da: Il Fatto Quotidiano - di Marco Grasso
All’inizio del 2020 Autostrade per l’Italia sta vivendo la sua crisi più nera: sulla società incombono l’inchiesta sulla strage del Ponte Morandi, lo scandalo dei falsi report sui viadotti, i crolli nelle gallerie.
Gianni Mion, storico manager della famiglia Benetton, è stato richiamato al timone per evitare la perdita della concessione: “Non si andrà alla revoca. L’obiettivo seguito ma non dichiarato del governo è l’esproprio proletario, perché vogliono fare fuori i Benetton”. Mion, ammettendo “errori passati”, vorrebbe cingere l’esecutivo in un abbraccio mortale, chiamarlo a una sorta di corresponsabilità. È in via di ultimazione una nota per l’ex premier Conte: “Sto preparando un documento in cui diciamo che siamo pronti a cedere Asp. Non è ben chiaro come il ministero abbia approvato le tariffe senza controllare. (…) Diciamo, dobbiamo avere una responsabilizzazione di chi controlla. Perché se succede qualcosa e quello che deve controllare non lo ha fatto, tu hai meno responsabilità, no?”.
Il nuovo ad “Tomasi è un pupazzo della Ministra”
Questa posizione, che prelude a una trattativa dura, si scontra però con il nuovo ad di Autostrade, Roberto Tomasi. Il volto nuovo, chiamato a sostituire Giovanni Castellucci, coinvolto in tutte le inchieste della Procura di Genova: “Il nostro punto debole in questa battaglia è il povero Tomasi”, dice Mion a Fabio Cerchiai, presidente di Atlantia. È il 2 febbraio 2020. “All’avvocato ha detto: ‘Ragazzi, c’è poco da fare, le manutenzioni sono
andate in calando’. Come se lui fosse arrivato dopo. Dice: ‘Metto in sicurezza tutto’. Ormai è proprio un pupazzo in mano ai giudici e alla Ministra”. Il riferimento è a Paola De Micheli, definita “una poveretta”. E l’attivismo di Tomasi non piace nemmeno ad Alessandro Benetton, figlio di Gilberto, che teme si trasformi in un boomerang: “Oggi tu dici: va bene, faremo 7 miliardi di investimento nel prossimo anno a tutti – commenta con un amico – La gente dice, allora qualcuno ve le ha fatte fare ’ste robe ma siamo matti che voi in un anno fate un investimento che non avete fatto in vent’anni?”.Lontano dai riflettori va in scena una faida familiare. In modo forse sorprendente Mion sembra caldeggiare l’esclusione dei Benetton, soluzione su cui spinge in quel momento il governo, e in particolare il M5S: “Non si può nemmeno dargli torto – dice all’amico Giorgio Brunetti – perché francamente non c’è stata la minima consapevolezza da parte loro. In Autostrade e Spea non si salva nessuno, sono tutti acquiescenti o complici”. E ancora: “Impreparazione assoluta, nella prima e nella seconda generazione. Sono entrati in un comparto in cui non avevano il minimo fisico per fare le cose. Castellucci allora diceva: ‘Facciamo noi!’. Allora tu eri consapevole fin dall’inizio. Gilberto eccitato perché guadagnava e suo fratello di più. Era una roba che non solo non potevano gestire, non potevano nemmeno governare”.
La foto con le Sardine “hanno sete di pubblicità”
Mion sembra insomma essersi convinto che il vero problema sia proprio ciò che rimane della dinastia di Treviso, che per salvare Atlantia occorra mollare Aspi, che Spea “vada liquidata” e che l’operazione vada chiusa anche la holding di famiglia, Edizioni: “Oltre che fare foto non sanno più che fare. Hanno dato la sensazione di essere senza anima e senza sentimenti. C’è poco da fare. La sondaggista mi ha detto che come immagine la famiglia è morta, è morta proprio. Dice che l’hanno ammazzata le due feste di Cortina (celebrate appena dopo il crollo del Morandi, ndr), senza aver dato nessuna scusa, nessuna solidarietà. Venerdì la Franca (Benetton, figlia di Giuliana, ndr) mi ha chiesto: ‘Ma perché ce l’hanno con noi? Mica abbiamo fatto niente…’. No, vi siete solo arricchiti”.
Mion affida questo sfogo ancora una volta a Brunetti. È il 2 febbraio 2020. I due commentano la foto fatta da Luciano Benetton con Oliviero Toscani e alcuni esponenti del movimento delle Sardine. Ennesima dimostrazione, secondo Mion, che “i Benetton non sono consapevoli” della situazione: “Eri là con le Sardine, e che cazzo… Ma prima la lettera in cui dice che lui non sa niente, lui e suo figlio (Alessandro, ndr) non sanno un cazzo… che è colpa del morto (Gilberto, scomparso nel 2018, ndr). Poi questa cazzata delle Sardine per far vedere che proprio loro fanno parte di un altro mondo. E lui, come suo figlio, è vittima della sete di pubblicità”. “Che débâcle questa famiglia”, replica Brunetti. “Una desolazione. Ma proprio non c’è verso, Alessandro adesso vuole i soldi. Vuole i soldi perché voleva i dividendi, perché lui ha un progetto, è un imprenditore, perché gli altri non capiscono un cazzo. Capisci, mamma mia, pensano solo ai cazzi loro”.
Il manager “Non si va avanti con i figli dei ricchi”
In questo clima da tutti contro tutti la Finanza intercetta anche membri della famiglia di Treviso, conversazioni messe agli atti perché ritenute esemplificative della “politica dei dividendi dei Benetton”. Ermanno Boffa, marito di Sabrina Benetton, commenta con Mion che “sarebbe devastante se venisse fuori che i Benetton si sono distribuiti 200 milioni di euro nel loro momento peggiore”, “io sulla Franca (Benetton, figlia di Giuliana) batterò su questo”. “A lei piacciono i dividendi – dice ancora Mion – ha realizzato una plusvalenza, ha venduto del capitale. Se la distribuisce il mercato capisce che non ha nessun obiettivo di rilancio”.
Chi
ambisce a un ruolo di guida, in grado di interagire ad alto livello con
le forze politiche sembra essere Alessandro Benetton: “È un miracolo che
la mia famiglia sia in questo ciclone e di reputazione io sono il settimo
manager in Italia per credibilità”. Atlantia, commenta, “è tutto un
merdaio”, e “Castellucci era un bello stronzo”. Dall’altro capo del
telefono c’è il manager Fabio Corsico: “Lasciamelo dire, l’ho detto anche a
Mion. Il problema vero è che la famiglia Benetton era una famiglia di
imprenditori vent’anni fa… Gilberto un imprenditore, Luciano… non quello
di oggi… scusami se parlo così di tuo padre, e Alessandro. Punto. Tre.
Tolti questi il resto sono dei figli di ricchi. (…) La realtà vera è che un
gruppo non va avanti coi figli dei ricchi, va avanti con gli imprenditori”.
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