Giorgia
Meloni non viene presa sul serio da nessuno. Chissà perché
di Stefano
Feltri
Giorgia Meloni è il politico italiano più
sottovalutato. Continua a essere trattata come una mascotte, anche se Fratelli
d’Italia è ormai arrivato al 10 per cento. Ha un programma di estrema destra ma
viene percepita come una concreta, pragmatica amministratrice del territorio,
anche se nella sua carriera non ci sono esperienze di governo (con l’eccezione
trascurabile del ministero della Gioventù ai tempi di Berlusconi). Ma Giorgia
Meloni punta al governo e, da qualche tempo, ha iniziato a parlare di politica
economica. Nessuno prende sul serio le sue analisi e proposte. Ho deciso di
riempire questo vuoto, qualcuno doveva pur farlo.
Partiamo da questa agenzia Ansa del 2
dicembre: “Se fossimo costretti a ristrutturare il debito salterebbero le banche
italiane, che detengono il 70 per cento del debito”. Lo ha detto parlando del
Mes la leader Fdi Giorgia Meloni a Quarta Repubblica che andrà in onda stasera
su Rete 4. “L’Unione bancaria converrebbe a noi, alle nostre banche: a che
punto è?”, si e’ chiesta la deputata parlando delle possibili trattative per
rivedere il Mes.
Singolare linea di ragionamento: se
fallisce la Repubblica italiana, con tutto il rispetto per Unicredit e Intesa,
la salute delle banche mi sembra il problema minore. Ma la Meloni sembra
pensare il contrario: il default dello Stato è un problema bancario, non una
catastrofe per cittadini, imprese e pubblica amministrazione. Anche il numero
citato pare un po’ a caso. Sulla base dei dati della Banca d’Italia, ad agosto
2019 il debito pubblico in mano a istituzioni finanziarie residenti era il 46,6
per cento (1.148.129 miliardi su 2.462.623).
Curioso il passaggio sull’Unione bancaria:
uno degli argomenti sovranisti contro la riforma del Meccanismo europeo di
stabilità, il Fondo salva Stati, è che l’unione bancaria abbinata alla
revisione del Mes ora serve ai tedeschi per far pagare a noi italiani
l’imminente salvataggio pubblico delle sue banche decotte (di certo non se la
passano bene, ma le profezie sul collasso di Deutsche Bank si ripetono da dieci
anni). La Meloni pare invece suggerire che siano le nostre banche, non quelle
tedesche, ad aver bisogno di interventi di sostegno.
Un’altra “melonata” notevole arriva dalla
stessa comparsata televisiva. Sempre la sintesi dell’Ansa, 2 dicembre:
“Togliere la concessione ad Autostrade? Secondo me così com’è va rivista. Sono
favorevole alla gestione privata di infrastrutture strategiche, purché restino
di proprietà dello Stato. Ora le concessioni sono una miniera d’oro per gente
che sta seduta e non fa nulla”. Lo ha detto la leader Fdi Giorgia Meloni a
Quarta Repubblica su Rete 4, parlando di Autostrade.
La Meloni è favorevole alla gestione
private di infrastrutture strategiche purché ”restino di proprietà dello
Stato”. Bella scoperta: è il meccanismo delle concessioni che sperimentiamo in
Italia almeno dagli anni Novanta. Ma la Meloni, donna concreta che sa quello
che vuole, avverte: “Ora le concessioni sono una miniera d’oro per gente che
sta seduta e non fa nulla”. E quindi? Non ha appena detto che è favorevole a
questo modello purché la proprietà resti dello Stato? Per inciso: non esistono
concessioni in cui la proprietà passa al concessionario. E’ la differenza tra
concessione e privatizzazione. Ma la Meloni pare avere idee confuse e memoria
corta. Il più grande favore ai Benetton arriva con il decreto, appunto,
salva-Benetton, il 29 maggio 2008. Chi faceva parte di quel governo? Giorgia
Meloni.
Ultima melonata economica, per oggi. 29
novembre, sempre agenzia Ansa, la Meloni parla di Alitalia: “Il problema non è
nazionalizzare sì o no, ma nazionalizzare per fare che cosa?”. Così Giorgia
Meloni, parlando con i giornalisti alla Conferenza di Fdi della Campania. “Se
non partiamo da una riforma seria del trasporto in Italia – ha aggiunto la leader
di Fdi – degli aeroporti, e quindi del vettore nazionale, il problema non si
risolve”. “L’Italia è l’unica nazione che assegna alle compagnie low cost gli
aeroporti internazionali, invece che assegnare loro aeroporti secondari. Se hai
un vettore nazionale, la strategia competitive di quel vettore punta sugli
aeroporti. In Italia, invece, questo non è mai stato fatto”, ha concluso.
Ma che vuol dire? Se la nazionalizzazione è
l’ultima domanda da porsi, qual è la prima? Una grande riforma del trasporto
aeroportuale, per penalizzare le compagnie low cost? Come se fossero
concorrenti dirette di Alitalia che può fare profitti soltanto sul lungo
raggio, non certo sulle tratte brevi. Forse la Meloni pensa che il futuro di
Alitalia sia sulle tratte tra Roma, Catania, Lamezia Terme e Trieste? Auguri.
Anche se domani mattina RyanAir smettesse
di volare, Alitalia continuerebbe a perdere milioni di euro ogni giorno, con il
governo attuale che rinvia ancora il problema con l’ennesimo prestito ponte
(ponte verso il vuoto, visto che i soldi non torneranno mai indietro): altri
400 milioni, dopo i 900 milioni dati alla gestione commissariale e mai
restituiti. Nella migliore tradizione dei politici italiani e romani nello
specifico, dunque sensibili ai voti dell’indotto Alitalia, la strategia della
Meloni è semplice: rinviare il problema in modo da garantire benefici privati e
costi a carico dello Stato.
Certo, tutto questo non sarebbe mai
successo se nel 2008 Silvio Berlusconi e il suo governo non avessero fatto
saltare l’operazione tra Alitalia e Air France. E chi c’era al governo
all’epoca? Ovviamente Giorgia Meloni.
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