da: la
Repubblica
Gli
effetti del decreto “Salva Italia” dureranno a lungo, perché redistribuiscono
poteri e risorse. Per questo non è possibile far tacere lo spirito critico, né
pretendere una sorta di acquiescenza sociale, alla quale giustamente i
sindacati hanno detto di no.
Il
decreto, infatti, tocca profondamente vita e diritti delle persone.
I diritti
sono diventati un lusso? L´”età dei diritti” è al tramonto? Di
questo discutiamo in questi tempi difficili, e non solo in Italia. E´ tornata
l´insincera tesi dei due tempi: prima risolviamo i problemi dell´economia, poi
torneranno i bei tempi dei diritti. “Prima la pancia, poi vien la morale” – fa
dire Bertolt Brecht a Mackie Messer nel finale del primo atto dell´Opera da tre
soldi. Ma l´esperienza di questi anni ci dice che di quel film viene sempre
proiettato solo il primo tempo.
Vi è una ricerca francese sui diritti sociali intitolata
“Droits des pauvres, pauvres droits”. Dunque, “diritti dei poveri, poveri
diritti”: diritti sempre più deboli per i più deboli, e che non si sa che fine
faranno. Oggi siamo di fronte ad interventi caratterizzati da una forte
asimmetria sociale, che fanno crescere ancora di più la diseguaglianza. Ma qual
è la soglia di diseguaglianza superata la quale è a rischio la stessa
democrazia? Siamo consapevoli che stiamo passando per un numero crescente di
persone dall´”esistenza libera e dignitosa”, di cui parla l´articolo 36 della
Costituzione, ad una situazione che spinge verso la pura sopravvivenza
biologica?
Proprio nei tempi difficili bisogna parlare dei diritti. Senza conservatorismi, si dice. E allora, poiché il Governo annuncia interventi nella materia del lavoro, usciamo da schemi inutili e aggressivi come quelli che mettono al centro la modifica dell´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Uno sguardo sull´immediato futuro, realistico e lungimirante, esige che si affronti una revisione dei regimi di sicurezza sociale nella prospettiva del riconoscimento di un diritto ad un reddito universale di base. Di questo si discute da tempo, come mostra un libro appena pubblicato da Giuseppe Bronzini. Si potrebbe così cominciare ad invertire la rotta: dalla sopravvivenza di nuovo verso l´esistenza, ricongiungendosi anche ad una precisa indicazione dell´articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea: “al fine di lottare contro l´esclusione e la povertà, l´Unione riconosce e rispetta il diritto all´assistenza sociale e all´assistenza abitativa volte a garantire un´esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti”.
Proprio nei tempi difficili bisogna parlare dei diritti. Senza conservatorismi, si dice. E allora, poiché il Governo annuncia interventi nella materia del lavoro, usciamo da schemi inutili e aggressivi come quelli che mettono al centro la modifica dell´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Uno sguardo sull´immediato futuro, realistico e lungimirante, esige che si affronti una revisione dei regimi di sicurezza sociale nella prospettiva del riconoscimento di un diritto ad un reddito universale di base. Di questo si discute da tempo, come mostra un libro appena pubblicato da Giuseppe Bronzini. Si potrebbe così cominciare ad invertire la rotta: dalla sopravvivenza di nuovo verso l´esistenza, ricongiungendosi anche ad una precisa indicazione dell´articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea: “al fine di lottare contro l´esclusione e la povertà, l´Unione riconosce e rispetta il diritto all´assistenza sociale e all´assistenza abitativa volte a garantire un´esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti”.
Si è
detto che l´Italia deve riguadagnare la dimensione europea, rifiutata nei tempi
del berlusconismo. Ma, se si vuole che i cittadini non guardino all´Europa solo
come fonte di imposizioni e di sacrifici, bisogna ricordare quel che disse il
Consiglio europeo nel 1999: «La tutela dei diritti fondamentali
costituisce un principio fondatore dell´Unione europea e il presupposto
indispensabile della sua legittimità». L´Europa dei mercati non può essere
disgiunta dall´Europa dei diritti, pena una delegittimazione che può
contribuire alla sua dissoluzione. I governanti devono rendersi conto che la
Carta dei diritti fondamentali non è un documento al quale dedicare qualche
distratta citazione, ma uno strumento che, adoperato con continuità e
sincerità, può mostrare il «valore aggiunto» dell´Europa, nel quale diventa
conveniente riconoscersi per tutti.
Ma l´Europa è anche quella dei trattati, di cui ora si propongono modifiche per rendere possibile un più diretto governo dell´economia. Di nuovo una questione di legittimità democratica. Si può rafforzare il potere europeo in questa materia sottraendolo a controlli che non siano solo quelli esercitati dalla forza degli interessi di governi nazionali? Se si vuol mettere mano al Trattato di Lisbona, allora, è necessario che una riforma includa un rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo. Qui l´antica vocazione europeistica dell´Italia potrebbe essere rinverdita. Vorrà farlo l´attuale Governo, guadagnando così meriti presso tutti quelli che credono ancora in una ripresa della costruzione democratica dell´Unione?
Ma l´Europa è anche quella dei trattati, di cui ora si propongono modifiche per rendere possibile un più diretto governo dell´economia. Di nuovo una questione di legittimità democratica. Si può rafforzare il potere europeo in questa materia sottraendolo a controlli che non siano solo quelli esercitati dalla forza degli interessi di governi nazionali? Se si vuol mettere mano al Trattato di Lisbona, allora, è necessario che una riforma includa un rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo. Qui l´antica vocazione europeistica dell´Italia potrebbe essere rinverdita. Vorrà farlo l´attuale Governo, guadagnando così meriti presso tutti quelli che credono ancora in una ripresa della costruzione democratica dell´Unione?
Questa
linea di riforma istituzionale, attenta a democrazia e diritti, dovrebbe essere
seguita anche per le riforme costituzionali di cui si torna a parlare in casa
nostra. Queste non possono essere considerate solo dal punto di vista di un
nuovo assetto per Parlamento e Governo. E l´insistenza sulla giusta necessità
di restituire ai cittadini poteri confiscati dall´indegna attuale legge
elettorale non può limitarsi a questa soltanto. Le nuove forme di
partecipazione politica, dei cui effetti abbiamo avuto prove concrete in
occasione dei referendum e delle elezioni amministrative, esigono forme
istituzionali che diano corpo e legittimazione a quella “democrazia continua”
che ormai caratterizza la sfera pubblica e che non può essere affidata soltanto
alla dimensione mediatica o alla logica dei sondaggi. Ricordate la critica di
Rousseau alla democrazia rappresentativa inglese? “Il popolo inglese crede
d´essere libero; s´inganna, non lo è che durante l´elezione dei membri del
Parlamento; non appena questi sono stati eletti, esso diventa schiavo, non è
più nulla”. A questa schiavitù politica, al silenzio tra una elezione e l´altra,
i cittadini si ribellano sempre di più, grazie soprattutto alle opportunità
loro offerte da Internet. Sono lontanissimo dalle semplificazioni di chi
continua a pensare ad una democrazia salvata dalla tecnologia, e ritengo che si
debba sempre riflettere sui rischi di una “democrazia elettronica” come forma
del populismo dei nostri tempi. Ma è suicida continuare a guardare alle
istituzioni e alle loro possibili riforme senza prendere seriamente in
considerazione la necessità di integrazioni nuove tra democrazia
rappresentativa e presenza più diretta dei cittadini.
Nella
prospettiva di riforme, volte però alla buona “manutenzione” e non allo
stravolgimento della Costituzione, mi limito ad indicare una sola ipotesi, di
cui già ho parlato in passato, ma che il successo dei referendum rende attuale.
Mi riferisco all´iniziativa legislativa popolare, prevista dall´articolo 71
della Costituzione e che, finora, ha avuto come effetto solo la
frustrazione dei proponenti, visto che il Parlamento ignora del tutto le
proposte firmate dai cittadini. Credo che sia venuto il momento di
rinvigorire questo istituto, prevedendo procedure che riguardino le
modalità in base alle quali il Parlamento deve prendere in considerazione
quelle proposte e dando al comitato promotore il diritto di seguirne l´iter
parlamentare in commissione, secondo il modello che ha già portato a
considerare i promotori di un referendum addirittura come «potere dello Stato».
Un passo così impegnativo dovrebbe essere accompagnato da un aumento delle firme
necessarie, ben oltre le attuali cinquantamila. Ma avrebbe l´effetto positivo
di avviare una integrazione tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta
(che può e deve trovare ulteriori forme), di aprire un canale tra eletti ed
elettori, di insidiare l´autoreferenzialità della politica e di avviare così un
suo riscatto nel tempo del massimo suo discredito.
Anche
così potremo ricongiungerci all´Europa. L´articolo 11 del Trattato di Lisbona
affianca alla democrazia rappresentativa uno strumento di democrazia diretta:
il nuovo diritto di iniziativa dei cittadini europei che, in numero di almeno
un milione, possono chiedere alla Commissione europea di prendere iniziative in
determinate materie. Non è un caso che di questo strumento si prepari a servirsi
la rete europea dei movimenti per l´acqua bene comune, dunque proprio i
soggetti ai quali si deve la più forte iniziativa referendaria.
L´uscita dalla regressione culturale e politica, nella quale siamo piombati, sta proprio nella capacità di ricominciare a frequentare il futuro senza condizionamenti, primo tra tutti quello che vuole ricondurre tutto alla logica del mercato.
L´uscita dalla regressione culturale e politica, nella quale siamo piombati, sta proprio nella capacità di ricominciare a frequentare il futuro senza condizionamenti, primo tra tutti quello che vuole ricondurre tutto alla logica del mercato.
Nessun commento:
Posta un commento