venerdì 5 marzo 2021

Caltagirone in Mediobanca puntando alle Generali

 


da: Domani – di Giovanna Faggionato

Leonardo Del Vecchio aveva iniziato a chiamare già nel 2019 e alla fine Francesco Gaetano Caltagirone ha risposto, diventando socio di Mediobanca e preparando con un anno di anticipo la partita sul destino delle assicurazioni  Generali  e  del  loro  amministratore delegato,  Philippe Donnet. Ieri la Consob ha fatto sapere che il 23 febbraio scorso l’imprenditore romano Caltagirone, che vanta un impero edilizio e la proprietà del Messaggero, ha acquistato poco più dell’1 per cento delle azioni di  Mediobanca.

Caltagirone fa così il suo ingresso in piazzetta Cuccia, a fianco di Bolloré, Benetton ma soprattutto di Leonardo Del Vecchio, il miliardario fondatore della multinazionale Luxottica che lo affianca come socio anche nelle assicurazioni Generali, il gruppo assicurativo, primo in Italia e terzo in Europa, di cui Mediobanca è primo  azionista.  La  mossa  di  Caltagirone è l’ultima di una serie  di  manovre  che  da  ormai  due anni stanno cambiando gli equilibri dell’azionariato attorno al gruppo di Trieste.

L’attivismo di Del Vecchio

Sistemati gli affari di famiglia con la fusione tra Luxottica e i francesi di Essilor, due anni fa Del Vecchio, socio di Unicredit con l’1,9 per cento, ha iniziato a comprare i titoli di Mediobanca, che controlla il 13 per cento di Generali, e delle stesse Generali attraverso la sua finanziaria lussemburghese Delfin. Il suo interventismo risultava inedito

per un industriale nostrano e per i nostrani salotti finanziari, abituati da molto tempo ai capitalisti senza capitali. E in molti si sono chiesti a cosa avrebbe portato l’attivismo di un socio industriale con molta liquidità a disposizione – 25 miliardi circa di patrimonio personale – per un gruppo assicurativo in mano soprattutto a fondi istituzionali e investitori retail che negli anni è stato oggetto di costanti ipotesi, più o meno realistiche, di scalata straniera, per non dire francese.

Del Vecchio possiede oggi quasi il cinque per cento di Generali e dal 3 febbraio scorso la sua partecipazione in Mediobanca è arrivata al 13,2 per cento (con l’autorizzazione della Bce fino al 20 per cento), superando l’attuale patto di consultazione che ha sostituito il patto di sindacato su cui per anni si sono retti i fragili equilibri della finanza italiana.

Anche Caltagirone, che di Generali è vicepresidente vicario, ha negli  ultimi  anni  continuato  ad aumentare la sua partecipazione, oggi oltre il 5,5 per cento. Di recente poi i due si sono mossi spesso sullo stesso fronte, sebbene non li leghi alcun patto ufficiale, su diversi dossier il più importante è Cattolica Assicurazioni.

Quando a giugno del 2020 Generali ha di fatto salvato Cattolica offrendo al gruppo di Verona la liquidità che le serviva per rispondere ai richiami dell’Ivass sulla patrimonializzazione insufficiente,    Caltagirone    Del Vecchio hanno partecipato al consiglio di amministrazione che ha approvato l’operazione messa a punto dall’amministratore delegato Philippe Donnet.  Entrambi  hanno  inoltre  spinto per condizioni più rigide per l’intervento.

La vicenda è ancora più rilevante se viene considerato il contesto. Dopo quel salvataggio costato 300 milioni di euro e arrivato sotto  forma  di  una  “partner-ship strategica”, Cattolica assicurazioni ha infatti aderito  all’offerta pubblica di scambio di Intesa San Paolo su Ubi Banca, l’operazione più importante per il sistema bancario nazionale  dalla  crisi  finanziaria  del  2008 in cui Mediobanca (primo socio di Generali) era alleata di Intesa, essendone l’unico advisor finanziario.

L’operazione che ha allineato le Generali di Donnet alla Mediobanca di Nagel in asse con Intesa rischia di costare caro non solo in termini di denaro all’amministratore di Generali. Visto che ora in vista del rinnovo del consiglio  di  amministrazione  di Generali e dello stesso Donnet, previsto nel 2022, la posizione di Mediobanca dipende anche da quella di Caltagirone.

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