da: Domani – di Giovanna Faggionato
Leonardo Del Vecchio aveva iniziato a chiamare già nel 2019 e alla fine Francesco Gaetano Caltagirone ha risposto, diventando socio di Mediobanca e preparando con un anno di anticipo la partita sul destino delle assicurazioni Generali e del loro amministratore delegato, Philippe Donnet. Ieri la Consob ha fatto sapere che il 23 febbraio scorso l’imprenditore romano Caltagirone, che vanta un impero edilizio e la proprietà del Messaggero, ha acquistato poco più dell’1 per cento delle azioni di Mediobanca.
Caltagirone fa così il suo ingresso in piazzetta Cuccia, a fianco di Bolloré, Benetton ma soprattutto di Leonardo Del Vecchio, il miliardario fondatore della multinazionale Luxottica che lo affianca come socio anche nelle assicurazioni Generali, il gruppo assicurativo, primo in Italia e terzo in Europa, di cui Mediobanca è primo azionista. La mossa di Caltagirone è l’ultima di una serie di manovre che da ormai due anni stanno cambiando gli equilibri dell’azionariato attorno al gruppo di Trieste.
L’attivismo di Del Vecchio
Sistemati gli affari di famiglia con la fusione tra Luxottica e i francesi di Essilor, due anni fa Del Vecchio, socio di Unicredit con l’1,9 per cento, ha iniziato a comprare i titoli di Mediobanca, che controlla il 13 per cento di Generali, e delle stesse Generali attraverso la sua finanziaria lussemburghese Delfin. Il suo interventismo risultava inedito
per un industriale nostrano e per i nostrani salotti finanziari, abituati da molto tempo ai capitalisti senza capitali. E in molti si sono chiesti a cosa avrebbe portato l’attivismo di un socio industriale con molta liquidità a disposizione – 25 miliardi circa di patrimonio personale – per un gruppo assicurativo in mano soprattutto a fondi istituzionali e investitori retail che negli anni è stato oggetto di costanti ipotesi, più o meno realistiche, di scalata straniera, per non dire francese.Del Vecchio possiede oggi quasi il cinque per cento di Generali e dal 3 febbraio scorso la sua partecipazione in Mediobanca è arrivata al 13,2 per cento (con l’autorizzazione della Bce fino al 20 per cento), superando l’attuale patto di consultazione che ha sostituito il patto di sindacato su cui per anni si sono retti i fragili equilibri della finanza italiana.
Anche Caltagirone, che di Generali è vicepresidente vicario, ha negli ultimi anni continuato ad aumentare la sua partecipazione, oggi oltre il 5,5 per cento. Di recente poi i due si sono mossi spesso sullo stesso fronte, sebbene non li leghi alcun patto ufficiale, su diversi dossier il più importante è Cattolica Assicurazioni.
Quando a giugno del 2020 Generali ha di fatto salvato Cattolica offrendo al gruppo di Verona la liquidità che le serviva per rispondere ai richiami dell’Ivass sulla patrimonializzazione insufficiente, né Caltagirone né Del Vecchio hanno partecipato al consiglio di amministrazione che ha approvato l’operazione messa a punto dall’amministratore delegato Philippe Donnet. Entrambi hanno inoltre spinto per condizioni più rigide per l’intervento.
La vicenda è ancora più rilevante se viene considerato il contesto. Dopo quel salvataggio costato 300 milioni di euro e arrivato sotto forma di una “partner-ship strategica”, Cattolica assicurazioni ha infatti aderito all’offerta pubblica di scambio di Intesa San Paolo su Ubi Banca, l’operazione più importante per il sistema bancario nazionale dalla crisi finanziaria del 2008 in cui Mediobanca (primo socio di Generali) era alleata di Intesa, essendone l’unico advisor finanziario.
L’operazione
che ha allineato le Generali di Donnet alla Mediobanca di Nagel in asse con
Intesa rischia di costare caro non solo in termini di denaro all’amministratore
di Generali. Visto che ora in vista del rinnovo del consiglio di
amministrazione di Generali e
dello stesso Donnet, previsto nel 2022, la posizione di Mediobanca dipende anche
da quella di Caltagirone.
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