da: http://www.linkiesta.it/it/
Nell’audizione
sulla Nota di aggiornamento al Deg i magistrati contabili attaccano una
revisione della spesa dettata dall’urgenza che ha portato al “sacrificio di
interi comparti“. Critiche all’eccessivo affidamento ai recuperi dall’evasione
e alla sottovalutazione dei mancati introiti futuri
di Fabrizio
Patti
La spending
review è stata fatta male: ha
comportato il «sacrificio di interi
comparti» dell’economia, come le infrastrutture, e la riduzione della qualità dei servizi pubblici. Ha compresso le
risorse per i settori orientati a favorire l’ampliamento della capacità
produttiva, come la ricerca, l’istruzione e i trasporti. E ha salvaguardato
invece le risorse legate all’invecchiamento della popolazione. Insomma, ha
guardato al breve termine, per «ridurre comunque i livelli di spesa, piuttosto
che ricercare maggiore efficienza nella gestione delle risorse pubbliche». Sono
tutti concetti che arrivano dalla Corte dei Conti, annunciati nell’audizione
parlamentare sulla Nota di Aggiornamento del Documento di economia e finanza da
parte del governo.
Se giornali e agenzie hanno ripreso
soprattutto l’invito dei magistrati contabili a non far deragliare i conti
della spesa pensionistica, bisogna dire che i rilievi sono stati molti. Sul
fronte della revisione della spesa ma anche sull’eccessivo affidamento al
recupero dell’evasione per far tornare i conti e sulle anticipazioni di gettito
fiscale implicite nelle misure degli ultimi anni (attraverso vari incentivi),
che potrebbero riflettersi negativamente sulle entrate degli esercizi futuri.
Cominciamo dalla spending review, che secondo la Nota di Aggiornamento del Def garantirà risparmi per 3,5 miliardi nel 2018: per un miliardo da tagli ai
ministeri e per i 2,5 miliardi rimanenti dall’applicazione del metodo Consip
agli acquisti e (come anticipato dal Sole 24 Ore) dalla rimodulazione di alcuni
trasferimenti a strutture periferiche e altri enti.
Per la Corte
il tema è soprattutto quello della qualità
della spesa. La critica maggiore
la caduta degli investimenti pubblici,
che è stata subita soprattutto dagli enti locali (e a cui ha contribuito la
lentezza della partenza del nuovo Codice degli Appalti). Tra l’agosto 2016 e
l’agosto 2017 la quota di investimenti fissi lordi e acquisto di terreni degli
enti territoriali è scesa dell’8,9%, da 7 a 6,4 miliardi di euro. I contributi
agli investimenti e gli altri trasferimenti agli enti territoriali sono
crollati del 31%, da 9,5 a 6,5 miliardi. Se si considerano i pagamenti per
investimenti sia dello Stato che delle amministrazioni locali nei primi otto
mesi dell’anno il calo è del 4 per cento.
Scrive
la Corte: «Viene rivista in riduzione rispetto al Def la spesa per
investimenti. Un andamento di cui beneficiano i
risultati attesi in termini di indebitamento, ma che segnala anche il permanere
di difficoltà nella traduzione in realizzazioni effettive degli interventi di
sostegno degli investimenti pubblici». La flessione anche nei primi mesi del
2017 «porta a considerare il dato di preconsuntivo dell’anno di incerta
realizzazione». È però possibile,
aggiungono i giudici contabili, che debbano ancora imprimere una spinta alla spesa le misure avviate sul finire del 2016 e nel primo semestre del 2017: si
tratta dei Patti per il Sud, del
programma straordinario per la riqualificazione
delle periferie e degli incentivi
disciplinati dalla manovra correttiva di giugno.
Quanto ai consumi intermedi, la Corte
riconosce i progressi fatti nella loro riduzione. L’avanzo del comparto
passa da 1,6 a oltre 2,8 miliardi nel 2017. Anche nel triennio successivo
l’importo sarà positivo, anche se si ridurrà attorno ai 2 miliardi. Tuttavia,
sugli effetti di questa riduzione della spesa il giudizio è
molto meno benevolo. Il bersaglio è soprattutto la sanità. «La forte pressione
sul contenimento delle risorse si è riflessa nelle crescenti difficoltà di alcune regioni di garantire con carattere di
efficienza e appropriatezza i livelli essenziali di assistenza - si legge
-. Ciò riguarda in particolare la cura
delle disabilità e delle cronicità sempre
più frequenti in una popolazione longeva. Procede con difficoltà
l’integrazione dell’assistenza primaria e delle cure specialistiche, mentre
ampi margini di miglioramento devono ancora compiersi nella continuità
assistenziale modulata sulla base delle condizioni e dell’evoluzione delle
malattie. È sempre più necessario un potenziamento delle cure domiciliari e la
definizione di modelli assistenziali centrati sui bisogni complessivi dei
pazienti».
Gli altri rilievi si concentrano sui fronti delle previsioni e delle entrate.
Le previsioni di crescita del Pil,
previste all’1,5% sia per il 2017 che per il biennio successivo, «risultano più basse nelle analisi dei
principali istituti nazionali e internazionali, privati e pubblici». Il
rapporto euro/dollaro posto alla base delle proiezioni è di 1,19, mentre quello
prefigurato dai mercati futures registra livelli di fine periodo vicini a 1,30.
Entrambi gli scostamenti sono peraltro evidenziati nella stessa Nota di
aggiornamento.
Sul fronte delle entrate, i passaggi chiave sono due. Il primo è l’attenzione
richiesta dalle «anticipazioni di
gettito implicite» previste nelle diverse misure assunte in questi anni
(maggiorazioni su ammortamenti, proroga della rideterminazione del valore di
acquisto dei terreni e delle partecipazioni, rivalutazione dei beni d’impresa,
riapertura dei termini per assegnazione di beni ai soci). Queste anticipazioni
«potrebbero riflettersi negativamente su entrate di pertinenza di esercizi
futuri. E un effetto analogo - continua la Corte -potrebbe derivare dall’estensione dei meccanismi di contrasto
all’evasione, basati sul versamento
dell’Iva all’Erario da parte del cliente-Pubblica amministrazione, in luogo
del fornitore (split payment, reverse charge); essi, se consentono di ridurre i rischi di evasione, potrebbero però alterare
il meccanismo che governa la liquidazione dell’Iva, accelerando nell’immediato
i flussi di gettito che affluiscono all’Erario, ma esponendo il sistema a
future richieste di compensazioni e rimborsi da parte di contribuenti in
credito». In parole più semplici, la
ricerca di risultati immediati e, quindi, attraverso interventi non
strutturali, potrebbe generare effetti distorsivi sull’assetto del nostro
sistema fiscale.
Ma anche guardando a quanto già fatto ci
sono dei cartellini gialli. L’esito della riproposizione della voluntary disclosure viene rivisto in
flessione da 2 miliardi a circa 850 milioni, scrivono i giudici. Solo
parziale è anche l’importo imputato nell’anno quale quota dei proventi attesi
dal rinnovo delle concessioni per l’UMTS, inseriti da questo esercizio tra le
entrate. «Non può non rilevarsi come secondo questi primi dati di
preconsuntivo, degli oltre 4 miliardi
attesi da queste due misure in base alla legge di bilancio si possano considerare realizzati nel 2017 poco più di
1,5 miliardi».
Molto più positive sono le note sul debito pubblico. Vengono enfatizzate le
previsioni di discesa del rapporto debito/Pil al 123,9 per cento a fine 2020. È
la conferma, secondo la Corte, «che quella che si sta aprendo sarà una fase straordinariamente favorevole per
la correzione del debito nonostante la risalita dei tassi incorporata nelle
previsioni. È una occasione che non può essere persa». Alla riduzione
contribuirebbero in senso favorevole la crescita
reale del Pil, l’inflazione, espressa dal deflatore del Pil e l’avanzo
primario. Eserciterebbero, di contro, una spinta comunque al rialzo, ancorché
ridotta rispetto al passato, il costo medio del debito (+14,4 punti) e i
fattori “sotto la linea” (somma algebrica di scarti di emissione, proventi di
privatizzazioni, effetto del tasso di cambio sul debito in valuta, attività
liquide del Tesoro presso la Banca d’Italia ed altre poste) con una spinta al
rialzo pari a 2,3 punti.
La spesa prevedibile per interessi è
considerata in un approfondimento specifico. La durata media residua dei titoli di Stato (salita a poco meno di
sette anni) e i buoni risultati delle
aste recenti non fanno prospettare
grossi rischi di rifinanziamento. È
maggiore quello sull’aumento del tasso di interesse, che comunque dà risultati
relativamente circoscritti. Nella simulazione che considera un aumento di 100
punti base dello spread, il finanziamento del nuovo debito avrebbe un maggiore
costo pari a circa 2,4 miliardi di euro di maggiori interessi il primo anno,
4,7 il secondo anno e 6,9 il terzo anno (in termini di Pil, rispettivamente,
0,14%, 0,26% e 0,39 per cento).
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