da: https://www.linkiesta.it/it/
- di Andrea Fioravanti
Secondo
il Financial Times, il governo cinese ha ordinato di rimuovere entro tre anni
tutti i pc e i software stranieri dagli uffici dei dipendenti pubblici. Intanto
Washington minaccia nuovi dazi contro l’Italia se approverà la web tax
Lo scontro
sui dazi tra Stati Uniti è Cina è diventata una guerra fredda tecnologica
senza che ce ne accorgessimo. Secondo il Financial
Times, il partito comunista cinese
avrebbe ordinato di rimuovere entro tre
anni tutti i Pc e i software stranieri dagli uffici dei dipendenti pubblici.
Parliamo di una cifra imponente tra i 20 e i 30 milioni di componenti hardware
che saranno sostituiti nel 2020 (la metà del totale), 2021 (il 30%) e 2022
(20%). Un colpo micidiale da 150 miliardi di dollari per i fatturati delle
statunitensi Microsoft, Dell e Hp. L’ordine da Pechino è arrivato a inizio anno
ed è la risposta mossa di Donald Trump
di mettere al bando la cinese Huawei
dal mercato Usa per ragioni di sicurezza nazionale. Per il governo cinese il
compito non sarà facile perché hard drive e microprocessori dei computer usati
dai dipendenti statali sono tutte Made in Usa e i principali fornitori di software sviluppano prodotti per sistemi
operativi di Windows e macOS, delle
statunitensi Microsoft e Apple. Un compito difficile che il governo cinese
vuole raggiungere. In palio in questa corsa alla Luna “digitale” non c’è solo
l’autarchia tecnologica ma la supremazia sul 5G nei prossimi vent’anni.
Secondo l’economista americano Nouriel
Roubini questa seconda guerra fredda
sarà «l’inizio della de-globalizzazione
e balcanizzazione dell’economia globale». L’ultima volta aveva predetto prima di tutti la crisi economica del
2008. Potrebbe avere azzeccato di nuovo. Come trent’anni fa, si formeranno due blocchi contrapposti
in cui ognuno offrirà la propria tecnologia al mondo. Succede già per i motori
di ricerca (Google contro Baidu), le
aziende di ecommerce (Amazon contro
Alibaba), e i social network (Facebook, Instagram e Whatsapp contro
WeChat). Ora è il momento di infrastruttura
5G e microprocessori.
In ogni guerra fredda che si rispetti il campo di battaglia in cui contendersi
la supremazia è l’Europa, rimasta indietro nella competizione tecnologica.
Per seguire il mito della concorrenza tra piccoli a tutti i costi, l’Unione europea è stata incapace di
supportare grandi colossi nel mercato digitale e alta tecnologia. Si possono
definire davvero dei giganti la finalndese
Nokia e la svedese Ericcson a meno
che non vogliamo considerare tali Nokia ed Erikkson che faticano a soddisfare
la domanda di infrastrutture 5G e a togliere fette di mercato a Huawei. Secondo
le ultime proiezioni nel 2023 l’azienda cinese dovrebbe coprire oltre un quarto
delle infrastrutture per la tecnologia di quinta generazione nel mondo.
Da mesi Trump è in cerca di alleati in Europa. A fine ottobre il presidente
Usa aveva lanciato un appello ai Paesi che «condividono la nostra mentalità e i
nostri principi» per combattere contro «coloro che vorrebbero utilizzare il 5G come strumento per espandere il
controllo sui propri cittadini e per seminare discordia tra Nazioni». Parole
d’ordine da guerra fredda, ma non tutti gli Stati Ue sono disposti a escludere
compagnie cinesi dai bandi per sviluppare la rete di quinta generazione. Né la Germania, né il Regno Unito
sembrano volersi allineare a Washington. «La vera sfida all’Europa arriva dalla
Cina, capace non solo di copiare i brevetti, ma di crearne dei migliori» ha
ricordato il direttore de La Stampa
Maurizio Molinari, ospite a novembre del Festival de Linkiesta, Nel suo ultimo
libro “Assedio all'Occidente" (La nave di Teseo) spiega che solo
l’alleanza atlantica può proteggere l’Europa dagli attacchi di Cina e Russia ma
in questo momento gli Stati europei sono preoccupati dall’atteggiamento
dell’amministrazione Trump perché i suoi dazi
hanno colpito anche le macchine tedesche, i vini francesi, i formaggi italiani e l'olio
d'oliva spagnolo. Nella seconda guerra fredda non è più scontato che esista
un unico blocco occidentale coeso.
Soprattutto dopo che una settimana fa il segretario al Commercio Robert
Lighthizer ha minacciato di imporre tariffe
fino al 100 percento su prodotti francesi del valore di 2,4 miliardi di
dollari per aver introdotto a luglio una
web tax sulle multinazionali digitali. Lo stesso destino che potrebbe
capitare a Italia, Austria e Turchia,
osservati speciali del governo Usa che potrebbero subire lo stesso destino
dei prodotti francesi. Nella legge di
Bilancio il governo giallorosso ha previsto una tassa del 3% sui ricavi
delle aziende digitali che hanno un fatturato di Almeno 750 milioni di euro.
«Non c’è alcuna minaccia dagli Stati Uniti per la digital tax» ha rassicurato
il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a margine del Consiglio Ue Affari Esteri
a Bruxelles. Ma la posizione italiana rimane ancora equivoca dopo il memorandum firmato con Pechino dal
governo gialloverde. Nella seconda guerra fredda l’Italia da che parte starà?
Con la Cina, con gli Stati Uniti, con l’Europa o da sola? Ecco, invece di
dilaniarsi per la Nutella italiane con nocciole turche o di stracciarsi le
vesti per la riforma del Mes che non hanno neanche capito, perché i sovranisti
di casa nostra non ci spiegano da che parte stanno? Perché prima o poi Lega e Fratelli d'Italia andranno al
governo e non saranno solo i giornali a pretendere una risposta.
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