da: https://www.ilfattoquotidiano.it/
- di Andrea Tundo
Le
36 pagine rappresentano un verdetto storico, perché per la prima volta un
lavoratore ha ottenuto due sentenze di merito favorevoli in casi simili:
Roberto Romeo, ex dipendente Telecom, trascorreva almeno 4 ore al giorno al
cellulare. Come accaduto in primo grado, nuovi consulenti hanno ribadito che
esiste un "nesso eziologico tra la prolungata e cospicua esposizione lavorativa
a radiofrequenza emesse da telefono cellulare e la malattia denunciata"
Il tumore al nervo acustico dell’orecchio
destro che ha colpito Roberto Romeo è stato causato dall’uso del cellulare. La
Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del giudice Luca Fadda,
che nell’aprile 2017 aveva condannato l’Inail a riconoscere una rendita da
malattia professionale all’ex tecnico della Telecom per l’uso “abnorme” del
telefonino, dovuto al suo lavoro, nel periodo 1995-2010.
“Letteratura
scientifica in conflitto d’interessi”
E nelle motivazioni della sentenza, emessa
lo scorso 3 dicembre, il collegio ribadisce anche i sospetti sull’imparzialità
di alcuni studi ‘tranquillizzanti’: “Buona parte della letteratura scientifica
che esclude la cancerogenicità dell’esposizione a radiofrequenze (…) versa in
posizione di conflitto d’interessi, peraltro non sempre dichiarato”, scrivono i
giudici della sezione Lavoro Rita Mancuso, Caterina Baisi e Silvia Casarino,
sulla base delle conclusioni dei consulenti Carolina Marino e Angelo D’Errico,
nominati per rianalizzare il materiale probatorio già soppesato dal ctu del
giudice di Ivrea, Maurizio Crosignani.
“Solidi
elementi” sul ruolo causale dell’uso
Le 36 pagine rappresentano un verdetto
storico, perché per la prima volta un lavoratore ha ottenuto due sentenze di
merito favorevoli in casi simili e la domanda di indennizzo da parte di Romeo –
difeso dagli avvocati Stefano Bertone, Renato Ambrosio e Chiara Gribaudo dello
studio Ambrosio&Commodo – nel corso del 2019 è stata accolta anche dal
Tribunale di Monza. La Corte d’appello torinese non ha dubbi sul caso di Romeo
dopo aver fatto rianalizzare dai nuovi periti tutto il materiale scientifico:
Marino e D’Errico, si legge nella sentenza, hanno fornito “solidi elementi per
affermare un ruolo causale tra l’esposizione dell’appellato alle radiofrequenze
da telefono cellulare e la malattia insorta”.
“Elevata
probabilità del nesso eziologico”
Ad avviso dei giudici, infatti, “esiste una
legge scientifica di copertura che supporta l’affermazione del nesso causale
secondo criteri probabilistici ‘più probabile che non'”. E nel “caso specifico
in esame” è “dato ritenere che” con “criterio di elevata probabilità logica” si
possa “ammettere un nesso eziologico tra la prolungata e cospicua esposizione
lavorativa a radiofrequenza emesse da telefono cellulare e la malattia
denunciata” da Romeo all’Inail.
Le
“maggiori garanzie” degli studi indipendenti
Ma i consulenti e la sentenza vanno oltre.
Sulla qualità della letteratura scientifica in materia di relazione tra tumori
e radiofrequenze, infatti, i consulenti scrivono: “Buona parte della
letteratura scientifica che esclude la cancerogenicità (…) versa in posizione
di conflitto d’interessi, peraltro non sempre dichiarato”, scrivono. In quel
caso, specificano, “si ritiene che debba essere dato minor peso agli studi”.
Una impostazione che viene condivisa dalla Corte d’appello “essendo evidente
che l’indagine, e le conclusioni, di autori indipendenti diano maggiori
garanzie di attendibilità rispetto a quelle commissionate, gestite o finanziate
almeno in parte, da soggetti interessati all’esito degli studi”.
La
storia di Roberto Romeo
Romeo, all’epoca dei fatti, era un tecnico
della Telecom e trascorreva per lavoro tra le 2 e le 7 ore al giorno al
cellulare: in sostanza, calcolando una media di 4 ore al giorno, ha trascorso
840 ore all’anno usando il telefonino per un “tempo stimato complessivo (…)
nell’intervallo di 15 anni intercorso tra il 1995 e il 2010 pari a 12.600 ore”.
E all’epoca, annota la Corte, “non esistevano strumenti che consentissero di
evitare il contatto diretto del telefono cellulare con il viso, come cuffiette
o auricolari”. Negli anni successivi ha poi sviluppato un neurinoma
all’orecchio destro, lato dove utilizzato il cellulare.
Il
legale: “Conferma sugli studi negazionisti”
“Ciò che ci interessava di più dal punto di
vista legale – spiega l’avvocato Stefano Bertone – era la conferma che gli
studi ‘negazionisti’ finanziati dall’industria non potessero andare a fondare,
influenzandolo, il ragionamento dei consulenti dei tribunali nelle cause che
riguardano la telefonia mobile”. La Corte d’Appello, aggiunge il legale, “ci dà
ragione con un concetto tanto semplice quanto decisivo: siccome l’industria ha
interesse all’esito degli studi, chi lavora per lei o con suoi soldi esprime
pareri meno attendibili di chi fa ricerca senza tornaconto”.
Critiche anche all’Istituto superiore di
sanità
I consulenti della Corte d’appello
criticano anche lo studio pubblicato lo scorso agosto dall’Istituto superiore
di Sanità, per il quale l’uso prolungato dei cellulari “non è associato”
all’incremento del rischio di tumori. A loro avviso, lo studio “usa in modo
inappropriato i dati sull’andamento dell’incidenza dei tumori cerebrali” e “non
tiene conto dei recenti studi sperimentali su animali” né “ha diramato
raccomandazioni più stringenti sui limiti di esposizione a radiofrequenze, in particolare
per bambini e adolescenti”, nonostante si dichiari incerto sugli effetti
associati in quell’età a un uso intenso.
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