3. Surplus e consumo opulento
Condizione 2: la condizione signorile,
ovvero l’accesso a consumi opulenti da parte di cittadini che non lavorano,
diventa di massa.
Più complessa, e certamente più arbitraria,
è la specificazione della seconda condizione. Essa tuttavia è cruciale. Per
parlare di consumo signorile occorre infatti non solo che il surplus consumato senza
erogare alcun lavoro riguardi almeno metà della popolazione, ma che per una
parte non trascurabile tale consumo sia cospicuo, ovvero capace di soddisfare
esigenze che, tipicamente, in passato solo i “signori” potevano permettersi.
Se fossimo ancora negli anni sessanta, ne
segnalerei almeno una quindicina: le cure mediche, l’istruzione,
un’alimentazione completa (non solo la domenica), la luce elettrica, l’acqua
potabile, i servizi igienici in casa, il telefono, gli elettrodomestici,
l’abitazione di proprietà, l’automobile, la villeggiatura, i viaggi di piacere,
il cinema, la fruizione della cultura. Si tratta di conquiste che ora ci
appaiono naturali o scontate ma che in Italia, anche solo una cinquantina di
anni fa, all’apice del miracolo economico (1963), non lo erano affatto, perché
coinvolgevano solo una minoranza della popolazione, l’élite dei borghesi e –
appunto – dei “signori”. Ancora nel 1961, anno del secondo censimento dopo la
fine della guerra e in pieno boom economico, le famiglie che vivono in
abitazioni dotate di elettricità, acqua corrente e bagno sono appena il 28%.
Quelle che sono proprietarie della casa in cui abitano sono meno del 50%, e
così quelle che hanno un televisore in casa. Quelle che possono permettersi
un breve periodo di ferie sono appena il 15%. Quanto all’automobile, sono meno
del 7% gli italiani che ne posseggono una.
Ora però non siamo negli anni sessanta del
Novecento. Che cos’è qualificabile come cospicuo oggi? Quali sono i consumi che
possiamo definire opulenti ora che quasi tutti hanno la TV, gli
elettrodomestici, il bagno in casa? Qual è la soglia che permette di affermare
che il livello, e il grado di diffusione, del benessere di una società
autorizza a qualificarla come opulenta?
Una possibile risposta è che la soglia è
quella che fa sì che diversi e significativi beni voluttuari, o decisamente di
lusso, siano posseduti o fruiti da oltre la metà dei cittadini italiani.
Questo passaggio fondamentale non avviene
con il miracolo economico (1958-1963), che si limita a sancire l’uscita delle
masse popolari dalla povertà, grazie all’accesso a beni e servizi per così dire
“basici” (dal cibo all’acqua potabile in casa), e la conquista da parte di una
minoranza degli italiani dei primi segni tangibili del benessere, come
elettrodomestici, automobile, vacanze.
La transizione verso una società opulenta
avviene solo tra gli anni ottanta e i primi anni duemila, coinvolge
essenzialmente i ceti medi, e riguarda beni che, visti con gli occhi di chi era
adulto ai tempi dell’austerità (quella degli anni settanta) sono beni
voluttuari, o di lusso, talora persino frivoli, segnali inequivocabili di una
società arrivata.
Come sociologo, la descriverei così. Non
l’auto, ma la seconda auto, magari personalizzata con una serie di optional.
Non la casa, ma la seconda casa, possibilmente al mare o in montagna. Non
la bici o il pallone, sport popolari ed economici, ma le costose attrezzature
da sub o da sci. Non le solite vacanze di agosto presso i parenti, ma weekend
lunghi e ripetuti (d’inverno ai monti, d’estate al mare) e, per le ferie (non
solo quelle di agosto), pacchetti all-inclusive, per isole e paradisi più o
meno esotici. Non la vecchia TVpubblica in bianco e nero, ma il variopinto
mondo delle TV a colori, commerciali e non, satellitari e digitali
terrestri, con i loro abbonamenti al calcio, ai film e alle serie TV.
E ancora. Non la scuola sotto casa per i
figli, ma i corsi di lingue e judo, l’ora di sport, le lezioni private, gli
infiniti scarrozzamenti dei pargoli fra un’attività e l’altra, in un turbine di
baby-sitter, colf, pedagoghi domestici. Non i vecchi cibi di sempre, magari un
po’ più abbondanti, ma il multiforme mondo dei cibi alternativi, macrobiotici,
vegetariani, new age, vegani, biologici, esotici, etnici, equi e solidali. Non
la banale serata in pizzeria, ma i lunghi apericena preparatori di vagabondaggi
notturni. Non il medico per le ordinarie malattie del corpo, ma lo sterminato
esercito dei medici alternativi, o dell’anima: psicanalisti, psicoterapeuti,
guide spirituali, guru, santoni, massaggiatori, osteopati, chiropratici, e
infine – ultima moda – il business degli allenatori personali, coach e personal
trainer. Per non parlare dell’irrompere, a partire dagli anni novanta, dei
consumi tecnologici: TV satellitare, impianti HI-FI, telecamere
digitali, registratori portatili, agende elettroniche, iPod, iPad, computer di
ogni genere e foggia, telefonini, videofonini, megaschermi ultrapiatti, insomma
un vero e proprio arsenale di cui pare non si possa proprio fare a meno
per “stare al passo con i tempi”.
Ma la fenomenologia di questa “seconda
transizione” consumistica, che completa e amplia la prima (quella del
miracolo economico), non è ancora una definizione statistica. Non basta a
individuare in termini precisi la seconda condizione che autorizza a parlare di
società signorile di massa, ossia l’accesso della maggior parte dei cittadini
italiani a consumi opulenti. Per specificare tale condizione dobbiamo fissare
un livello-soglia dei consumi non necessari.
Ed ecco allora una possibile definizione
statistica: nella popolazione nativa il surplus, ossia il consumo che
eccede i bisogni essenziali, supera il triplo del livello di sussistenza.
Ovvero: il consumo medio supera il
quadruplo del livello di sussistenza.
Dove, precisazione importante, per livello
di sussistenza non intendiamo un livello fisso o assoluto, bensì quello che
storicamente si è affermato nelle varie epoche, e che è cresciuto costantemente
dal 1951 a oggi (oggi il livello di sussistenza per una famiglia di due persone
è di circa 12.000 euro l’anno, oltre il doppio di quanto era nel 1951).
Perché proprio questa soglia?
La ragione è relativamente semplice:
un’analisi empirica della storia economica del nostro paese mostra che questo,
di fatto, è il livello superato il quale la fenomenologia descritta sopra,
che abbiamo chiamato seconda transizione consumistica, si completa e si
generalizza, e alcuni beni e consumi pregiati, fino a pochi decenni prima
riservati a un’élite, risultano tutti goduti da più di metà dei
cittadini italiani.
Ma quali beni pregiati?
Lasciando perdere i beni a larghissima
diffusione, quali bagno in casa, elettrodomestici, televisore, tutti beni che
erano ancora di élite durante il miracolo economico, ma già dieci anni dopo sarebbero
stati percepiti come irrinunciabili, e lasciando pure da parte i beni che in
passato semplicemente non esistevano, come i beni ipertecnologici, mi sembra
che una lista minimale possa includere: la casa di proprietà, l’automobile, le
vacanze lunghe. In tutti e tre i casi si tratta di beni ambiti, il cui costo
supera – largamente o molto largamente – l’importo di uno stipendio mensile, e
che proprio per questo sono stati a lungo privilegio dei “signori”.
Ebbene, se ci chiediamo qual è il rapporto
fra surplus e consumo di sussistenza oltrepassato il quale i nostri tre beni
pregiati sono divenuti tutti e tre accessibili a più di metà dei cittadini
italiani, la risposta è: intorno a 3. Ossia: è solo quando il surplus
appropriato dai cittadini italiani ha superato il triplo del reddito di
sussistenza che l’accesso ai nostri tre beni pregiati è diventato
maggioritario.
Più esattamente, perché si generalizzasse
la proprietà della casa è stato necessario superare il livello 2, per quella
dell’automobile il livello 2.5, per le vacanze lunghe, infine, il livello 3.
Fra i cittadini italiani, la casa di
proprietà è diventata un bene di massa nei primi anni settanta, l’automobile
alla fine degli anni ottanta, le vacanze (brevi e lunghe) nei primi anni
duemila. Oggi casa di proprietà e automobile, fra le famiglie italiane, hanno
un livello di diffusione prossimo all’80%, mentre le vacanze si collocano nei
pressi del 65%. È ragionevole ipotizzare che ad accedere a tutti e tre questi
beni – casa di proprietà, automobile, vacanze lunghe – sia più della metà delle
famiglie di cittadini italiani.
Ma attenzione. Con questo non vogliamo dire
che disporre prevalentemente di questi tre beni di per sé definisca la
condizione signorile, ma solo che – come vedremo in dettaglio nel prossimo
capitolo – l’accesso di massa a tali beni:
(1) è avvenuto quando (nei primi anni
duemila) il rapporto fra surplus e consumo di sussistenza ha superato il
livello 3;
(2) di fatto si è accompagnato a
un’imponente espansione di consumi e modi di vita che, considerati nel loro
insieme, possiamo definire opulenti.
Ed ecco il punto. Dal momento che a
lavorare è una minoranza dei cittadini italiani, e la maggioranza che non
lavora, quasi sempre, è legata a quella che lavora attraverso le relazioni familiari
di coniuge, figlio, genitore, ecco che siamo in presenza del tratto distintivo
della società signorile: l’appropriazione di una porzione significativa del
surplus da parte di chi non lavora. Con un’importante qualificazione: ora i
signori sono più numerosi dei produttori.
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