Questa è una tazzina di autocritica.
Recentemente, diciamo negli ultimi trent’anni, mi sono guadagnato da vivere
ironizzando sull’ignoranza dei politici, non disgiunta da una certa dose di
cafonaggine spacciata per simpatia. Quanto mi sbagliavo. Ieri al Senato è andato in scena un dibattito di tale levatura da fare ammutolire d’invidia Cicerone. Ha cominciato la Lega, scomodando
per Conte un capolavoro della letteratura mondiale: Pinocchio. Ci sparate addosso Collodi? — avranno pensato i
democratici — e allora beccatevi Shakespeare.
Così Delrio ha paragonato Salvini al
parolaio Mercuzio e Conte al palpitante Romeo, forse tenendo per il Pd l’ambito
ruolo di Giulietta. Colpito in ciò che più gli sta a cuore, la cultura, Salvini ha deciso di giocarsi l’arma
fine-di mondo, rivelando la fonte di ispirazione dei suoi selfie dialettici: le massime di Confucio. Mi hanno detto
che Emma Bonino ha rilanciato con Victor
Hugo, ma non l’ho sentita. Dopo la citazione di Matteo Confucio sono
svenuto. Per il dispetto, s’intende. Come ho potuto sottovalutare la preparazione dei nostri governanti o
quantomeno la loro rapidità nel digitare «frasi celebri» su Google?
A rassicurarmi nei miei biechi pregiudizi è
venuto in soccorso un grande classico,
Berlusconi,
con queste sentite parole: «Scusate, vi saluto perché devo andare a p.....e».
Purtroppo non le ha pronunciate in Parlamento, ma allo stadio di Olbia, dov’era
in trasferta con il suo Monza. Neanche lui è più quello di una volta.
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