Considero Di Battista più intelligente di Di Maio. Diversamente da lui, ho un'altra opinione in merito alla "partecipazione" del M5S al governo Draghi per due motivi: la situazione nella quale si trova il paese e perchè, diversamente da Di Battista, non ho la vocazione alla perenne opposizione.
Ritengo, inoltre, che ci si possa avvalere di società di consulenza ma entro certo limiti, ambiti chiari, definiti, circoscritti e – soprattutto – i consulenti devono portare valore aggiunto e trasferire conoscenza e competenza lavorando all'interno di strutture pubbliche. Ovviamente, tutto ciò senza che vi siano conflitti di interesse.
Tutto ciò premesso, Di Battista ha scritto un articolo che le "grandi, autorevoli" firme del giornalismo -: i Molinari, Giannini, Cerasa, De Angelis ecc...ecc.. non sanno scrivere. O...non possono scrivere.
La
si pensi come si vuole, ma Di Battista è una persona mentalmente libera con
delle convinzioni radicate. Il suo articolo (di seguito) è da leggere. Ne vale
la pena. Comunque la si pensi.
Che fine ha fatto il MES? Dove sono finite le ricette magiche su come affrontare il virus o il cambio di passo sui ristori? E i temi divisivi che hanno riempito i comunicati stampa dei politici e le pagine dei giornali nelle settimane della crisi di governo? Spariti, svaniti, scomparsi. Non siamo più in dittatura sanitaria evidentemente. Il che dipende non dal lockdown in sé ma da chi decide di promuoverlo. Eccolo il miracolo del Messia. Non ha moltiplicato né vaccini né posti di lavoro ma ha eliminato le polemiche politiche.
Scandali o potenziali conflitti di interesse? Rumori di sottofondo. La Pax draghiana accontenta tutti. Moderati, liberali, moralisti e liberisti. E poi i giornali di sistema, Confindustria, i think tank che contano, le multinazionali della consulenza e quelle dei farmaci, rigorosamente nordamericane.
L’apostolo non predica. Non ha bisogno della parola. A tranquillizzare coloro che,
evidentemente, con il governo precedente tranquilli non erano, ci pensa il suo passato (sbagli inclusi) e ci pensano le nomine. Non quelle politiche. Quelle non contano. Ha fatto giocare i politici al gioco delle poltrone ed ha visto che si accontentano di poco.Apparentemente anche la McKinsey si accontenta di poco, un modesto appalto da 25.000 euro per “elaborare uno studio sui piani nazionali Next Generation già predisposti dagli altri Paesi dell’UE e fornire un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano”. Ma l’apparenza spesso inganna. Elaborare uno studio sui piani nazionali del Next Generation significa avere accesso ad informazioni strategiche.
Oggigiorno i colossi della consulenza – clienti delle principali multinazionali del pianeta che operano nei settori dell’energia, delle costruzioni, dell’industria automobilista, del petrolio o dei media – hanno a disposizione informazioni e dati. Collaborazioni professionali tra privati, si dirà. Vero. Ma quando i colossi della consulenza irrompono nei ministeri, prestano servizi alla politica, danno pareri sulla scrittura di un progetto o su dove mettere i paletti in un bando, i potenziali conflitti di interessi si moltiplicano. Ancor di più se le imprese che dovranno presentare progetti o accedere a bandi, sono le stesse imprese che pagano milioni di euro alle società di consulenza.
Un tempo si riteneva che il conflitto di interessi si sarebbe risolto legiferando sulle televisioni di Berlusconi. Oggi gli interessi in conflitto portati avanti da politici che diventano banchieri, consulenti che diventano ministri, ministri che vanno a lavorare in ENI o Finmeccanica, sono infiniti e, potenzialmente, molto più pericolosi.
I mezzi di informazione – il quarto potere – al posto di inseguire banali dichiarazioni di politici, dovrebbero mappare il potere. Dovrebbero collegare politici ed aziende, aziende e gruppi finanziari, fusioni bancarie e finanziamenti ai partiti, raccomandazioni d’oltre oceano e carriere sfavillanti, finanza e consulenze, consulenti e nomine ministeriali, appalti e posti al sole per i politici nel settore privato quando i cittadini smettono di votarli.
Una mappa del potere per far aprire gli occhi ai cittadini, per far abbassare gli occhi per la vergogna a qualche potente e per sostenere quella miriade di aziende che restano fuori dai giri che contano. Dimmi chi ti finanzia e ti dirò che partito sei, si diceva un tempo. Oggi potremmo dire: “Dimmi chi sono i tuoi consulenti e capirò che politica farai”.
Contrariamente a quel che si possa pensare Draghi non è affatto un decisionista. È un uomo che sa affidarsi, magari a chi, in passato, si è affidato a lui. Francesco Giavazzi è uno dei migliori scelti dal migliore. Draghi l’ha scelto come consulente economico ed ha scelto un suo vecchio articolo per prendere spunto (sarebbe meglio dire fare “copia e incolla”) per il suo primo discorso in Parlamento. Giavazzi, autore del libro “Il liberismo è di sinistra”, ha, in passato, difeso la teoria dell’austerità espansiva, ovvero il taglio allo stato sociale come via per la crescita.
Teoria che, insieme alle privatizzazioni selvagge e alla sostituzione dei diritti economici e sociali con quelli civili (come se i diritti non fossero tutti ugualmente importanti) ha impoverito la classe media, la piccola impresa, i piccoli comuni. A Palazzo Chigi oltre a Giavazzi è approdata anche Serena Sileoni, una turbo-liberista, nonché “fellow onorario” dell’Istituto Bruno Leoni, un centro studi il cui Presidente è Franco Debenedetti, fratello dell’Ingegner Carlo. Sono alcuni dei tecnici scelti dai tecnici. Uomini e donne, certamente esperti, con una chiara visione politica, una visione, oggettivamente, rigettata dal voto popolare del 2018.
Mercato unico, partito unico, giornale unico (salvo quotidiani corsari) e ricette che dagli anni ’90 in poi hanno compresso i diritti dei lavoratori senza essere minimamente determinanti per l’abbattimento del debito pubblico. L’obiettivo che i fautori dei vincoli di bilancio e della svendita del patrimonio pubblico si erano prefissati. Sembra che un sottobosco che pareva morente, quello iper-liberista, stia dando colpi su colpi di coda.
Gioisce Renzi, gioisce Berlusconi, gioisce la Lega, partito che bussa all’establishment come tutti gli altri. Gioisce John Elkann, promotore di fusioni industriali ed editoriali e per questo legittimamente innamorato di Mario Draghi. “Mio nonno sarebbe orgoglioso di Draghi” ha dichiarato pochi giorni fa il patron del gruppo editoriale più potente d’Italia. Può darsi. Bisognerebbe capire di quale Draghi sarebbe orgoglioso l’Avvocato. Del protettore delle fusioni bancarie ed industriali? Senz’altro.
Ma c’è un altro Draghi, quello che, a quanto pare, reputa nefasti i sussidi di Stato. Io non sono un fan dei sussidi. Ci sono sussidi e sussidi. Sussidi buoni e sussidi cattivi per usare la terminologia draghiana. Erano buoni o cattivi i miliardi di euro di sussidi (molti a fondo perduto) generosamente elargiti dallo Stato italiano alla FIAT, impresa che ha ridotto negli ultimi 40 anni il numero dei dipendenti oltretutto spostando sedi legali all’estero?
Forse
sono buoni i sussidi dati ai potenti, quegli stessi potenti ai quali è stato
consentito di privatizzare gli utili e socializzare i debiti. Tanto paga
pantalone, lo Stato. Quello Stato che si vorrebbe indebolire ancor di più
anche grazie a consulenti e multinazionali della consulenza pagati dallo Stato.
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