da: https://www.ilfattoquotidiano.it/
Luigi Di Maio non ha fatto nulla di male ma
il suo ruolo di leader del primo partito italiano gli impone di cedere le quote
della Ardima Srl. Per rispetto agli italiani che hanno votato M5s deve porre
fine allo stillicidio sulle presunte irregolarità commesse nel precedente
decennio dalla Ardima Costruzioni di Paolina Esposito, gestita dal padre e intestata
alla mamma. La difesa del vicepremier è nota: la sua società – Ardima Srl – non
è quella che avrebbe commesso le irregolarità denunciate in tv da Le Iene. Tutto
vero. Il vicepremier è socio al 50 per cento con la sorella Rosalba nella
Ardima Srl nata dopo le irregolarità presunte, nel 2012. Però tra le due Ardima
c’è un legame: l’azienda, cioè il complesso dei beni organizzati
dall’imprenditore, in pratica l’anima dell’impresa.
La prima Ardima, quella della mamma con
sede a Mariglianella, era gestita da papà Di Maio ed è nata nel 2006. Quella di
Luigi e Rosalba Di Maio è una srl con sede a Pomigliano d’Arco. Però l’azienda
della prima impresa è stata donata ai figli Rosalba e Luigi dalla mamma.
La Ardima Srl, nata nel 2012, era poco più
di un guscio vuoto che prende il volo nel 2014 quando i due figli conferiscono
l’azienda materna: comprendente una betoniera, un autocarro, quattro
perforatori, due elevatori, un banco sega, più flex, trapani, ponteggi e
minuterie varie. All’attivo c’è anche la cifra di 8mila euro per un lavoro in
corso al Palazzo delle Fontane. L’azienda vale 80 mila euro e porta il capitale
della Ardima Srl fino a 100 mila euro. Nel prospetto firmato da Luigi Di Maio,
va detto, non risultano liti pendenti.
Comunque il legame aziendale tra l’impresa
dei genitori e la Srl dei figli dovrebbe suggerire a Di Maio di chiudere la sua
esperienza in un’impresa edile di Pomigliano.
Dopo il primo servizio Le Iene sono tornate
a mordere e domani trasmetteranno una nuova intervista. Possiamo immaginarne il
canovaccio: la “Iena” Filippo Roma, con l’aria da vigile inflessibile, gioca al
gatto con il topo: “Allora, caro Di Maio, che fa concilia sulla storia di Sasà,
lavoratore in nero nell’azienda di papà?”. Quando il vicepremier tenterà di
chiudere il verbale con tante scuse per un “caso isolato” (“così mi ha detto
papà”), ecco pronto il gancio a sorpresa dell’inviato Mediaset: “Eh no, caro
mio. Caso isolato un piffero”. E giù altri tre nomi di sedicenti lavoratori in
nero. Di Maio assumerà il solito sguardo triste e per la seconda volta si
impegnerà a fare i compiti a casa con l’aiuto di papà.
Il format di ‘Filippo & Giggino’, con
il primo che fa perfide domande di cui già conosce le risposte, potrebbe andare
avanti a lungo come la serie a puntate dei vari Sasà, Gegé e Totò pronti a
denunciare soprusi contributivi subiti dieci anni fa. I social della famiglia
Renzi gronderanno di video pieni di strilloni nigeriani pronti a giurare che
nella società di Rignano tutti erano assunti con contratto regolare e il
ministro del Lavoro sarà costretto a difendersi sul piano formale. Dirà che
lui, nonostante sia socio al 50 per cento, non segue gli affari della Ardima
Srl e che comunque quella era un’altra impresa e di queste storie non ha mai
saputo niente.
Però ci sarà sempre qualcuno pronto a far
notare che nell’ultimo bilancio depositato, per il 2016, Ardima fattura 150
mila euro pagando salari per 76 mila euro mentre nel 2014 fatturava 190 mila
euro e pagava stipendi per 33 mila euro. Luigi Di Maio nell’assemblea di
approvazione del bilancio 2016 si è fatto rappresentare dal padre Antonio.
L’utile della Ardima Srl è stato di 10 mila euro, 5 mila a testa per i due
fratelli. Non distribuiti. Un vicepremier votato da 11 milioni di italiani può
farne tranquillamente a meno.
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