da: https://www.lettera43.it/
- di L’Alieno Gentile*
Non
chiamiamolo taglio del cuneo: è una mancetta
Riflessioni
in bicicletta. Il provvedimento appena varato è un rimborso fiscale. Non riduce
il costo del lavoro, non crea occupazione e non libera risorse per
l'innovazione. Ancora una volta invece di pensare agli interessi del Paese, la
politica decide di tutelare solo una categoria di lavoratori. Un elettorato
anziché un altro.
Il governo Conte II ha annunciato in tono
solenne, e appena prima della scadenza elettorale di domenica scorsa,
l’introduzione di un taglio del cuneo
fiscale che permette di estendere il bonus di 80 euro ideato da Matteo
Renzi (introdotto dall’art. 1 del D.L. n. 66/2014, e confermato a regime dalla
legge di Stabilità 2015) sia nell’entità – giungendo a un valore massimo di 100 euro – sia nella platea dei beneficiati: oltre 700 mila lavoratori in più.
Siamo ovviamente compiaciuti che a quasi 16 milioni di lavoratori giunga
un piccolo sgravio, ma ci sono almeno due cose che proprio non vanno in questa
vicenda, e la seconda discende dalla prima.
È
SOLO UN RIMBORSO FISCALE
Il governo può prendersi la libertà di
chiamare le cose come vuole, ma un buon
giornalismo dovrebbe porsi il problema di capire se le definizioni date dal
governo siano corrette o no. Il taglio del cuneo fiscale è stato accettato
passivamente
per tale e ha imperversato sui titoli di ogni testata, ma questo provvedimento NON è un taglio del cuneo fiscale. Il cuneo fiscale è, infatti, la quota che separa il reddito netto dei lavoratori dal costo lordo sostenuto per l’azienda.
per tale e ha imperversato sui titoli di ogni testata, ma questo provvedimento NON è un taglio del cuneo fiscale. Il cuneo fiscale è, infatti, la quota che separa il reddito netto dei lavoratori dal costo lordo sostenuto per l’azienda.
Tagliare
il cuneo fiscale è una iniziativa importante perché riduce il costo del lavoro,
favorendo le condizioni che permettono alle imprese di espandersi, svilupparsi,
investire, assumere. Insomma è una manovra che combatte la disoccupazione. Il rimborso fiscale destinato ad alcuni lavoratori,
secondo criteri di reddito, che è stato promulgato (con un impatto di oltre 3 miliardi di euro sul bilancio
pubblico) non costituisce un taglio
del cuneo fiscale, non riduce in alcuna parte il costo del lavoro per le imprese, non ha una funzione di incentivo alle assunzioni e non determina nessun miglioramento della disoccupazione.
UNA
MANCETTA CHE NON RISOLVE I PROBLEMI DELL’ITALIA
Eppure dovrebbe essere un problema che
conosciamo bene: a 12 anni dallo scoppio della Grande crisi finanziaria il tasso
di disoccupazione in Italia è ancora pari al 9,7%, ed è quindi sorprendente,
irritante, vedere i sindacati festeggiare per questo provvedimento, questa “mancetta”, oltretutto dopo che contestarono aspramente il bonus Renzi da 80 euro.
Le iniziative vanno valutate per quello che sono, non in base alle simpatie
verso chi le introduce.
Ancora una volta ci troviamo di fronte a
una situazione che racconta molto della politica e dei problemi economici del
nostro Paese. Una riforma fiscale
sarebbe stata forse più onerosa, ma avrebbe agito in termini strutturali,
non creando asimmetrie tra lavoratori che usano contratti diversi. La ragione
per cui accadono continuamente queste cose è che le rappresentanze politiche tendono, nella loro rotazione al governo, a
legiferare in tutela delle categorie di cui si sentono rappresentanti a danno
delle altre, confidando in un giro di compensazioni e risarcimenti che
arriverà dai governi successivi. Il centrosinistra agevola i salariati, il
centrodestra promette fiscalità agevolata alle partite Iva, una futura
coalizione si occuperà dei dipendenti pubblici, un’altra si occuperà di
facilitazioni per gli esuberi nelle banche.
LA
SMANIA DI TROVARE IL RISOLUTORE CI CONDANNA ALLA DELUSIONE
In tutto questo, è debellata come una brutta malattia l’idea che qualcuno possa governare
pensando agli interessi del Paese nel suo insieme, invece che a tutela di
alcuni contro altri. Ahimè chi dovesse farlo sarebbe visto come un
traditore del suo elettorato che si sente legittimato ormai ad attendersi il
proprio risarcimento dopo una vittoria elettorale. Il problema vero, dunque,
risiede nelle aspettative degli elettori, nella implicita domanda politica che
viene espressa. Come giocatori del
Superenalotto, gli italiani votano sperando di “vincere”, di aver trovato
un risolutore, e di poter “vivere di rendita” grazie alla risoluzione finale
dei problemi.
Dovremmo abituarci all’idea che governare è una cosa diversa, che la
cultura del jackpot milionario che fa sognare di risolvere i problemi della
vita per generazioni non va declinata in politica, il cui ruolo è semmai quello
di costruire piccole conquiste a piccoli passi. Invece la smania di trovare il “risolutore” ci consegna invariabilmente
alla delusione, alla frustrazione, alla continua voglia di azzerare e rifare,
giocare un’altra schedina. La parte del mondo occidentale che va meglio
racconta chiaramente questa storia, e con meno inutile rabbia da frustrazione
ne guadagneremmo anche in salute.
*Dietro
questo nom de plume si
nasconde un manager finanziario.
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