Avviandosi per la stradina che conduceva alla via principale, Giorgio continuò a pensare a Nadia. Era giovane e carina, ma aveva un che di duro. Nello sguardo, nella voce. Dimostrava assai più anni di quelli che aveva, a incontrarne gli occhi. Aveva provato a chiederle qualcosa della sua famiglia, ma era stata così palpabile la poca volontà di raccontare che si era fermato. Aveva appreso soltanto che viveva da sola con la madre, anche lei infermiera ma in un altro ospedale, e che non era fidanzata.
Il loro rapporto di confidenza era nato perché Giorgio si era accorto del suo irrigidimento in presenza dell’aiuto del primario, un uomo molto più grande di lei dall’atteggiamento estroverso e cordiale. Il vicecommissario si era reso subito conto che tra i due c’era stata una storia, e che questa storia era finita male per la ragazza. L’anello al dito del medico aveva spiegato il resto. Con garbo, il poliziotto aveva parlato con l’infermiera e aveva fatto in maniera che venissero fuori la rabbia e la mortificazione per essersi fatta prendere in giro, qualche promessa e un po’ di attenzioni per ottenere quello che il dottore voleva, salvo poi metterla da parte. La più ovvia e scadente delle storie, aveva detto amara e con gli occhi asciutti. Ma si era morsa il labbro, e si era allontanata in fretta.
Pisanelli era però convinto che quello scoglio fosse superato. Pur nella sua austera rigidità, aveva notato un paio di sciarpe colorate e persino un cappellino che le stava d’incanto. D’altra parte era una ragazzina, e stava arrivando la primavera.
Passò davanti a un fruttivendolo e lanciò un saluto a un enorme negoziante che a stento entrava nel locale.
L’uomo lo apostrofò.
– Uhè, Giorgio, sei scappato un’altra volta, eh? E se lo viene a sapere la signorina?
– Se non glielo dici tu, Pasqua’, non lo viene a sapere. E stiamo tutti tranquilli.
Niente da fare, disse fra sé. Questo non è un quartiere dove si riesce a mantenere un minimo di privacy. Però era il suo quartiere, e non sapeva immaginarsi altrove.
Se il destino, il caso, Dio o quello che era gliene avessero concesso la possibilità, adesso che non avrebbe più lavorato aveva intenzione di riannodare i fili col suo quartiere. Un mare di amici, di posti e di situazioni trascurate negli anni in cui si era votato al lavoro, in mancanza di Carmen e con Lorenzo, il figlio, fuori a studiare e poi a lavorare. Con la pensione, si proponeva di ridiventare un ragazzo di Pizzofalcone, come era stato da giovane e come non aveva mai smesso di sentirsi.
Si diresse verso la strada grande. Aveva voglia di un caffè, magari accompagnato da un babà. Era una trasgressione alimentare inconfessabile, ma anche uscire a passeggio in quell’aria frizzante lo era. Però i tempi andavano contenuti, non voleva mettere a rischio la propria salute più del dovuto.
Rifletté su quanto fosse cambiato, anche sotto quell’aspetto. Non aveva voluto curarsi, trattenendo il male dentro di sé, custodendolo come un tesoro. Desiderava morire per riunirsi a Carmen, ma non intendeva porre volontariamente fine alla propria vita per paura di non rivederla: per questo aveva scelto di lasciar fare al destino, e si era dedicato anima e corpo alla ricerca dell’assassino che fingeva che le proprie vittime si fossero suicidate. Era stato chiamato visionario, rimbambito, perfino pazzo: ma il suo fiuto, l’istinto del vecchio poliziotto gli urlava a gran voce che era nel giusto, che c’era un’unica mano dietro quelle morti, e che quella mano era rintracciabile perché non lontana da lui.
Non poteva però immaginare che fosse così vicina.
La mente scacciò la figura di Leonardo, il frate che La mente scacciò la figura di Leonardo, il frate che era stato il suo migliore amico. Non voleva inquinare il momento della passeggiata rubata. Ci pensava fin troppo, nel suo letto, di notte, quando non riusciva a dormire, tormentato dai fantasmi solitari di quelli a cui il frate omicida aveva tolto la vita. Ma adesso, invece, non voleva pensarci. Perché adesso aveva ritrovato la voglia di vivere. Proprio perdendo Carmen, il lavoro e l’indagine dei suicidi, i tre elementi che gli avevano riempito ogni angolo del cuore e della mente, si era scoperto di nuovo proprietario di sé stesso.
Era strano, e sembrava assurdo anche a lui, ma l’operazione e la lotta che stava ancora conducendo contro la malattia lo avevano portato a credere di aver riconquistato uno spazio che non doveva cedere ad altri. Certo, era stato felice con la moglie; ricordava come un paradiso ogni singolo minuto passato con lei. E il lavoro gli aveva regalato tante gioie e qualche dolore, come il tradimento dei colleghi che erano stati i veri bastardi di Pizzofalcone, non certo quelli che adesso erano i componenti dell’attuale squadra che, in una strana maniera, erano diventati la sua famiglia. La stessa indagine, l’ossessione che lo aveva preso ed era diventata una ragione di vita, lo aveva accompagnato a lungo: e capire che non si era sbagliato, contro ogni logica ed evidenza, lo aveva amaramente gratificato.
Ora però cominciava una nuova esistenza, in cui non era marito, padre o vicecommissario, ma solo Giorgio. Un ragazzo di Pizzofalcone.
Di tutto questo doveva ringraziare qualcuno, che lo aveva trovato morente sul pianerottolo di casa nel sangue, che lo aveva condotto in ospedale e poi lo aveva assistito senza lasciarlo solo, e questo qualcuno era il più improbabile, il meno sopportabile e il più sconcertante degli angeli custodi: l’agente scelto Marco Aragona. Il quale gli era rimasto così vicino da andare a vivere, in via provvisoria si sperava, proprio in casa sua, occupando quella che era stata la camera di Lorenzo. In attesa di sistemare le cose coi miei, gli aveva giurato supplicandolo.
Come si può negare un appoggio a chi ti ha salvato la vita, d’altronde? Sarebbe stata una grave mancanza di riconoscenza. E Pisanelli non era certo un uomo ingrato.
Perdipiú, ma questo era un aspetto che confessava solo a sé stesso, Aragona sarebbe stato un filo per mantenere il contatto del vicecommissario con l’attività che aveva svolto per più di quarant’anni, e che era tutt’altro che pronto a lasciare.
Infine, si disse, la verità è che a me la casa vuota mette tristezza. Una cosa era tornarci dopo una giornata di lavoro, un’altra era viverci leggendo libri con una televendita in sottofondo. Pure uno come Aragona, alla resa dei conti, era un apprezzabile diversivo.
E poi, Pisanelli si divertiva un mondo a osservare le schermaglie del ragazzo con Nadia. Non conosceva nessuno più tagliente e sarcastico di lei, e nessuno più impermeabile alle offese e alle ironie di lui. Uno spettacolo impagabile.
Ordinò un caffè e scelse il babà migliore dalla vetrina.
Mentre
stava per dare il primo morso alla pasta soffice, il cellulare nella tasca
squillò.
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