Mentre
si discute di limare il deficit di due decimali, nessuno contesta la previsione
di crescita all’1,5%, clamorosamente errata. Eppure la chiave è tutta lì:
perché a crescita dimezzata corrisponde un deficit oltre il 3%. Non se ne sono
accorti, a Bruxelles, o stanno giocando un’altra partita?
Fateci
capire, che magari siamo tonti noi. Per la Federal Reserve
americana dall’Italia arrivano rischi di recessione. Contemporaneamente l’indice
Pmi di Markit scende sotto la soglia psicologica dei 50 punti, attestando di
fatto una contrazione dell’attività manifatturiera italiana. Mentre tutte le previsioni elaborate da centri di
ricerca non governativi - dall’Ocse al Fondo Monetario Internazionale - indicano una crescita per l’Italia attorno
o inferiore all’1%. Nei fatti, non c’è un dato uno che non dice che
l’economia italiana sta rallentando.
Eppure,
mistero dei misteri, nella trattativa col l’Europa si
parla solo di modificare il rapporto deficit/Pil, dal 2,4% al 2,2% secondo
Salvini, fino al 2% per Tria, ma nessuno pare mettere in discussione la più grande impostura della manovra
gialloverde: le previsioni di crescita all’1,5%. Eppure il problema è tutto
lì, se ci pensate, nelle premesse. Basterebbe scrivere 0,8%. Basterebbe
smettere di far finta che un sussidio a qualche disoccupato e un anticipo
pensionistico che penalizza chi sceglie di farne ricorso
possano magicamente
risvegliare l’economia italiana come fossero il new deal. Basterebbe assumere
in premessa il dato di realtà più deliberatamente mistificato di tutta la
manovra del cambiamento, e partire da lì a ragionare.
Perché se
la crescita del Pil è di almeno mezzo punto inferiore alle previsioni, non esiste alcun rapporto deficit/Pil al
2,4%. Esiste il 3%, che vuol dire sforamento, debito pubblico che esplode,
spread che impazzisce, declassamento dei titoli di Stato, crisi di liquidità,
giusto per terrorizzarvi un po’. Questa cosa del ritocchino dello 0,2% un po’
ci puzza, insomma. Come se ai tavoli di trattativa tra Roma e Bruxelles i
numeri veri li conoscano benone, e stiano limandoli per evitare che, perlomeno,
si superi la fatidica soglia dello sforamento. Cosa che, ricordiamolo,
renderebbe automatica una procedura d’infrazione per eccessivo deficit (mentre
quella di cui si sta discutendo oggi riguarda l’eccessiva crescita del debito
pubblico).
Per la cronaca: non stappate la bottiglia
migliore. Tutto quel deficit aggiuntivo
servirà a pagare la spesa per interessi e non produrrà nemmeno un decimale di
crescita aggiuntiva. Quel che ci aspetta dietro l’angolo, quando Conte e compagnia saluteranno
Palazzo Chigi, sarà una manovra
correttiva di quelle che nemmeno
Mario Monti. O, in alternativa, lo showdown
definitivo con i mercati e con l’Unione Europea. Nei fatti, il celeberrimo piano B di Paolo Savona. Se non altro,
tutto torna.
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