da: https://www.linkiesta.it/it/
- di Alberto Negri
L’annuncio
di Teheran dell’imminente superamento dei limiti delle riserve di uranio a
basso arricchimento è un grido di aiuto contro lo strangolamento economico di
Trump al Paese. Ma l’Europa non risponderà (e a Washington l’Italia ha mandato
il peggior rappresentante possibile, Matteo Salvini)
Che cos’è una politica estera dissennata e
criminale? Nel caso dell’Iran ne abbiamo un esempio lampante. Qui la maggior
parte dei commentatori, che in genere non hanno mai visto una guerra e tanto
meno in Medio Oriente, ritiene che non ci sarà un conflitto contro gli
ayatollah. Trump si avvia in campagna elettorale - è uno degli argomenti
principali - e non gli conviene ritentare la conferma alla Casa Bianca con una
guerra in corso. Sono ottimisti e forse sono anche già stati superati dalla
realtà.
Quando Trump l’anno scorso si è ritirato
dall’accordo sul nucleare firmato nel 2015 dal suo predecessore Obama -
decisione presa su spinta di Israele e delle monarchie del Golfo come l’Arabia
Saudita - aveva già fatto il primo passo verso un conflitto.
Non solo l’Iran non aveva violato l’accordo
ma gli Usa mettevano continuamente sanzioni secondarie verso banche, aziende e
Paesi che facevano affari con Teheran: sabotavano l’intesa e impedivano agli
altri di attuarla. Se Teheran continua ad avere difficoltà a diventare un Paese
“normale” come chiede il segretario di Stato Pompeo è proprio perché gli Usa
non vogliono. E lo vogliono ancora meno i loro alleati nella regione perché
l’Iran, secondo Paese al mondo per riserve di gas e quarto per quelle
petrolifere, può diventare una potenza economica concorrente e attirare
capitali e investimenti più di qualunque altro Paese della regione.
L’Italia, per esempio, aveva già firmato un
memorandum di intesa con il presidente Hassan Rohani da 30 miliardi di dollari
per commesse, grandi lavori e commercio. E pur in mezzo a mille difficoltà
resta il primo partner europeo di Teheran.
Così gli americani hanno iniziato la fase
preparatoria della guerra: lo strangolamento economico della repubblica
islamica, soltanto mascherato dall’esenzione per sei mesi di potere acquistare
greggio iraniano. Poi sarebbe cominciato quello che vediamo adesso: una sequela
di provocazioni nel Golfo per fermare non tanto l’apparato militare iraniano ma
soprattutto l’export di petrolio. A bombardare gli iraniani per il momento ci
pensano in Siria caccia e missili di Israele.
Gli americani hanno messo il cappio al
collo dell’Iran e ora intendono stringere la morsa. Potrebbe caderne vittima
proprio il governo moderato del presidente Rohani ormai incalzato dai Pasdaran
e dell’ala dura che non volevano firmare l’intesa sul nucleare del 2015. Se
l’Iran si ribella al soffocamento economico e vanno al governo i duri, si
procede verso la guerra. E in alternativa soltanto “i duri e puri” del regime
possono davvero negoziare un’intesa per evitarla.
A Teheran hanno capito quello che già
sapevano da molto tempo, e cioè che senza un’atomica nell’arsenale sarebbero
stati sempre un bersaglio degli Stati Uniti e dei loro alleati. La conferma è
venuta dall’iniziativa di Trump di aprire negoziati con la Corea del Nord: solo
sei ha l’atomica vieni considerato degno di essere preso in considerazione
dalla Casa Bianca.
Gli iraniani non potranno mai avere
l’atomica e lo sanno perfettamente: altrimenti sarebbero già stati bombardati.
Basti pensare che per le false accuse di possedere armi distruzione di massa
gli americani hanno fatto fuori Saddam Hussein. Gli Stati Uniti hanno già
dimostrato di attuare guerre prive di qualunque giustificazione perché non ne
hanno bisogno: se la inventano e quindi la vendono al mondo intero.
Gli iraniani possono soltanto possedere una
bomba “virtuale”, cioè i mezzi per farla ma senza avvicinarsi troppo e quindi
tenere sulla corda gli Usa e le monarchie del Golfo che sono le prime al mondo
per spesa militare in armi americane e occidentali.
L’Iran corre su un filo sottile, non
soltanto nel Golfo ma anche in Siria, in Iraq e in Yemen. Le altre poste in
gioco di un eventuale conflitto contro gli ayatollah. Gli Usa sono affascinati
come sempre dalla teoria del domino: se cade Teheran, pensano, ci prendiamo
anche tutto il resto e poi passiamo a regolare i conti con la Russia e la
Turchia, un membro della Nato che è ormai è più vicino a Putin che agli Usa e
all’Occidente.
Gli Stati Uniti quindi hanno mandato il
premier giapponese Shinto Abe a provare una finta mediazione con la Guida
Suprema Ali Khamenei ben sapendo che questa missione suonava come una sorta di
ultimatum. E anche abbastanza comico: i giapponesi pur essendo una potenza più
che rispettabile non sono la Russia, la Cina, Francia, la Gran Bretagna, Stati
che fanno parte del consiglio di sicurezza Onu, che hanno l’atomica e sono
garanti dell’accordo sul nucleare insieme all’Onu. Il tentativo di Abe è stato
preceduto da un altro della Germania. Ma si è trattato di manovre dilatorie,
fumo negli occhi: Germania e Giappone sono insieme all’Italia le potenze
sconfitte dalla seconda guerra mondiale e messe sotto protettorato americano.
Cosa volete che contino?
Se uno manda a Teheran giapponesi e tedeschi
significa che vuole dal regime iraniano una resa senza condizioni. Non una
trattativa. Tanto è vero che gli Usa hanno montato l’operazione contro le
petroliere nel Golfo per potere accusare l’Iran proprio mentre Abe si trovava a
Teheran: il premier nipponico deve essersi sentito preso in giro e ha fatto la
figura dello sprovveduto.
Non sorprende quindi che Teheran abbia
annunciato che entro dieci giorni supererà i limiti delle riserve di uranio a
basso arricchimento consentiti dall’accordo del 2015. Non è una minaccia ma una
richiesta di aiuto. Rohani aveva dato 60 giorni ai Paesi firmatari dell’accordo
per rendere concrete le promesse di aggirare le sanzioni petrolifere e bancarie
americane. Una richiesta rivolta in particolare agli europei.
Cosa farà l’Europa in caso di crisi
prolungata e forse di guerra? La Gran Bretagna si è già schierata con
Washington, la Francia fa finta di mediare ma in realtà tiene più alle sue
commesse militari nel Golfo che alla pace in Medio Oriente, la Germania resterà
neutrale, dimostrando ancora una volta di essere una potenza inutile in caso di
conflitto, mentre l’Italia darà le basi agli Usa, come sempre. Salvini non
lascia dubbi: è filo-israeliano, quindi filo-tutto. È d’accordo con Trump su
tutto, dalla guerra all’Iran alla Cina, e afferma che l’Italia deve tornare a
essere il primo partner europeo degli Usa, anche se non lo è mai stata. In
poche parole abbiamo mandato un altro cameriere, per di più disinformato, a
Washington, il quale non vede l’ora di rifilarci gli F-35 non venduti alla
Turchia. Forse lo assumono. Sovranisti su Marte.
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