Uccidendo
il generale Soleimani, Trump dichiara guerra all’Iran
Forse Donald
Trump non l’ha ancora capito, ma da
venerdì gli Stati Uniti sono ufficialmente entrati in guerra con l’Iran.
Tutto ciò che è successo finora tra il
presidente statunitense e la repubblica islamica è stato soltanto una premessa.
Ordinando l’eliminazione del generale
Qassem Soleimani, potente e carismatico capo dell’unità speciale Al Quds dei Guardiani della rivoluzione,
Donald Trump ha oltrepassato il Rubicone.
Questo scontro non somiglierà a nessun
altro del passato. Di sicuro non sarà
una guerra frontale come l’invasione dell’Iraq del 2003, con le truppe
dell’esercito più potente del mondo inviate in un paese iper-armato ma
disorganizzato. Al contrario, sarà un
conflitto multiforme il cui teatro rischia di essere l’intero Medio Oriente, se non oltre.
Il regime dei mullah a questo punto si
gioca la sopravvivenza, e non si lascerà battere senza combattere. D’altronde è
strutturato e organizzato per questo preciso scopo.
Teheran
vorrà vendicare l’eliminazione di un capo militare, ma soprattutto porterà avanti
l’escalation contro gli Stati Uniti
Soleimani era una figura mitica della
rivoluzione islamica, una sorta di Che Guevara iraniano, protagonista della
vittoria dell’ayatollah Khomeini nel 1979 e diventato l’incarnazione del
fervore e del messianismo della rivoluzione, anche oltre le frontiere iraniane.
Lo abbiamo visto ovunque: in Siria, in
Libano, in Yemen e naturalmente in Iraq. Lo abbiamo visto vittorioso tra le
rovine di Aleppo, che Bashar al Assad non avrebbe mai potuto riconquistare
senza l’aiuto dei Guardiani della rivoluzione. Lo abbiamo visto a Mosca mentre
parlava di strategia con Vladimir Putin. Ma soprattutto Soleimani ha manovrato
per anni per aumentare l’influenza iraniana in Iraq, attraverso le stesse
milizie sciite che in settimana hanno preso d’assalto l’ambasciata degli Stati
Uniti.
Il generale dipendeva direttamente dalla
Guida suprema iraniana, l’ayatollah Khamenei, e non dal presidente Hassan
Rohani, di cui tra l’altro criticava la moderazione. Dopo il fallimento
dell’accordo sul nucleare è stato Soleimani a prendere il controllo della
situazione, dunque si tratta di una perdita enorme per il regime.
Non soltanto Teheran vorrà vendicare
l’eliminazione di un capo militare di primo piano, ma soprattutto porterà
avanti l’escalation contro gli Stati Uniti. Perché è la sua unica via d’uscita.
La storia ci dirà se Trump, uccidendo il
generale, avrà commesso l’errore che si era ripromesso di non fare, ovvero
lanciare gli Stati Uniti in una di quelle guerre mediorientali senza fine contro
cui si scaglia incessantemente nei suoi raduni elettorali. Per qualche giorno
Trump potrà vantarsi di aver eliminato un grande nemico dell’America. Gonfierà
il petto e si farà passare per un grande stratega.
Ma cosa accadrà dopo? Gli iraniani
metteranno in atto la loro risposta in Iraq, dove l’influenza di Teheran è
profonda, in Arabia Saudita, dove gli interessi statunitensi sono enormi, e
anche altrove, dove nessuno se l’aspetta.
Donald Trump, a quel punto, non avrà altra
scelta se non continuare anche lui sulla via dell’escalation. Dopo aver colpito
il nemico alla testa, non potrà certo fare un passo indietro. La vittoria di
oggi rischia di durare poco.
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