da: Il Fatto Quotidiano
Gentile dottor Salini, chiunque leggendo la
sua gravissima denuncia sulla indegna gabbia nella quale i partiti (o meglio le
conventicole che si richiamano a questo o a quel capataz) tengono prigioniera
la Rai potrebbe chiedersi se da parte sua non sia inevitabile un gesto
definitivo. Perché non convoca quanto prima il Cda per comunicare la sue
autonome e inappellabili decisioni sulle nomine, prendere o lasciare?
Se i consiglieri decidessero di votarle
contro si assumerebbero essi davanti al Paese la pesantissima responsabilità di
avere compromesso il presente e il futuro dell’azienda, e di avere mortificato
il proprio ruolo per squallide beghe da bottega. Ma neppure si può escludere
che di fronte a un ultimatum secco e senza appello questi signori (ma soprattutto
i loro dante causa) ci penserebbero parecchio prima di mandare in frantumi
l’attuale assetto di potere, e soprattutto le loro poltrone.
Lei ha dichiarato di non avere proceduto
alla nomine “per tenere unito un consiglio che vive le stesse divisioni della
politica”. Mi scusi, ma non riesco trovare nella frase un nesso coerente tra il
disperato tentativo di tenere unito un consesso specchio delle “divisioni della
politica”, con il successivo grido di dolore sulla “politica che deve restare
fuori”. Perché della due l’una. O si decide a cacciare la politica lontano
dalle decisioni che spettano ai vertici aziendali, e dunque a lei in prima
persona. O la “politica”, quella peggiore, alla fine troverà il modo di
liberarsi di lei, magari con la scusa che non è all’altezza del compito.
Infatti, alla sua denuncia la prima reazione del solito, molesto Anzaldi (che
parla a nome del Pd senza essere mai smentito) ha il suono di un ceffone: “Non
faccia la vittima, lavori se ne è capace”.
A questo punto, ne converrà, diventa
difficile per l’opinione pubblica assistere allo spettacolo
di un mercato delle
vacche (e dei direttori di tg) sempre più al ribasso senza pensare che l’ad non
ne sia in qualche modo partecipe. Metta le carte in tavola, eserciti fino in
fondo gli ampi poteri che la legge le conferisce, faccia valere la sua
autorevolezza di manager competente e rispettato.
Perdoni il tono della perorazione, ma sono
un cittadino che paga il canone come milioni di altri cittadini e lo fa perché
la Rai non è un’azienda qualsiasi, ma rappresenta, o dovrebbe rappresentare,
una delle poche realtà ancora esistenti di servizio pubblico. O meglio, di
servizio al pubblico. La paralisi di cui lei si dichiara vittima non è solo
intollerabile, ma anche illegittima. Che diritto hanno i partiti di mettere le
mani su un patrimonio che appartiene alla collettività? Come vede, evito
qualsiasi riferimento ai preoccupanti dati di ascolto e al progressivo vuoto di
potere che dissangua reti e strutture. E stendo anche un velo pietoso sul tragicomico
raggiro che ha coinvolto il presidente
Rai Marcello Foa, degno di “Totòtruffa”.
Insisto: lei è sicuramente in grado di
proporre le nomine per esperienza e competenza a suo giudizio più adatte.
Dunque, lo faccia. Ma se per senso di responsabilità non se la sentisse di
giungere alla resa dei conti, allora ne tragga le conseguenze. Mi creda: meglio una fine dignitosa che questa farsa
infinita.
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