La raccolta di frasi o parole che evocano la specificità del materno o comunque della relazione in riferimento alle donne è forse una delle piú vaste del calderone del linguaggio sessista. Qui ne riporto solo tre, particolarmente attuali.
Al femminile.
Vittoria al femminile. Cinquina all’insegna del femminile. Risultato al femminile. Un team tutto al femminile. Trionfa la femminilità. La variante della mammitudine è lo spettro del femminile, inteso come la summa di tutte quelle caratteristiche di dolcezza, ancillarità e decoratività che dovrebbero distinguere l’agire delle donne da quello degli uomini. Il femminile non esiste, è solo un costrutto sociale che raduna le aspettative di genere che una comunità applica alla vita delle donne. Poiché per tutti è ovvio che i risultati di un uomo sono frutto della sua intelligenza e applicazione e non della sua presunta essenza maschile, specificare che una donna agisce invece in virtú della sua femminilità è un modo per sminuire le sue capacità e ricondurle alla funzione cosiddetta primaria di madre, moglie, amante. La radice del femminile, insomma.
Figlia. Sorella. Nipote. Zia. Nonna.
Sofia Corradi, ideatrice del programma di scambio studentesco internazionale dell’Erasmus, viene comunemente definita «mamma Erasmus». Katalin Karikó, scienziata che per prima ha messo a punto i percorsi anticovid basati sulla molecola dell’Rna, è finita sui giornali come
«madre del vaccino». Ogni fondatrice, inventrice o scopritrice di qualcosa di rivoluzionario ne diventa immediatamente «la madre», perché le buone idee maschili escono dalla testa, quelle femminili dall’utero. L’uso decontestualizzato del lessico parentale è una delle forme piú sottili, e quindi piú perniciose, del sessismo linguistico e si estende a tutti i legami parentali femminili. Si può essere la zia del giallo inglese, le figlie del Sol Levante, le sorelline della moda, la nonna del vino italiano o anche le nipotine del femminismo. Nei ruoli sociali di rilievo i termini relazionali vengono quasi sempre preferiti a quelli funzionali quando a interpretarli sono le donne.Laddove un uomo sarà descritto, oltre che come padre, anche come un maestro, un fondatore, un interprete, un epigono, uno che raccoglie il testimone o un demiurgo, la donna – se non è proprio una madre – sarà quasi sempre una zia, una nonna, una figlia, una sorella o una nipote.
Cucinare. Cucire. Impastare.
Questi
e altri verbi mutuati dall’esperienza storica delle donne nella gestione della
casa vengono spesso applicati nel discorso pubblico ad azioni che nulla hanno a
che fare col cibo o il rammendo, ma che vi vengono ricondotte solo perché a
compierle è una donna. Per questo pregiudizio il lavoro di editing del codice
genetico umano per il quale le scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer
Doudna hanno ricevuto il premio Nobel per la chimica 2020 è stato definito dai
giornali italiani come il «taglia e cuci del Dna». Qualunque atto pubblico ben
riuscito risulta in questo modo una proiezione in scala maggiore dell’unico
lavoro che si pensa corrisponda all’essenza del femminile: la casalinga.
Nessun commento:
Posta un commento