da: https://www.tpi.it/ - di Enrico Mingori
“Ridicola”, “assurda”, “moltiplicatore di poltrone”. Così, circa sei mesi fa, Matteo Renzi apostrofava la cabina di regia annunciata da Giuseppe Conte per la gestione del Recovery Plan. Era dicembre 2020 e il leader di Italia Viva paventava il rischio che l’allora premier volesse accentrare su di sé “pieni poteri”. Il resto è storia nota: le critiche al piano di Conte furono tra i principali motivi agitati da Renzi per far cadere il governo giallorosso. La “irrispettosa” cabina di regia dell’avvocato pugliese non entrò mai in funzione e a Palazzo Chigi arrivò – per la gioia di Renzi – Mario Draghi.
Ieri, 28 maggio 2021, il Consiglio dei ministri presieduto appunto da Draghi ha approvato il Decreto Semplificazioni che contiene, tra le altre cose, la definizione della cabina di regia che gestirà i progetti del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). Sorpresa delle sorprese: la struttura messa in piedi dall’ex presidente della Banca centrale europea assomiglia molto a quella che era stata pensata da Conte. Con un’importante differenza, però: questa volta Renzi non ha proferito parola.
La governance del Pnrr disegnata da Conte prevedeva una cabina di regia politica composta dallo stesso premier e dai ministri Roberto Gualtieri (Economia, Pd) e Stefano Patuanelli (Sviluppo economico, M5S). Questa cabina di regia politica – che avrebbe dovuto riferire periodicamente sia al Consiglio dei ministri sia al Parlamento –
sarebbe stata affiancata da una sorta di comitato esecutivo di sei membri, ovvero sei manager: uno per ciascuna delle sei linee guida portanti del Piano. Ognuno di questi sei manager avrebbe coordinato un gruppo di lavoro formato da 50 tecnici, per un totale quindi di 300 membri.“La struttura di Conte pensa a moltiplicare le poltrone”, attaccò Renzi. “Non si può sostituire il governo con una task force, c’è bisogno di rispetto per le istituzioni democratiche del nostro paese”. “Ridicolo fare una struttura di consulenti”. E ancora: “Basta con queste assurdità delle task force e dei consulenti”. “Se Conte immagina di fare un emendamento nottetempo per chiedere pieni poteri mi alzo in Parlamento e dico no”, avvertì il leader di Italia Viva.
Ma Renzi – seduto sui banchi della maggioranza – non fu il solo a protestare. Nel Paese da più parti – in Parlamento come sui giornali – si levarono voci critiche rispetto alla governance annunciata da Conte. “Gli amichetti di Conte e Casalino, che vergogna”, commentò dall’opposizione il leghista Matteo Salvini. È l’ennesimo carrozzone per accontentare la fame di poltrone”, sentenziò la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
Anche l’economista Carlo Cottarelli fu molto duro: “A me sembra un modo per dire che la Pubblica Amministrazione italiana non funziona e che non è in grado di gestire un programma di questo tipo. E allora viene da chiedersi: cosa ci sta a fare il Governo, se non è in grado di far funzionare bene la Pubblica Amministrazione?”, osservò intervistato da TPI.
Ora però spostiamo lo sguardo sulla governance del Pnrr varata dal Governo Draghi. Al vertice c’è una cabina di regia politica, presieduta dal premier, alla quale partecipano di volta in volta i ministri interessati (e in alcuni casi i governatori delle Regioni), a seconda della materia di cui si discute. Questa cabina di regia politica sarà affiancata da una segreteria tecnica composta da 350 membri: figure con un profilo “giuridico, informatico, statistico-matematico, ingegneristico gestionale”, da assumere con contratti a tempo determinato che non vadano oltre il 2026.
Come è facile osservare, la struttura allestita da Draghi è quasi sovrapponibile a quella ipotizzata da Conte, con una cabina di regia politica affiancata da una nutrita squadra di tecnici (300 nel piano contiano, 350 in quello draghiano). La principale differenza che salta all’occhio è che la cabina di regia giallorossa era composta da tre membri fissi (il premier e due ministri), mentre quella frutto delle larghe intese è a geometria variabile. Un punto che, peraltro, eleva ancora di più al vertice il presidente del Consiglio (unico membro fisso). Paradossalmente, quindi, il rischio di “pieni poteri” – se mai ci fosse – si fa più concreto oggi di quanto fosse sei mesi fa.
Tuttavia,
di fronte a questa governance – “made in Draghi” ma molto simile a quella “made
in Conte” – pochi o nessuno sembrano avere qualcosa da obiettare. Renzi non
solleva questioni di tenuta democratica, Salvini – nel frattempo salito sulla
carrozza (o “carrozzone?”) del governo – non commenta e persino la leader
dell’opposizione Meloni evita l’argomento. Merito dei super poteri di Super
Mario o era solo voglia di far cadere Conte?
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