia Moratti, da parte sua, in quegli stessi giorni non parlava di sospensione di vaccini per malati né di monodosi, preferendo puntare sugli acquisti di vaccini per vie alternative a quelle dell’ex commissario Arcuri. In un’intervista alla Stampa spiegava infatti che «il presidente Fontana si è sentito con Zaia, e insieme al Veneto e altre due regioni, nel rispetto delle condizioni di Aifa, verificheremo se ci sono i requisiti per gli acquisti autonomi». Una via poi fortunatamente abbandonata.

Da notare inoltre che dell’opzione della monovaccinazione Regione Lombardia non fa più parola fino a quando Brescia e la sua provincia non si “scopre” invasa dalla variante inglese del virus. O meglio, fino a quando il Pirellone, cioè Bertolaso, il 18 febbraio non si trova costretto a correre ai ripari perché a Brescia il contagio è ormai fuori controllo, nonostante da settimane si registrino numeri spaventosi di contagi e ricoveri, fino ad allora ignorati. Tanto che alla fine scatta la zona rossa. Una verità che i sindaci della provincia invece conoscevano almeno da fine gennaio, come il primo cittadino di Corzano, Giovanni Benzoni, che il 20 gennaio aveva dichiarato la zona rossa sua sponte.

È solo allora che Bertolaso gioca la carta dell’unica somministrazione, imbellettando la scelta con l’esperienza inglese ed israeliana che sembra funzionare. Tace però sul fatto che il Pirellone da settimane meditava quella svolta. E così che è passa in Lombardia la decisione di somministrare una sola dose. Questa volta però non solo per quanti avevano già avuto il covid, ma per tutti i cittadini.

Nessun commento:

Posta un commento