da: https://www.linkiesta.it/it/
- di Francesco Cancellato
Siamo
realisti, Milano non è il paradiso che molti sostengono sia, ma dall’Expo in
poi, è diventato un laboratorio di sviluppo, democrazia e inclusione.
Un’alternativa alla politica della chiusura, incarnata tristemente dal governo
gialloverde
Non ce ne voglia Cortina, se nelle righe
che seguiranno celebreremo la vittoria politica di Milano. E non ce ne voglia
chi si è rotto le scatole di sentir parlare del modello meneghino
come se fosse una sorta di bengodi senza macchie e senza problemi. Però
oggi vale la pena dirlo, senza troppi distinguo e senza troppa puzza sotto il
naso: è bello vedere l’Italia che vince una competizione internazionale, dopo
aver visto sfumare l’agenzia del farmaco per un soffio, sempre a Milano. Ed è
bello vedere un Paese che esulta assieme, e che assieme ha lavorato - i Comuni
di centrosinistra, le Regioni di centrodestra, il governo gialloverde - per
ottenere il risultato.
Potremmo fermarci qui, però una considerazione politica è d’obbligo.
Ed è una considerazione che prescinde dagli schieramenti e riflette al
contrario lo spirito dei tempi di un Paese che, dal debito ai migranti, si
augura di fare pena, di generare compassione negli altri. O al peggio di
risultare pericoloso agli occhi di chi ci è vicino costringendolo ad aiutarci.
Come siamo arrivati a questa idea perdente e sfigata del nostro Paese, e come
siamo addirittura arrivati a trasformarla in una forma post-moderna di
nazionalismo sarà materia per storici e piscologi. Quel che più ci interessa,
ora, e che la vittoria di Milano e Cortina in qualche modo dimostra, è che un
alternativa all’Italia sfigata è possibile. Che il declino economico, politico
e sociale non è il destino ineluttabile di questo Paese. Che non serve mettersi
la cintura esplosiva attorno alla vita per essere competitivi.
Non
vogliamo tornare sulla questione trita e ritrita del modello Milano e
della sua alterità col resto della penisola. Ci limitiamo, semmai, a rimarcare
come i progetti seri, presentati da
istituzioni serie, guidate da persone serie, possono risultare vincenti, e
Milano negli ultimi anni, è stata l’unica città italiana capace di
presentare progetti vincenti, da Expo 2015 alle Olimpiadi del 2026, passando
per l’Ema sfumata per un soffio, all’ultima curva. Milano sarà pure un contesto
alieno al resto del Paese, ma se lo è perché seria e credibile allora è il
Paese ad avere qualche problema, non certo Milano.
Allo stesso modo, Milano è il simbolo di un
Italia che può aprirsi ai mercati e all’economia globale senza esserne
travolta. D’accordo: un conto è la metropoli e un conto è la provincia. Ma non
c’è bar che ha chiuso, a Milano, perché ha aperto Starbucks. E non c’è piccola impresa che
soffre a causa dell’arrivo degli investimenti delle grandi multinazionali. E
non c’è periferia che non abbia giovato, anche solo nell’immagine, dell’allure
internazionale generata dalle grandi trasformazioni urbane di Porta Nuova e di
City Life. Pur con tutti i difetti del mondo, Milano non si è data persa in
partenza di fronte alla modernità. E, guarda un po’, sta vincendo.
Ancora: Milano è una delle città più inclusive d’Italia, uno dei contesti
urbani che più ha fatto in questi anni, col Comune, con le Fondazioni del
territorio, col privato sociale, con la sua diocesi, per sostenere le persone
meno abbienti, italiani o migranti che fossero. Anche in questo caso, mentre il
resto del Paese si chiudeva a riccio, escludendo chi chiedeva aiuto,
discriminando tra italiani e non “perché non ce n’è abbastanza per tutti”.
Anche in questo caso, dobbiamo registrare la vittoria dei generosi, a riprova
che includere e aiutare gli altri non fa perdere né l’anima né i soldi.
In ultimo, ma questa è più una speranza, la vittoria di Milano e Cortina è la
riprova di un Paese che si ribella
all’idea di non essere capace di organizzare qualcosa senza ritardi, opere a
metà e ruberie assortite. Expo 2015,
che stava pericolosamente deragliando a due anni dalla sua celebrazione è
stato in questo senso lo spartiacque che ha ridato a una città come Milano la
fiducia nei suoi mezzi.
Che oggi alla guida del comune ci siano
l’amministratore delegato e il direttore generale di quell’eventi - Sala da
sindaco, Malangone da direttore generale - è la prova di quanto il rilancio
della città si sia fondato, simbolicamente e non solo, sul successo di Expo
2015. Saranno solo canzonette - circensem, non certo panem - ma l’alternativa
all’Italia della sfiga, del vittimismo e del declino ineluttabile passa anche
da qua.
Nessun commento:
Posta un commento