1.
Che cos’è la società signorile di massa
1. Verso
una definizione analitica
Per formulare una definizione precisa di
società signorile di massa, occorre partire da una distinzione importante.
Nelle società occidentali odierne i cittadini, dotati del diritto di voto e più
in generale di tutti i diritti di cittadinanza, sono solo una parte della
popolazione residente (la parte restante è costituita dagli stranieri
immigrati). Questa porzione della società, costituita dai cittadini (“nativi” o
acquisiti), a sua volta è costituita in minima parte da persone che vivono al
di sotto della soglia di povertà assoluta, e in massima parte da persone che
possono essere più o meno ricche, ma comunque non sono povere.
Tradotto in termini marxisti: stiamo parlando di quanti, nella misura in cui
vivono al di sopra del livello di sussistenza, partecipano alla suddivisione
del surplus prodotto dal sistema economico. In una società come quella
italiana, che ha 5 milioni di non-cittadini (gli immigrati) e circa 3 milioni
di poveri di nazionalità italiana, i cittadini non-poveri sono più o meno
52 milioni di individui (su 55), e ovviamente si distribuiscono su un
amplissimo spettro di condizioni economiche e sociali, dall’operaio che
guadagna poco più dello stretto necessario per vivere, al manager che guadagna
parecchi milioni di euro l’anno.
Ebbene, per definire la società signorile
di massa è innanzitutto ai cittadini non-poveri che dobbiamo rivolgere la
nostra attenzione. È infatti la speciale condizione dei cittadini italiani che
vivono al di sopra della soglia di povertà (l’87% dei residenti, ma ben il 94%
di quanti hanno la cittadinanza italiana) che mi induce a parlare di società
signorile di massa. Se la nostra società è diventata “signorile di massa” è
precisamente per come è cambiata la condizione dei suoi membri italiani e
non-poveri, ovvero dei suoi cittadini forti. O, se preferite, per come i
cittadini forti hanno scelto di comportarsi e di vivere.
Certo, il nucleo economico della società
signorile di massa è semplicemente il binomio opulenza + stagnazione. Ma il suo
nucleo sociale, quello che le conferisce il suo marchio e la sua allure, è la
frattura – tutta interna al mondo dei cittadini italiani non-poveri – fra una
minoranza di produttori, che lavora e genera il surplus, e una maggioranza di inoccupati, che al surplus
può accedere senza contribuire a produrlo.
Fatto 100 il numero di residenti di almeno
quindici anni, nella società italiana convivono tre segmenti fondamentali.
I primi due segmenti sono costituiti
dall’insieme dei cittadini italiani, la stragrande maggioranza dei quali
(94%) non si trova in condizione di povertà assoluta. Quel che
distingue fra loro i due segmenti è che il segmento minore (L) è formato da
lavoratori, di cui circa l’81% a tempo pieno o più che pieno (straordinari e
doppio lavoro), mentre quello maggiore (N) è costituito da non-lavoratori,
perlopiù in relazione di parentela con i primi. Come si vede dal diagramma, il
peso dei non-lavoratori (52.2%) è nettamente superiore al peso dei lavoratori
(39.9%).
Il terzo segmento (S) è costituito dai
lavoratori stranieri, di cui ben 1 su 3 è in condizione di povertà assoluta.
Per quanto elementare, questa tripartizione
ci restituisce l’essenziale della struttura profonda della società signorile di
massa. Da una parte la dialettica fra cittadini italiani, quasi mai poveri, e
ospiti stranieri, molto spesso in condizione di povertà assoluta: l’incidenza
della povertà fra gli stranieri è oltre cinque volte quella fra i cittadini
italiani. Dall’altra la dialettica, essenzialmente interna alle famiglie
italiane, fra la maggioranza che consuma senza lavorare, e la minoranza che
sostiene il consumo di tutti.
Il processo che ha condotto, in Italia,
alla formazione di una società signorile di massa non si è compiuto nel giro di
poco tempo, ma ha richiesto circa mezzo secolo, perché le tre condizioni che
definiscono la società signorile di massa si sono sviluppate in tempi diversi,
finendo per stratificarsi l’una sull’altra. Queste tre condizioni, lo abbiamo
visto, sono il crollo del tasso di occupazione, il consumo opulento, la fine
della crescita. Si tratta ora di darne una caratterizzazione precisa.
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