Conte
e Di Maio scelgano da che parte stare in Libia
L'equidistanza
di Roma tra al Serraj e Haftar non porterà a nulla. L'Italia potrebbe mediare
solo se avesse una posizione di forza. Visto che non ce l'ha, si schieri senza
ambiguità.
di Carlo
Panella
È impresa ardua e faticosa inanellare tutte
le incredibili gaffe inanellate da Luigi
Di Maio e da Giuseppe Conte – e quindi, ahimé, dall’Italia – nella gestione della crisi libica. La
gaffe incredibile, l’enorme sgarbo istituzionale e protocollare nei confronti
di al Serraj da parte di Conte che ha invitato a Roma mercoledì sera per primo
Kalifa Haftar a Palazzo Chigi provocando la ovvia e giusta reazione sdegnata di
al Serraj che ha annullato l’incontro prima accettato, rifiutando di essere
trattato alla pari con chi lo bombarda, è solo l’ultimo episodio di una lunga
serie di errori che dimostrano una sola cosa: né il presidente del Consiglio, né il titolare della Farnesina hanno la
minima idea di come comportarsi in una seria crisi internazionale. Non padroneggiano
neanche i fondamentali, l’Abc della politica estera.
IL
GOVERNO DOVREBBE DIFENDERE GLI INTERESSI NAZIONALI
Inanzitutto, il nostro ministro degli Esteri e il nostro presidente del Consiglio non
hanno ancora capito che il loro compito non è enunciare principi astratti ispirati ad un pacifismo dozzinale,
ma intervenire concretamente nella realtà per difendere
gli interessi nazionali
dell’Italia. E la realtà è che in Libia si combatte una guerra, dichiarata unilateralmente da Khalifa Haftar che dall’aprile scorso
ha lanciato le sue truppe «alla conquista di Tripoli». In una guerra o si sta
da una parte o dall’altra. Tertium non datur. Si sta col governo riconosciuto dall’Onu o si sta con chi contro quel
governo (e sugli abitanti di Tripoli) lancia bombe e missili.
UN
RUOLO DI MEDIAZIONE BASATO SUL NULLA
Ma sono passati nove mesi e Di Maio e Conte continuano a dimostrare
“equidistanza” tra Bengasi e Tripoli alla
ricerca di un ruolo di mediazione che si basa semplicemente sul nulla.
L’Italia potrebbe mediare solo e unicamente se avesse una posizione di forza, argomenti pesanti da mettere sul
tavolo per obbligare Haftar o al Serraj a sospendere il fuoco. Ma non ne ha
oggi nessuno. Tranne vacui appelli di
principio tipo quello tragicomico
enunciato mercoledì da Di Maio che ha proclamato: «Bisogna smetterla di
vendere armi, bisogna fermare ogni interferenza esterna in Libia». Chi la ferma? E come? Qui si arriva al
tragicomico perché l’ineffabile Di Maio
ha dichiarato: «A proposito di quanto riportato da alcuni organi di stampa, in
sede europea non si è mai parlato di riattivare Sophia, al contrario».
Immediatamente e clamorosamente smentito
dal mister Pesc dell’Ue Josep Borrell che ha dichiarato esattamente il contrario: «La missione Sophia ha, fra
gli altri, il compito di sorvegliare il rispetto dell’embargo sulle armi su
mandato dell’Onu. Ridare alla missione Sophia di nuovo gli elementi operativi è
sempre stato sul tavolo e sicuramente ne parleremo». Palesemente Di Maio non legge neanche i dossier. Giustamente, Marco Minniti, che a suo tempo
aveva pieno controllo della crisi libica e sa come comportarsi di fronte a una
guerra guerreggiata, ha invitato Italia ed Europa a «definire insieme un unico
interlocutore per la Libia». In trasparenza, l’ex Lord of Spy auspica quindi
che l’Italia e Bruxelles si schierino con al Serraj e con Tripoli, non certo
con gli assalitori. Tertium non datur.
COINVOLGERE
PUTIN È UN ULTERIORE ABBAGLIO
Ma non basta, non finiscono qui i fumosi strafalcioni di Di Maio e Conte. Franco
Frattini ha rivelato martedì scorso di essere stato contattato da Di Maio nella
prospettiva di proporre a Vladimir Putin
la sospensione delle sanzioni europee in cambio di un suo allentamento radicale
dell’appoggio ad Haftar. Ma Putin non è determinante in Libia, non ha affatto
l’egemonia sul terreno, non è in grado di operare in Libia come fece in maniera
determinante in Siria. La ragione è semplice: in Siria la Russia ha operato un massiccio dispiegamento militare di
terra, di mare e di aria. Ha combattuto pesantemente sotto la propria bandiera.
In Libia Putin si è limitato invece ad
appoggiare l’invio di qualche centinaio di mercenari dell’organizzazione
privata del suo amico Wagner. Khalifa
Haftar è grato a Putin per l’aiuto eccellente datogli da questi super
combattenti russi sul terreno. Ma prende
ordini – e soldi – non da Mosca, ma dal Cairo, da Riad e da Abu Dhabi che
lo forniscono di centinaia di milioni di dollari coi quali paga i mercenari
russi e africani, che gli forniscono mezzi pesanti e munizioni e che
soprattutto gli garantiscono l’azione efficace dell’aviazione. Putin è attore
secondario in Libia, tanto è vero che nell’incontro con Erdogan di mercoledì
non ha avuto remore o problemi nel proporre una sospensione dei combattimenti
libici a partire da domenica 12 gennaio. Tregua che difficilmente Haftar
accetterà perché ne può approfittare unicamente al Serraj per consolidare gli
aiuti militari turchi che stanno arrivando copiosi a Tripoli (e probabilmente
anche ad Algeri, che può accettare la sua richiesta di ospitare aerei ed
elicotteri da guerra di Ankara che possono rovesciare le sorti del conflitto).
Tregua più che incerta quindi.
DI
MAIO E CONTE MANCANO DI COGNIZIONE MILITARE
Infine, ma non per ultimo: Di Maio e Conte non hanno la minima cognizione
militare (come ampiamente dimostrato in tutti gli strafalcioni che hanno
fatto e continuano a fare) e non si rendono conto che sul terreno l’intervento
militare turco cambierà radicalmente le sorti della guerra in Libia. I militari turchi, soprattutto se
arriveranno a essere i 3.500 promessi da Erdogan, hanno una professionalità e una capacità operativa bellica incomparabile a quella delle eterogenee
forze militari messe in campo da Haftar. Hanno l’esperienza di 36 anni di
guerriglia e contro-guerriglia nel Kurdistan iracheno nel quale del 1984 a oggi
hanno lasciato non meno di ben 8.000 caduti nei conflitti a fuoco e negli
attentati del Pkk. Non si vede la ragione per la quale Erdogan – e il suo
alleato al Serraj – non sfruttino l’occasione di infliggere ora una sonora
lezione e una sconfitta militare e politica a Khalifa Haftar (e quindi
all’Egitto, all’Arabia Saudita e agli Emirati).
LA
VERA PARTITA LIBICA
In Libia
è in gioco una partita determinante
per l’egemonia all’interno del mondo sunnita (1 miliardo di fedeli nel
mondo), pro o contro i Fratelli
Musulmani e sarebbe bene che anche l’Italia ne prendesse finalmente atto
perché è la chiave di volta per comprendere il perché di tanti e tali «aiuti
militari esterni». Speranza vana, vista la bassissima
caratura e l’inesperienza del nostro governo.
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