Spaventi gli uomini
Nel 2013 mi candidai alla presidenza della Regione Sardegna. Eravamo un piccolo soggetto politico con pochi soldi e vocazione indipendentista, ma al nostro interno c’erano molte competenze qualificate, tra le quali anche quelle in comunicazione. Volevamo fare le cose seriamente. Il capo della comunicazione, Luigi Cocco, era uno con le idee chiarissime che si era laureato in Inghilterra in marketing politico: venne a casa mia, aprí l’armadio e cominciò a separare i vestiti che potevo mettere in campagna elettorale da quelli che non avrei dovuto indossare piú. Niente rosso, perché «è il colore dell’agitazione e invece noi ci candidiamo con un progetto di governo». Niente vestiti che enfatizzino il seno, perché «se gli uomini lo desiderano e le donne lo invidiano, nessuno dei due ti vota». L’ideale era un tailleur, perché «tutte le donne che hanno vinto un’elezione in Occidente lo hanno fatto con addosso una giacca da uomo». Thatcher. Clinton. Merkel. Non aveva torto.
«Puoi scegliertelo in qualunque colore, purché pastello», perché «hai un profilo pubblico aggressivo e dobbiamo rassicurare». Se fosse uscita anche solo una volta la parola pasionaria in un titolo di giornale – aggiunse categorico – avremmo dimezzato le percentuali di consenso nei sondaggi, perché tutti amano l’idea che le Rosa Luxemburg agitino le piazze, ma poi nessuno vorrebbe davvero una barricadera al governo.
Non ero convinta di questa lettura e infatti non misi mai un tailleur, né rinunciai al mio colore preferito. Non credo sia per questo che abbiamo perso alle urne, ma sapevo dentro di me che Luigi aveva ragione: quello che a un uomo fa vincere le elezioni, a una donna, con ogni probabilità, le farà perdere. La forza, la determinazione e la capacità di sostenere un conflitto aperto sono pregi in un candidato maschile, mentre sono percepite come allarmanti, irritanti e in definitiva insopportabili se è una donna a rappresentarle. Dalle donne ci si aspetta la gentilezza e la capacità di mediazione, la grazia e la dolcezza, la decisione forse, ma non troppo evidente, altrimenti è un attimo che diventi una maestrina, una capetta, una stronza.
La scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie, in un video diventato virale, spiegò molto bene questo doppio binario ermeneutico: «Nel nostro mondo un uomo è sicuro di sé, una donna è arrogante. Un uomo è senza compromessi, una donna è una rompicoglioni. Un uomo è assertivo, una donna aggressiva.
Un uomo è stratega, una donna manipolatrice. Un uomo è un leader, una donna ha manie di controllo. Un uomo è autorevole, una donna è prepotente. Le caratteristiche e i comportamenti sono gli stessi, l’unica cosa che cambia è il sesso ed è in base al sesso che il mondo ci giudica e tratta diversamente. Ogni volta che parlo di femminismo c’è qualcuno che invariabilmente mi applica l’etichetta di “rabbiosa”, come se a una donna non fosse permesso provare rabbia senza che la rabbia diventi il suo stesso modo di essere. La rabbia è un’emozione umana e ci sono molte cose per cui mi sento arrabbiata […] ma i miei sentimenti di rabbia non implicano che io sia una persona rabbiosa. Un uomo che ha giusti motivi di rabbia non viene ridotto alla condizione di persona rabbiosa».
Nello scenario italiano la lettura binaria esposta da Adichie non cambia, se non per peggiorare. Tutte le donne che hanno un’esposizione pubblica e prendono posizione su temi divisivi si sentono regolarmente apostrofare come incarognite, acide, insoddisfatte e arrabbiate. Se fanno affermazioni corrette nel merito vengono comunque attaccate nel metodo e sui social media anche i commenti favorevoli cominciano spesso con la frase: «Premetto che a me non è simpatica». Essere simpatiche e gradevoli è una premessa sostanziale per le donne che hanno qualcosa da dire: non basta che tu abbia un’opinione su una cosa controversa, devi anche fartela perdonare con modi adeguati e piacevoli. Se non chiedi scusa per avere espresso un disaccordo, quel disaccordo diventa un torto anche quando hai ragione (direi soprattutto quando hai ragione).
Cosí un uomo che dissente è una voce coraggiosa che non le manda a dire, mentre una donna che dissente è una rompipalle che ha sempre da ridire su tutto. Lo spettro dell’impopolarità ammutolisce preventivamente la voce pubblica delle donne. Come tutti i sistemi di potere coercitivi, il patriarcato non tollera il dissenso e ha metodi violenti per combatterlo. Se scegliete di militare nel femminismo ed evidenziare cose come l’ingiustizia salariale, i dati della violenza di genere, l’ipertrofia maschile nei ruoli di comando e i vizi e le conseguenze del linguaggio sessista, occorre che mettiate in preventivo il fatto che il sistema patriarcale reagirà indicandovi come un problema. Questo però vale anche se vi occupate di migranti, di affollamenti sulle piste da sci in tempi di Covid, di politica in qualunque accezione e in generale di tutti quei temi pubblici che in quanto tali sono considerati di pertinenza maschile. Qualunque posizione prendiate, sarete additate come stronze, streghe, insoddisfatte sessualmente, col ciclo in atto e/o il climaterio in arrivo, antipatiche, senza senso dello humour, sempre a lamentarvi, misandriche e frustrate. Se lo fate on line, le cosiddette shit-storms, le tempeste di insulti, saranno un evento di frequenza e portata direttamente proporzionale alla vostra visibilità ed efficacia.
Si può avere una vita piú facile, naturalmente. La brava bambina che dice sorridendo il suo addomesticato sí avrà sempre un posto d’onore nel sistema patriarcale. Rinunciare a quel posto d’onore dicendo questo non mi va bene è un passaggio faticoso, ma piú di una, in passato, lo ha fatto per noi ed è per questo che oggi possiamo divorziare, scegliere se diventare madri o no, fare le magistrate, non essere costrette a sposare l’uomo che ci ha stuprate e avere altri non piccoli diritti. Nessuna delle nostre bisnonne, nonne e madri ha domandato queste cose gentilmente, preoccupandosi di non spaventare. Sapevano, come dobbiamo sapere noi, che il patriarcato è un sistema muscolare e rispetta solo ciò che teme. Per questo, per raggiungere quelli che oggi chiamiamo traguardi, migliaia di donne hanno pagato col disprezzo della loro famiglia, hanno perso il rispetto borghese delle loro comunità, la possibilità di vivere vite tranquille e, in alcuni casi, perfino la vita. Dobbiamo essere loro grate e il modo migliore per farlo è non dimenticare che quei diritti esistono solo finché restiamo pronte a tirare fuori le unghie per difenderli. Se ci dispiace dispiacere, l’ancella in cui vorrebbero trasformarci ha già vinto, perché l’unico potere che il patriarcato riconosce come legittimo è quello che ti concede, mai quello che ti prendi da sola.
Ho
scelto alcune varianti della frase «Spaventi gli uomini». Ve le sarete di certo
sentite dire tutte almeno una volta, ma vederle di fila e sapere cosa
sottintendono fa un effetto diverso.
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