Se
Ligabue non fa sold out (e va bene anche così)
di Vittorio
Farachi
Qualche giorno fa Ligabue ha scritto in un post che le sue date non stanno andando
benissimo. "Ciao ragazzi, come va?"- inizia il Liga - "allora:
il tour è cominciato e in alcuni stadi, a questo giro, l’affluenza di pubblico
è inferiore alle previsioni dell’agenzia". Su una capienza media di 50.000 biglietti pare che quelli venduti siano 30.000. No, non è una scusa per parlare male del rocker di
Correggio o altro, questa volta Ligabue ha centrato il punto.
Per chi non se ne fosse accorto, da un paio
d'anni a questa parte, la psicosi dei live si porta dietro la febbre del sold
out. Veniamo da un decennio di torpore in cui le major, sia discografiche che, come in questo caso, agenzie di booking,
sono rimaste ancorate ai re del pop (Antonacci, Pausini, Renga..). La
campagna acquisti si esauriva con i talent,
macchine perfette in cui totali
sconosciuti vengono incubati da una produzione televisiva e risputati
superstar, regalando alle etichette una
promo dal valore di centinaia di migliaia di euro. Solo che il pubblico ha iniziato presto a stancarsi di questo giochino, ed ha
cominciato, circa un paio d'anni fa, a buttare l'occhio altrove. Il primo passo
è stato il rap, che arriva in radio
e anche in Italia, con evidente ritardo sul resto del mondo, viene sdoganato al
mainstream. Da lì il passo è stato breve a portarsi dietro tutti gli altri che
facevano musica ma senza venire dai
talent. Probabilmente è per questo che l'indie, che una volta era una vocazione stilistica, ha poi accolto
tutti quelli che avrebbero fatto volentieri il pop dall'inizio, solo che
volevano farlo a modo loro.
Quando i numeri di questi artisti sono diventati troppo grandi da poter
essere ignorati, le major hanno iniziato
a metterci lo zampino. Questo per due motivi: comprare qualcosa di nuovo e
fagocitarlo prima che diventi più grande di te e ti renda obsoleto, e perchè
sai mai che lì ci sia la nuova star della musica italiana. Su questo punto,
visto i numeri di Thegiornalisti,
Calcutta, Salmo, Coez e compagnia, forse c'avevano ragione. C'avevamo
ragione.
Per non perdere il filo restiamo sul mercato dei live, che è poco poetico
chiamare mercato ma questo è un articolo che parla di numeri. Le major in campagna acquisti si muovono
come i colossi che sono, tirando anticipi milionari ad artisti e agenzie che
fino a poco tempo prima suonavano nei circoli arci e che magari hanno avuto chi
il culo e chi il merito di fare le scelte giuste al momento giusto. Solo che
quando qualcuno ti presta tantissimi soldi, di solito, poi li rivuole. Prendere i numeri della rete come
applicabili alla vita reale è uno dei più grandi peccati che puoi
commettere oggi nel mondo del lavoro, questo non significa che non sia stato
fatto negli ultimi due anni da chi ha firmato quei contratti, scegliendo gli
artisti in base ai numeri e non ad uno scouting mirato. Se gli anticipi sono
alti e il tour non va come speravi, almeno puoi far credere che stia andando
così.
Non vuol dire questo che i sold out che vedete in giro siano
finti, quelle sarebbero frodi. Ma ci sono
tanti modi per forzare la capienza di un locale: dal riempirlo di accrediti
allo spostare il palco per segare i posti nel parterre, fino all'affittare un palazzeto, non
vendere molti dei posti e usare l'aver suonato lì come biglietto da visita
perchè la gente possa dire "wow, che fighi loro che hanno fatto sold out
al Forum!". Ovviamente stiamo semplificando molto le cose, non è così
semplice e non significa che funzioni così per tutti, ma non è troppo lontano
dalla realtà.
Se gli sgami lavorativi, tuttavia, esistono
e che Dio li benedica, il fenomeno dei
sold out ha creato una psicosi sulle capienze, rendendo il mondo dei live
in Italia una continua gara al rialzo,
con tour sotto steroidi e locali riempiti ma anche no. Ed è qui che torniamo al
Liga.
Perchè Ligabue
poteva dire che i biglietti stavano finendo, portare il palco più avanti e magari cancellare il parterre,
vendendola come una innvoazione della struttura di un palco fenomenale. Invece no, lo ha detto chiaramente: non
stiamo vendendo come ci aspettavamo. Questa cosa qui, in una riunione,
probabilmente è stata detta negli ultimi due anni per metà dei tour in giro.
Il sold out non è la norma, è un eccezione, è per questo che esiste
una parola così per definire una data in cui i biglietti sono finiti e non il
contrario. La corsa alla data gonfiata
sta avvelenando la musica dal vivo. Sarà che non siamo più abituati a ad
assorbire il fallimento, che tutti devono essere i primi o non sono un cazzo,
ma non aver raggiunto il massimo risultato non vuol dire non aver dato il
massimo. E stavolta ci voleva Ligabue a ricordarlo agli altri.
Nessun commento:
Posta un commento