Per
il Censis, sono 8 milioni gli italiani pessimisti assoluti, già convinti
che la democrazia liberale abbia i giorni contati e che
a sostituirla sarà una qualche forma di regime autoritario
Una politica che non riesce a dare risposte
e finisce quasi con il suicidarsi sta facendo pagare un prezzo elevato agli
italiani: l'innesco di crescenti pulsioni antidemocratiche. E la tentazione è
quella di mettersi nelle mani dell'uomo forte e consegnargli il potere.
Sono 8 milioni gli italiani pessimisti
assoluti, già convinti che la democrazia liberale abbia i giorni contati e che
a sostituirla sarà una qualche forma di regime autoritario. Lo rileva il Censis
nel suo 53esimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese.
I
numeri
Impietosa la fotografia. Oggi solo
·
il 19% degli italiani parla frequentemente
di politica quando si incontra
·
il 76% non ha fiducia nei partiti (e la
percentuale sale all'81% tra gli operai e all'89% tra i disoccupati)
·
Il 58% degli operai e il 55% dei
disoccupati sono scontenti di come funziona la democrazia in Italia
Il Rapporto Censis ci dice che la sfiducia
è il fil rouge del rapporto tra società italiana e politica. Alle elezioni
politiche del 2018 i non votanti - intesi come la somma di astensioni, schede
bianche e nulle - erano il 29,4% degli aventi diritto: il 26,5% nel Nord-Ovest,
il 24,5% nel Nord-Est, il 27,1% nel Centro, il 35,5% nel Sud e nelle isole.
Tra il 2001 e il 2018 il dato nazionale è
aumentato di 5 punti percentuali, con incrementi maggiori in Emilia Romagna
(+9%), Trentino Alto Adige e Liguria (+8%), Sardegna (+7,8%) e Lombardia
(+7,3%). Si tratta di un processo di estraneazione di lungo periodo che ha
contagiato ormai largamente anche i territori tradizionalmente a piu' alta
partecipazione elettorale. Solo il 19% degli italiani parla frequentemente di
politica quando si incontra: il 17% degli operai, il 23% di chi svolge mansioni
impiegatizie, fino al 38% e al 35% rispettivamente di manager e direttivi,
imprenditori e lavoratori autonomi.
I
più scontenti
Finisce che l'estraneità politica dei
soggetti meno abbienti è un fattore determinato e anche determinante di
macchine politico-partitiche autoreferenziali e al contempo fragili. Così, se
il 76% degli italiani dichiara di non nutrire fiducia nei partiti politici, la
quota sale all'89% tra i disoccupati e all'81% tra gli operai. Sono proprio
questi ultimi gruppi sociali a essere anche più scontenti di come funziona la
democrazia in Italia: lo sono il 58% degli operai, il 55% dei disoccupati,
mentre i valori scendono al 34% tra manager e quadri, e al 42% tra imprenditori
e lavoratori autonomi.
Per il Censis questi sono segnali evidenti
dello "smottamento" - in temi di alluvioni e disastri ambientali non
si poteva trovare termine piu' adeguato - del consenso, che coinvolge
soprattutto chi sta sui gradini piu' bassi della scala sociale. E questo apre
la strada a tensioni che si pensavano ormai per sempre nella soffitta della
storia, come l'attesa quasi messianica dell'uomo forte che tutto risolve. Il
48,2% degli italiani oggi lo vorrebbe un "uomo forte al potere" che
non debba preoccuparsi troppo di dover rendere conto a Parlamento o di elezioni.
Un Paese
antiparlamentarismo
Ed è un dato che sale al 56% tra le persone
con redditi bassi, quindi al 62% tra i soggetti meno istruiti e al 67% tra gli
operai. Si sta nuovamente sviluppando nel Paese un antiparlamentarismo in cui
la democrazia e le sue istituzioni sono pensate esclusivamente - dice il Censis
- come una "futile, voluttuaria e inutilmente dispendiosa intermediazione
al tempo della disintermediazione totale".
E in questo contesto i tentativi del ceto
politico di riprendersi un ruolo appaiono non tanto e non solo come
"improvvisi sussulti di arroganza" quanto come "velleitari
tentativi" di tornare a un tempo in cui la politica disponeva di strumenti
- dalla Pubblica amministrazione all'ampia spesa pubblica - con cui incidere
efficacemente sul reale.
Appare decisiva l'inefficacia della
politica, è come uno iato tra gli annunci sempre più moltiplicati al'infinito e
la sostanziale inazione che si manifesta nell'incapacità di dare corso anche a
quelle sono soluzioni semplici. E le frequenti diatribe interne all'elite
politica non modificano il punto di vista degli italiani, i quali tendono a
considerare il ceto politico unicamente come un aggregazione omogenea di
privilegiati.
Del resto, gli sforzi della politica per
elaborare in questi anni soluzioni alternative e in competizione tra loro si
sono rivelate senza esito, senza risposta - cosi' dicono gli italiani - alla
sfida dell'inefficacia della politica stessa e non sono riuscite a fermare la
caduta della sua 'social reputation'.
La
politica come specchio di appetiti
Perché laddove la politica si è proposta
come garante della capacità dell'Italia di rispettare impegni sovranazionali e
tenere fede alle promesse fatte ai mercati finanziari, in realtà tale azione è
stata percepita come una sorta di tramite freddo, asettico, se non odioso, per
imporre il volere degli altri, il volere dei potentati lontani, facendone
pagare il costo alle famiglie italiane. E laddove la stessa politica si è
proposta come specchio di appetiti e paure degli italiani, si è invece tradotta
in un mix di improvvisazione, autocompiacimento e incompetenza, ovvero una
"indigesta - dice il Censis - produzione di consenso a mezzo di problemi,
e non invece a mezzo di soluzioni.
Questo ha finito con l'aumentare nella
percezione degli italiani la perdita di reputazione, la sfiducia nei partiti e
nella stessa democrazia parlamentare è sprofondata. Ecco perché poi ogni
proposta che penalizzi la politica, si pensi alla riduzione del numero di
parlamentari o al tema del finanziamento pubblico ai partiti, trova oggi largo
consenso popolare e - paradosso estremo - viene inseguita dagli stessi politici
in una sorta di "autolesionistica rincorsa all'amputazione". Questo è
appunto il suicidio in diretta della politica, "incapace di spezzare la spirale
i irrilevanza e velleitarismo se non correndo dietro alle idee estreme di
minimizzazione della democrazia parlamentare".
La
crisi di fiducia minaccia la democrazia
È in atto una crisi strutturale della
fiducia che minaccia da vicino il consenso di base alla democrazia italiana:
non c'è solo il mito dell'uomo forte al comando ma cresce anche quello della
democrazia diretta, presentata come la sostituzione ideale di quella
parlamentare. E non a caso la maggioranza degli italiani - il 52,6% - si dichiara
convinto che la democrazia parlamentare debba essere sostituita da quella
diretta, di cui le piattaforme digitali sono la versione 2.0.
Da non trascurare però anche quei circa 8
milioni di italiani che sono i pessimisti assoluti, già convinti che la democrazia
liberale abbia i giorni contati e che a sostituirla sarà una qualche forma di
regime autoritario. Secondo il Censis è comunque probabile che non andrà così,
ma ciò non toglie che non sia salutare lasciare condensar, senza reazioni
efficaci, un fondo limaccioso di culture antidemocratiche nel cuore della
società. Gli esiti possono essere infatti imprevedibili e spiacevoli.
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