da: la Repubblica - di Ernesto Assante
Manuel Agnelli è uno dei “pontefici” del rock italiano, per la sua storia personale, la grande avventura degli Aftehours, le canzoni che ha scritto e canta. Anche per avere “scoperto” e portato al successo a X Factor i Måneskin, secondi nel 2017, e aver sorpreso tutti, nell’ultima stagione del talent, con i Little pieces of marmelade, altrettanto elettrici e rock. Anzi, come tanti dicono, anche di più: «Assurdo fare differenze» precisa Agnelli, «i Måneskin fanno rock mainstream di matrice glam, ma pur sempre rock. Io preferisco i Sonic Youth agli Aerosmith ma non nego la grandezza dei secondi. Il rock è tante cose, non dobbiamo valutare i Måneskin come facciamo con i Sonic Youth o i Nirvana, sarebbe assurdo. Non va confuso il gusto personale con la valutazione del talento, Damiano & co. possono anche non piacere ma è innegabile che siano straordinari».
La vittoria dei Little pieces of marmalade a XF e la doppietta dei Måneskin a Sanremo e a Rotterdam ci dicono che l’Italia musicale sta cambiando?
«Mi fa paura anche solo dirlo, temo di scatenare la reazione contraria, noi italiani siamo bravissimi a demolire, vediamo subito il marcio ovunque. Se invece riuscissimo a cogliere lo slancio di quanto sta accadendo in questo periodo, sarebbe fantastico. Potrebbe essere una grande occasione per la musica italiana, perché questa vittoria in particolare ha sdoganato davanti al mondo il fatto che in Italia c’è dell’altro oltre “il mandolino, la pizza e la sambuca”, come ha malamente detto il conduttore olandese del programma. E il fatto che i Måneskin
abbiano vinto cantando in italiano grazie ad un larghissimo voto popolare è la cosa più bella, una grande occasione per la nostra musica che viene vista in una luce diversa. Si sta trasformando tutto, lo si è visto a X Factor e a Sanremo, è un termometro di quel che accade tra i ragazzi».È il ritorno delle band?
«Credo di sì, ed è clamoroso. È un ritono al “noi” dopo anni di “io, io, io”. Non ci voglio mettere la pandemia di mezzo ma c’è un nuovo bisogno di confrontarsi così come di essere protetti dal guscio del gruppo. La band ci fa crescere in modo pazzesco, produce risultati incredibili quando vedi che tutto, fatto insieme agli altri, funziona. E poi segna il ritorno alla musica suonata da ragazzi che vogliono suonare bene. Tutto senza le scorciatoie di certa musica che hanno portato allo strapotere dei produttori, che oggi in molti casi contano più dei musicisti. Ho detto ritorno: per i ragazzi non è un ritorno ma una scoperta e questo rende tutto ancora più interessante».
Il fatto che sia il voto popolare a premiare il rock ci dice che non è cambiata solo la musica, ma anche il pubblico.
«Ed è un cambiamento grande. A X Factor ho notato che alla fine la gente, votando i Little pieces of marmelade, ha votato il talento, la personalità, non il genere. La loro musica è talmente ostica per il grande pubblico che non è stato il motivo principale del loro successo, ma il modo in cui l’hanno proposta, la verità, l’onestà, la passione sono arrivate nelle case».
Il grande pubblico ha risposto alle sollecitazioni.
«Il Covid un po’ ha contato, il pubblico ha avuto più tempo per ascoltare, maggiori informazioni e attenzione. Ha contato anche il suono, la rabbia sottile che questo tipo di musica rappresenta bene: il rock è sfogo ma anche consolazione. Queste cose le sentono in tanti e non arrivano da altre musiche con la stessa potenza. Non voglio fare una battaglia per il rock’n’roll, non me ne frega un cacchio ma quella potenza nell’esprimere sentimenti fondamentali, direi ancestrali, ce l’ha il rock. E lo fa con una sincerità espressiva che raramente trovi nelle altre forme musicali. Caratteristiche che trovi sia nei durissimi e purissimi Little pieces of marmelade, ma anche in band glam e istrioniche come i Måneskin. In entrambi c’è un talento enorme: se fai un casting di sei anni non trovi un’altra band come loro. Sono veri amici, fanno tutto insieme, sono impressionanti, al confine con la comunicazione cinematografica, belli e perfetti, non quattro bambolotti del cavolo. E in Damiano c’è anche la componente sensuale, che conta. Alla fine piacciono a mamme, papà, zii e bambini».
Dica la verità, per lei c’è anche un pizzico di soddisfazione personale…
«Io mi sento soddisfatto per aver tenuto fede a quello che mi ero ripromesso quando ho scelto di andare a X Factor con lo scopo di raccontare la musica che non si vede in tv in maniera coinvolgente, rispettosa, completa, mettendo l’accento su cose che già esistono ma il cui valore è spesso nascosto. E c’era bisogno di farlo perché anche nell’era di Internet se non vai in tv per molta gente non esisti. Sono contento del mio lavoro un po’ da Don Chisciotte un po’ da Sancho Panza, ma chi la dura la vince e anche se personalmente non ho vinto nulla sono felice per i ragazzi. E spero che abbiano la determinazione ad andare avanti nel paese di Tafazzi, superando le critiche e i momenti difficili. Le vittorie dei Måneskin sono un segnale che dice ai ragazzi che si possono fare delle cose belle e importanti e si può avere più fiducia nel futuro».
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