da: Il Fatto Quotidiano
Dati
personali su web e telefono, il governo dà il via alla sorveglianza di massa
di Fulvio
Sarzana
Un’amara sorpresa attende gli italiani nei
prossimi giorni. Il Senato, infatti, entro
questo fine settimana darà il via definitivo a una norma che all’apparenza
richiama l’esigenza di rispettare le norme europee. Si tratta delle Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2017. Il
disegno di legge, che reca come primo firmatario il nome del presidente del
Consiglio Paolo Gentiloni, è uno di quegli atti
adottati in termini brevissimi, per via scadenze di legge che ne
giustificano l’adozione senza
un’approfondita discussione parlamentare che ne rallenterebbe l’iter.
Per questo motivo, insieme ad atti dello
stesso tipo, come il decreto Milleproroghe, e le stesse norme che compongono la
legge di Bilancio (quando ad esempio si diffonde la notizia che il governo
porrà la fiducia) sono esposti all’inserimento di emendamenti last minute che non sono discussi se non per
pochi minuti e che poi vengono approvati anche dall’altra Camera (in questo
caso il Senato), senza poter essere modificati.
Dunque, queste norme contengono due disposizioni in grado di
cambiare il concetto di sorveglianza di masse per i
navigatori italiani.
1. La prima norma dispone l’allungamento dei tempi di conservazione
dei dati internet e telefonici a sei anni, ed è stata già oggetto di aspre
critiche, provenienti anche dallo stesso Garante della privacy italiano,
Antonello Soro.
2. La seconda norma assegna all’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, Agcom, il potere
di intervenire in via cautelare, sulle comunicazioni elettroniche dei cittadini
italiani, al fine di impedire l’accesso agli stessi cittadini a contenuti
presenti sul web.
Le
norme non possono essere modificate e passeranno così come sono. La
scusa ufficiale è che non si possono procrastinare gli impegni europei, per
cui, come ha dovuto constatare amaramente anche il Presidente dell’Autorità garante per
la Protezione dei Dati personali, il Parlamento, pur in
presenza di norme che contrastano chiaramente con le disposizioni europee che
dicono di voler attuare, le fa comunque passare, per evitare di doverle
discutere in una ulteriore lettura.
Cosa
prevedono le nuove norme, già approvate alla Camera?
E’ semplice.
1. La
prima norma prevede che i provider
italiani, per ragioni di repressione di attività legate al terrorismo,
devono conservare i dati di tutti i
cittadini italiani, in attesa che le autorità inquirenti, decidano di
chiedere informazioni su quei dati.
In soldoni, gli operatori di internet
privati (ovvero chi ci dà accesso ad internet, ci fa telefonare ci consente di
chattare) deterranno per sei anni (quindi per sempre, considerando che la norma
entrerà in vigore da oggi) i dati di tutti gli italiani, a prescindere dalla effettiva
commissione di un reato. Se poi si indaga su un reato, quei dati potranno
essere richiesti ai provider. E di che dati stiamo parlando? Di tutto ciò
che abbiamo detto o fatto attraverso il telefono, le chat o internet.
Ora, immaginiamo
le banche dati che contengono queste informazioni e il rischio che queste banche dati, che a volte vengono conservate
da provider con poche disponibilità finanziarie (o all’opposto da grandi realtà
con milioni di dati), vengano bucate da
un hacker che poi decida di vendere
i dati.
Stiamo parlando di circa cinquemila soggetti (gli internet service
provider) a volte dotati di mezzi minimi, che avranno in mano tutte le nostre vite digitali, che oggi sono
divenute in realtà le vite reali. Qualcuno ad esempio potrebbe voler “bucare” il profilo di un parlamentare, di
un giornalista scomodo, di un oppositore politico interno e/o esterno, e
sapere a chi ha telefonato e quando e a chi una determinata persona o che siti
internet ha visitato. Altro che immunità, questo qualcuno avrà accesso a tutte
le conversazioni telematiche, a tutti i siti visitati e così via.
Si
dirà: “Ma questo vale solo per il terrorismo“, e qui sta il secondo malinteso. Il
provider, infatti, deve comunque raccogliere i dati, senza
sapere se e quando queste informazioni verranno richieste, né può sapere
quest’ultimo il perché gli vengano richiesti i dati: l’operatore, infatti, se
viene raggiunto da una richiesta non la può sindacare, né l’autorità di polizia
può comunicare, per non pregiudicare le indagini, a un soggetto privato il
motivo della richiesta.
2. La
seconda norma è ancora più inquietante. L’ha proposta, e fatta approvare alla Camera come primo
firmatario, il deputato del Partito
democratico Davide Baruffi con un emendamento “sprint”.
Questa norma si ricollega ad una legge già
approvata undici anni fa nel nostro paese relativa ad un decreto legislativo
che ha già ampiamente recepito la norma che dice di voler recepire che
attribuisce alla Magistratura il compito di intervenire sul web. La proposta di
legge sottrae ai giudici (come prevedono la nostra Costituzione e le
nostre leggi, prima fra tutte la legge sul diritto d’autore) il compito di intervenire
in via cautelare sui contenuti sul web. Come ha detto lo
stesso Baruffi, “da oggi con un regolamento dell’Agcom, in Italia si sperimenta la notice and stay down e le piattaforme dovranno rimuovere i
contenuti illeciti e impedirne la
riproposizione”.
Ora, poiché il web è composto di milioni di informazioni che cambiano in
nanosecondi e la maggior parte di questi
dati sono all’estero, non c’è modo
di conoscere in anticipo la riproposizione dei contenuti che la norma
vorrebbe censurare, se non con una
tecnica di intercettazione di massa denominata Deep packet inspection. L’unico
modo, insomma, di fare ciò che il governo sta per fare approvare, è di ordinare ai provider italiani di “seguire”
i cittadini su internet per vedere dove vanno, al fine poi di realizzare
questo “impedimento” alla riproposizione, attraverso un meccanismo di analisi e
raccolta di tutte le comunicazioni elettroniche dei cittadini che intendano
recarsi su siti “dubbi”.
Questo, naturalmente senza alcun controllo preventivo da parte di un magistrato. L’Agcom,
infatti, non ha di fatto potere su operatori che non siano in Italia. E’
per questo che, invece, in sede europea si sta discutendo in modo bilanciato di
risolvere il problema alla fonte, dove nasce l’informazione, e non agendo sui
cittadini presenti sul territorio nazionale.
La cosa, ancorché contraria alle norme
europee già approvate, ha fatto gridare allo scandalo le associazioni italiane di diritti
civili, quelle internazionali, le associazioni di consumatori più
sensibili e gli stessi operatori del web.
Riavvolgiamo dunque il nastro: grazie al Parlamento, i dati dei cittadini
saranno raccolti in banche dati custodite dai provider per un tempo pressoché
illimitato. L’autorità amministrativa ovvero l’Agcom avrà il potere di ordinare ai provider di “seguire “ i
cittadini italiani senza l’ordine di un magistrato.
Benvenuti
nell’Italia della sorveglianza di massa.
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