«United united
united we stand, united we never shall fall!». Rocco saltò sul
letto.
«Ancora?» si alzò e si precipitò fuori casa
con la canzone dei Judas Priest che risuonava nella tromba delle scale. Bussò
alla porta del vicino. La musica era ad un volume talmente forte che non si
sentiva il suono del campanello.
«So keep it
up, don’t give in...».
Bussò coi pugni, con tutta la forza che
aveva in corpo. Una neve di stucco cadde sullo zerbino. Finalmente la musica si
azzittì. La porta si aprì e apparve Gabriele, il sedicenne brufoloso con una
maglietta dei Motörhead di due taglie più grande.
«Che c’è?».
«Ancora co’ ’sta storia? Mi hai svegliato.
Lo sai che ore sono?».
«Le undici e un quarto».
Rocco rimase in silenzio. Guardò la
finestra delle scale. C’era il sole. Non ci aveva fatto caso.
«Ah. Le undici e un quarto?».
«Sì» fece Gabriele reprimendo un sorriso.
«Ora anche qualche secondo in più».
«Fai lo spiritoso?».
«No, era per la precisione».
Rocco si allontanò. «Be’, comunque, non si
ascolta la musica a questo volume, neanche alle undici e un quarto».
«Ma a quest’ora non c’è mai nessuno.
Pensavo che era andato a lavorare».
Il vicequestore realizzò che il suo non era
stato un sonno normale, era stato un coma lungo dodici ore. Si passò la mano
nei capelli. Si rese conto di essere in boxer a piedi nudi sulle scale a
parlare con un ragazzino di 16 anni. «Allora... vado a fare colazione...» e si
girò.
«La faccia con me. Stavo preparando il
caffè».
Rocco pensò che nella dispensa non c’era
neanche un biscotto. «Dici?».
«Perché no? Sono solo».
Era una casa ordinata, pulita, mobili
moderni e asettici. Le pareti bianche, senza quadri, nessuna libreria se non
uno scaffale con tomi universitari. A terra c’era un parquet dipinto di nero e
un televisore gigantesco troneggiava in un angolo davanti a due divani di pelle
bianchi. Il camino era un ovulo sospeso nell’aria, sembrava il pistillo di un
fiore d’acciaio.
«Venga, andiamo in cucina. Le piacciono i
Choco’s?».
«I che?» avanzava a passo incerto nella
casa. Si sentiva un deficiente in mutande ospite di un adolescente.
«I Choco’s. I cereali al cioccolato».
«No. Mi fa schifo quella roba. E non la
dovresti mangiare neanche tu. Hai la faccia devastata dai brufoli!».
«Vero, ma mi piacciono da matti. Quando
avrò la sua età mi preoccuperò della nutrizione. Per ora birra Choco’s e rock’n
roll!».
La cucina era ancora più pulita del salone.
Anche lì dominava il bianco e una serie di elettrodomestici moderni di
alluminio schierata sul piano lavoro. «Ma perché, secondo te quanti anni ho?».
«Boh... a guardarla così direi... una
sessantina?».
«Tua madre ne ha una sessantina!».
«Mia madre ne ha 42».
«E io ancora ne devo fa’ cinquanta».
Il ragazzo fece una smorfia. «Se dici che
li porto male ti spacco lo stereo».
Gabriele premette il bottone della macchina
del caffè che si riversò nella tazzina. «Tenga. Che cosa vuole mangiare?».
«Boh... che hai a parte i Choco’s?».
L’ospite aprì una credenza sopra il frigo.
«Vediamo... magari le piace quello che prende mamma? Qui vedo della roba ai
cinque cereali, barrette della salute, poi ci sono dei biscotti di soia. Vanno
bene?».
«E portami i biscotti di soia». Si sedette
al tavolo. Le tende erano ricamate, sul frigorifero una ventina di magneti.
«Ecco i biscotti». Il ragazzo si sistemò di fronte a lui. Prese il latte lo
versò nella tazza e ci mise dentro i Choco’s. Rocco afferrò un biscotto, senza
riuscire a staccare gli occhi da Gabriele che s’era avventato sulla colazione.
Prendeva enormi cucchiaiate di cereali che grondavano latte e se li infilava in
bocca masticando rumorosamente. «Fai schifo» gli disse. «Sembri un maiale».
Quello sorrise neanche gli avesse fatto un
complimento. Aveva il mento umido. «Com’è il biscotto?».
«Sa di polistirolo» e bevve il caffè. «Ma
se tua madre rientra e mi trova in mutande in casa sua che dovrebbe pensare?».
«Non rientra. Sta fuori fino a stasera.
Lavora sempre».
«Ma tu a scuola?».
«È chiusa da una settimana. E poi che ci
vado a fare? Tanto l’anno l’ho perso».
«Che classe fai?».
«Il quinto ginnasio».
«E quanti anni hai?».
«Sedici».
«Hai già perso un anno?».
«Sì».
«Sei un deficiente?».
«Così dicono».
Rocco finì il caffè. «Ce l’hai una
fidanzata?».
«Vuole scherzare? Mi ha visto? Ma chi mi
prende?» e scoppiò a ridere mostrando la bocca piena di cereali triturati.
«E chiudi la fogna! Come ti chiami che me
lo sono scordato?».
«Gabriele. Mi chiamo Gabriele».
«Gabriele, è di oggi questo?» fece il
vicequestore allungando la mano sulla sedia accanto dove c’era appoggiato un
quotidiano.
«Sì, siamo abbonati, ce lo portano ogni
mattina».
Rocco si mise a sfogliarlo. «Perché senti
quella canzone dei Judas Priest?».
«Mi fa venire la pelle d’oca. E la canto
come se fosse dal vivo».
«I Judas
Priest so’ burini. Come i Mötorhead» e indicò la maglietta.
«I Mötorhead sono leggenda!» rispose Gabriele
e si alzò per mettere la tazza nel lavello. «Però visto che lei ha una certa
età...».
«Ti spacco la faccia...» e voltò pagina.
«Ora le vado a mettere una cosa che forse
le piace... aspetti qui!» e sparì dalla cucina.
«Se metti i Saxon sei un bambino grasso e
morto!» gli urlò dietro.
«No, molto più soft...».
La riconobbe dai primi due accordi. Changes
di David Bowie. Sorrise felice. Già la stava fischiettando quando Gabriele
entrò in cucina scivolando sulle ginocchia brandendo in mano lo spazzolone del
cesso come fosse un microfono.
«I still don’t
know what I was waiting for, and my time was running wild, a million dead-end
streets and...».
Rocco lo guardava. Cantava a squarciagola,
ispirato, con gli occhi chiusi.
«Of how the
others must see the faker, I’m much too fast to take that test, forza, canti!».
Rocco sorrise abbassando appena il
giornale.
«Ch-ch-ch-changes
turn and face the stranger, ch-ch-changes! don’t want to be a richer man».
Rocco aprì la bocca e si ritrovò a cantare
col metallaro impazzito.
«Ch-ch-changes,
turn and face the stranger, ch-ch-changes just have to be a different man!».
«Vabbè,
abbassa».
«Time may
change me!».
«Abbassa Gabriele!».
Sempre ispirato il ragazzo sgambettò in
salone, abbassò il volume e tornò in cucina. Aveva il fiatone.
«Devi fare un po’ di attività fisica, hai
il fiatone per aver cantato mezza canzone!».
«Ho fatto pure la scivolata».
Rocco riprese a leggere il giornale. «Ma tu
fai sempre ’sti concertini a casa?».
«Ogni tanto...».
«Orca!» fece Rocco.
L’ASSASSINO
DI RUE PIAVE HA UN NOME
L’assassino
che il 13 maggio ha ucciso Adele Talamonti in casa del vicequestore Schiavone
in rue Piave ha finalmente un nome e un cognome…..
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