L’ambizione
di Salvini, Renzi, Di Maio? Sembrare più scemi della Tv (e ci riescono
benissimo)
La
mediocrità televisiva è il punto d’arrivo della nuova generazione di politici.
Vogliono essere dappertutto, su tutti i media. Ci riescono perché non servono
competenze. È la nuova fisionomia del dittatore mediatico senza qualità
«Quest’uomo deve il suo successo al fatto
che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle
telecamere traspare una mediocrità assoluta, unita (questa è l’unica virtù
che egli possiede in grado eccedente) ad un fascino immediato e spontaneo
spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione
scenica: sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia
tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più
sprovveduto.»
A chi corrisponde questo ritratto? Che domande: è evidente che si parla di Salvini. Ma va’, è Renzi, spiccicato. No no, io ci vedo più Di Maio. Chi ha sul groppone più di qualche decennio conosce la risposta esatta. Anzi, forse, con qualche brivido, può citare il passaggio successivo del brano «In lui spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti.» Il «lui» è Mike Bongiorno buonanima, notomizzato da Umberto Eco nella celeberrima Fenomenologia del 1961. E che dopo cinquantasette anni è applicabile a quasi tutti i leader politici italiani nati e cresciuti dagli anni Settanta in poi.
È come se dal re dei telequiz, come dai
capostipiti di grandi famiglie tipo i Rotschild o i Medici, fossero scaturite
due discendenze, una ufficiale, il ramo Conduttori televisivi (Fazio, Frizzi,
Conti, Fiorello ecc.) e una spuria, i Politici: la prima, frutto del
santo matrimonio di Bongiorno con la Rai, ha prodotto veri purosangue
dell’entertainment per famiglie, l’altra, quella nata dal successivo
concubinaggio, lungo e appassionato, con Silvio Berlusconi, composta di
entertainer della politica. Tutti risultati di quel connubio fatale, che
oltre ad appesantire il corredo genetico dei rampolli di un narcisismo e un
autocompiacimento che in Mike, per ragioni biografiche e caratteriali,
erano meno sviluppati, ha inoculato in loro la tara fatale della megalomania.
Ma sia che il genitore A che il genitore B erano di ben altra pasta rispetto ai
figli. Mike, per quanto strano possa sembrare, aveva fatto la Resistenza,
come staffetta portamessaggi (furono probabilmente i partigiani cui
recapitava i dispacci i primi a sentirsi porre la domanda “busta numero uno,
due o tre?”), e si era salvato dalle grinfie della Gestapo solo grazie al suo
passaporto americano.
Quanto a Silvio, era ed è ancora Silvio, il
benigno genio del male che tutti conosciamo, manomorta di ferro in guanto
di velluto, con tutta la tignosa vitalità dell’italiano del
boom. Apparentemente è il suo Dna a trionfare nella prole: i giovani Renzi
e Salvini hanno debuttato in tivù sotto il segno del Biscione, come concorrenti
dei telequiz Mediaset, e sono stati accuditi dal Cav anche in politica, seppure
in forme diverse – il patto del Nazareno, l’ultima coalizione di centro-destra
-.
Eppure non è la sua eredità quella che vagheggiano – troppo pesante, impegnativa e, in ultima analisi, noiosa. Basta guardare Renzi, che solo ora, nella scuderia di Lucio Presta, l’agente delle star, sembra aver trovato la sua vera dimensione: «voglio fare quello che fai tu, Floris» ha ammesso candidamente a Dimartedì prima di farlo tout-court sul palco della Leopolda. Basta guardare Salvini e il suo show quotidianamente declinato sui vari social, con gli hashtag al posto dei tormentoni alla Drive-in. Basta guardare Di Maio, che nei video che posta sembra un bambino che gioca alla televisione nella sua cameretta imitando l’anchorman che piace alla nonna (lo abbiamo fatto tutti, da piccoli).
Che se ne rendano conto o no, in fondo
non gliene importa un fico secco del potere politico.Quello che vogliono è lo
scettro di Mike, l’altare di rassicurante e amato idolo delle masse che si
specchiano nella sua mediocrità. Il problema è che nell’era dei mille canali,
del web e di Netflix quello scettro non si conquista più presentando i telequiz
o gli show del sabato sera sul canale nazionale, come ai tempi di Lascia o
raddoppia?, senza contare che se il programma non funziona te lo chiudono dopo
due settimane.
E anche per diventare influencer o youtuber di successo non basta l’egolatria, bisogna interessarsi seriamente a qualche cosa – la moda, i videogiochi, la cucina vegana – e magari parlarne in modo originale. Oggi la via più facile per rendere carismatica la propria mediocrità attraverso i media è la politica nazionale, i cui casting sono meno selettivi di quelli di Affari tuoi. La leadership politica, insomma, è vista come la conduzione televisiva realizzata con altri mezzi.
E una volta che sei arrivato in cima, in
tivù c’è la tua faccia, tutti i santi giorni, e l’Auditel e ti fa un baffo: è
come negli Sessanta, quando c’erano un solo canale e una sola minestra, e le
donne potevano aspirare unicamente al ruolo di valletta (si rassegnino
Boschi, Meloni e Raggi: non avranno mai un programma tutto loro).
Etimologicamente, Fuehrer e dux quello
significano: conduttore. Ma se da ragazzo non hai partecipato alla Grande
Guerra, come Adolf e Mussolini, ma alla Ruota della Fortuna e
a Il pranzo è servito, l’unica conquista che ti esalta davvero è quella
del pubblico, in studio e a casa. È lo smartphone che traccia il solco, ma
è il telecomando che lo difende. Se sforo seguitemi, se vi annoio uccidetemi, negandomi
il like.
Ed è sempre dal Bongiorno secondo Eco che
possiamo capire quando tramonteranno i politici-conduttori mediocratici: se è
vero che incarnano «un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché
chiunque è già al suo livello», la loro fascinazione cadrà solo quando gli
italiani non si identificheranno più nelle loro maniglie dell’amore, felpe,
giubbotti di pelle e battutine. Basterà che dal loro idolo non sentiranno
più arrivare il confortante messaggio «voi siete Dio, restate immoti», ma il sospetto
che così come sono non vanno più bene. Che devono muoversi, cambiare
almeno un pochino, fare uno sforzo appena maggiore di premere un pulsante o
cliccare un’icona. E come nel finale di Un volto nella folla, il
capolavoro di Elia Kazan, il feticcio cadrà fulmineamente nella polvere. Per
fortuna la fine dei duci della ribalta si profila meno truculenta di quella
riservata a quelli del secolo scorso. Per loro ci sarà sempre una tribuna da
conferenziere in Cina o una televendita di poltrone reclinabili nella fascia
pomeridiana. Per i contratti rivolgersi a Lucio Presta.
detenuti all’estero. Oggi il Fatto
Quotidiano ci informa che è sparita la norma che prevede il carcere per gli
evasori e Il Sole 24 Ore che nel documento di programmazione inviato a
Bruxelles sembra che Quota 100 sia stata programmata per il solo 2019, come
misura una tantum, visto che i costi rimangono costanti per il 2020 e il 2021. Così
pare l’abbia interpretata pure Moody’s, del resto.
Chissà cosa ci toccherà domani, peraltro.
Perché l’unica cosa chiara è che questa ammuina con l’Unione Europea
continuerà senza sosta sino a domenica 28 maggio, giorno delle prossime
elezioni europee, per tirare la volata a Lega e Cinque Stelle. Del resto, non
c’è miglior spot per i partiti sovranisti delle lezioncine di vita di
Moscovici, che farebbero diventare anti-europeista pure Altiero Spinelli, fosse
vivo e in mezzo a noi. E non c’è miglior happy ending di un tira e molla
che fa slittare Quota 100 e reddito di cittadinanza ad aprile, giusto giusto un
mese prima del voto, dopo otto mesi di dura lotta con i palazzi e coi
mercati. Già ci immaginiamo i leader sul balcone e la folla festante sotto.
Ciò di cui abbiamo altrettanta certezza è
che tutta questa propaganda, questa furbizia da trecartari, questa cinica
pantomima elettorale non ci salverà dai nostri guai. Che la realtà presenterà
un conto molto più salato di quello che già stiamo pagando ora - 300 miliardi
di interessi aggiuntivi nel giro di otto mesi: non era facile. Che il
consenso popolare per le misure demagogiche non le rende meno
sbagliate. Che prima o poi arriveranno patrimoniali e contro riforme a
saldare il conto aperto dai nostri eroi gialloverdi. Che finiremo per pagare
cara le nostre paranoie nazionaliste e la nostra cieca fiducia verso gli
apprendisti stregoni che promettono magici elisir. Che la realtà arriva sempre,
e non sarà una passeggiata.
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