giovedì 5 ottobre 2017

Il Def ci toglie servizi e risorse e nessuno lo dice (tranne la Corte dei Conti)



da: http://www.linkiesta.it/it/

Nell’audizione sulla Nota di aggiornamento al Deg i magistrati contabili attaccano una revisione della spesa dettata dall’urgenza che ha portato al “sacrificio di interi comparti“. Critiche all’eccessivo affidamento ai recuperi dall’evasione e alla sottovalutazione dei mancati introiti futuri
di Fabrizio Patti

La spending review è stata fatta male: ha comportato il «sacrificio di interi comparti» dell’economia, come le infrastrutture, e la riduzione della qualità dei servizi pubblici. Ha compresso le risorse per i settori orientati a favorire l’ampliamento della capacità produttiva, come la ricerca, l’istruzione e i trasporti. E ha salvaguardato invece le risorse legate all’invecchiamento della popolazione. Insomma, ha guardato al breve termine, per «ridurre comunque i livelli di spesa, piuttosto che ricercare maggiore efficienza nella gestione delle risorse pubbliche». Sono tutti concetti che arrivano dalla Corte dei Conti, annunciati nell’audizione parlamentare sulla Nota di Aggiornamento del Documento di economia e finanza da parte del governo.


Se giornali e agenzie hanno ripreso soprattutto l’invito dei magistrati contabili a non far deragliare i conti della spesa pensionistica, bisogna dire che i rilievi sono stati molti. Sul fronte della revisione della spesa ma anche sull’eccessivo affidamento al recupero dell’evasione per far tornare i conti e sulle anticipazioni di gettito fiscale implicite nelle misure degli ultimi anni (attraverso vari incentivi), che potrebbero riflettersi negativamente sulle entrate degli esercizi futuri.

Cominciamo dalla spending review, che secondo la Nota di Aggiornamento del Def garantirà risparmi per 3,5 miliardi nel 2018: per un miliardo da tagli ai ministeri e per i 2,5 miliardi rimanenti dall’applicazione del metodo Consip agli acquisti e (come anticipato dal Sole 24 Ore) dalla rimodulazione di alcuni trasferimenti a strutture periferiche e altri enti.

Per la Corte il tema è soprattutto quello della qualità della spesa. La critica maggiore la caduta degli investimenti pubblici, che è stata subita soprattutto dagli enti locali (e a cui ha contribuito la lentezza della partenza del nuovo Codice degli Appalti). Tra l’agosto 2016 e l’agosto 2017 la quota di investimenti fissi lordi e acquisto di terreni degli enti territoriali è scesa dell’8,9%, da 7 a 6,4 miliardi di euro. I contributi agli investimenti e gli altri trasferimenti agli enti territoriali sono crollati del 31%, da 9,5 a 6,5 miliardi. Se si considerano i pagamenti per investimenti sia dello Stato che delle amministrazioni locali nei primi otto mesi dell’anno il calo è del 4 per cento.

Scrive la Corte: «Viene rivista in riduzione rispetto al Def la spesa per investimenti. Un andamento di cui beneficiano i risultati attesi in termini di indebitamento, ma che segnala anche il permanere di difficoltà nella traduzione in realizzazioni effettive degli interventi di sostegno degli investimenti pubblici». La flessione anche nei primi mesi del 2017 «porta a considerare il dato di preconsuntivo dell’anno di incerta realizzazione». È però possibile, aggiungono i giudici contabili, che debbano ancora imprimere una spinta alla spesa le misure avviate sul finire del 2016 e nel primo semestre del 2017: si tratta dei Patti per il Sud, del programma straordinario per la riqualificazione delle periferie e degli incentivi disciplinati dalla manovra correttiva di giugno.

Quanto ai consumi intermedi, la Corte riconosce i progressi fatti nella loro riduzione. L’avanzo del comparto passa da 1,6 a oltre 2,8 miliardi nel 2017. Anche nel triennio successivo l’importo sarà positivo, anche se si ridurrà attorno ai 2 miliardi. Tuttavia, sugli effetti di questa riduzione della spesa il giudizio è molto meno benevolo. Il bersaglio è soprattutto la sanità. «La forte pressione sul contenimento delle risorse si è riflessa nelle crescenti difficoltà di alcune regioni di garantire con carattere di efficienza e appropriatezza i livelli essenziali di assistenza - si legge -. Ciò riguarda in particolare la cura delle disabilità e delle cronicità sempre più frequenti in una popolazione longeva. Procede con difficoltà l’integrazione dell’assistenza primaria e delle cure specialistiche, mentre ampi margini di miglioramento devono ancora compiersi nella continuità assistenziale modulata sulla base delle condizioni e dell’evoluzione delle malattie. È sempre più necessario un potenziamento delle cure domiciliari e la definizione di modelli assistenziali centrati sui bisogni complessivi dei pazienti».

Gli altri rilievi si concentrano sui fronti delle previsioni e delle entrate. Le previsioni di crescita del Pil, previste all’1,5% sia per il 2017 che per il biennio successivo, «risultano più basse nelle analisi dei principali istituti nazionali e internazionali, privati e pubblici». Il rapporto euro/dollaro posto alla base delle proiezioni è di 1,19, mentre quello prefigurato dai mercati futures registra livelli di fine periodo vicini a 1,30. Entrambi gli scostamenti sono peraltro evidenziati nella stessa Nota di aggiornamento.

Sul fronte delle entrate, i passaggi chiave sono due. Il primo è l’attenzione richiesta dalle «anticipazioni di gettito implicite» previste nelle diverse misure assunte in questi anni (maggiorazioni su ammortamenti, proroga della rideterminazione del valore di acquisto dei terreni e delle partecipazioni, rivalutazione dei beni d’impresa, riapertura dei termini per assegnazione di beni ai soci). Queste anticipazioni «potrebbero riflettersi negativamente su entrate di pertinenza di esercizi futuri. E un effetto analogo - continua la Corte -potrebbe derivare dall’estensione dei meccanismi di contrasto all’evasione, basati sul versamento dell’Iva all’Erario da parte del cliente-Pubblica amministrazione, in luogo del fornitore (split payment, reverse charge); essi, se consentono di ridurre i rischi di evasione, potrebbero però alterare il meccanismo che governa la liquidazione dell’Iva, accelerando nell’immediato i flussi di gettito che affluiscono all’Erario, ma esponendo il sistema a future richieste di compensazioni e rimborsi da parte di contribuenti in credito». In parole più semplici, la ricerca di risultati immediati e, quindi, attraverso interventi non strutturali, potrebbe generare effetti distorsivi sull’assetto del nostro sistema fiscale.

Ma anche guardando a quanto già fatto ci sono dei cartellini gialli. L’esito della riproposizione della voluntary disclosure viene rivisto in flessione da 2 miliardi a circa 850 milioni, scrivono i giudici. Solo parziale è anche l’importo imputato nell’anno quale quota dei proventi attesi dal rinnovo delle concessioni per l’UMTS, inseriti da questo esercizio tra le entrate. «Non può non rilevarsi come secondo questi primi dati di preconsuntivo, degli oltre 4 miliardi attesi da queste due misure in base alla legge di bilancio si possano considerare realizzati nel 2017 poco più di 1,5 miliardi».

Molto più positive sono le note sul debito pubblico. Vengono enfatizzate le previsioni di discesa del rapporto debito/Pil al 123,9 per cento a fine 2020. È la conferma, secondo la Corte, «che quella che si sta aprendo sarà una fase straordinariamente favorevole per la correzione del debito nonostante la risalita dei tassi incorporata nelle previsioni. È una occasione che non può essere persa». Alla riduzione contribuirebbero in senso favorevole la crescita reale del Pil, l’inflazione, espressa dal deflatore del Pil e l’avanzo primario. Eserciterebbero, di contro, una spinta comunque al rialzo, ancorché ridotta rispetto al passato, il costo medio del debito (+14,4 punti) e i fattori “sotto la linea” (somma algebrica di scarti di emissione, proventi di privatizzazioni, effetto del tasso di cambio sul debito in valuta, attività liquide del Tesoro presso la Banca d’Italia ed altre poste) con una spinta al rialzo pari a 2,3 punti.

La spesa prevedibile per interessi è considerata in un approfondimento specifico. La durata media residua dei titoli di Stato (salita a poco meno di sette anni) e i buoni risultati delle aste recenti non fanno prospettare grossi rischi di rifinanziamento. È maggiore quello sull’aumento del tasso di interesse, che comunque dà risultati relativamente circoscritti. Nella simulazione che considera un aumento di 100 punti base dello spread, il finanziamento del nuovo debito avrebbe un maggiore costo pari a circa 2,4 miliardi di euro di maggiori interessi il primo anno, 4,7 il secondo anno e 6,9 il terzo anno (in termini di Pil, rispettivamente, 0,14%, 0,26% e 0,39 per cento).

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