da: https://www.linkiesta.it/it/ - di
Irene Cosul Cuffaro
La
Carrà, con caschetto biondo, mosse e Tuca Tuca, è stata la prima femminista
italiana. E ora presenta un disco di Natale più d’avanguardia delle avanguardie
In tempi in cui la popolarità (la cuginetta
zoccola del prestigio, cit.) si raggiunge partecipando ai reality, facendo le
influencer, caricando video su Yotube o altre amenità simili, si tende a
relegare nel dimenticatoio o etichettare come trash o nazionalpopolari
personaggi che i costumi degli italiani li hanno cambiati davvero. Anche perché
una come Raffaela Carrà alle influencer fa tranquillamente le scarpe. Anche a
75 anni.
Ne ha dato prova, oltre che negli ultimi 50
anni, anche alla conferenza stampa di presentazione del suo nuovo disco di
canzoni natalizie alla Sony Music di Milano. Tacchi a spillo, figura asciutta e
slanciata (Raffa è l’archetipo immutabile di Raffa) caschetto platino che negli
anni Sessanta liberò molte donne dalla noia della cotonatura e dei bigodini,
fragorosa risata diventata familiare grazie ai suoi programmi di punta che
tutti abbiamo guardato.
Perché, attenzione, oltre a far rincontrare parenti persi di vista in Venezuela trent’anni prima, Nostra Signora della tv ha fatto molto di più. Senza nemmeno rendersene conto, dando scandalo, ha contribuito a rompere gli schemi di un Paese ancora bigotto e facilmente
scandalizzabile, promuovendo a modo suo la rivoluzione femminile, o meglio femminista. Penso ai balli scatenati che nessuno aveva mai osato fare sul palco, o al Tuca Tuca con Alberto Sordi che le tocca i seni e la pancia lasciata scoperta in una puntata di Canzonissima del 1970, in una Rai abituata a vestiti e costumi ben più morigerati. Ma anche alle sue canzoni: i testi di Com’è bello far l’amore da Trieste in giù (1978) e di A far l’amore comincia tu (1976) devono aver fatto andar il boccone di traverso a più di qualche prete.
Non solo in Italia, ma anche nella Spagna
post franchista, dove approdò nel 1976, un anno dopo la morte del dittatore e
quasi 40 anni di regime fascista, che aveva potentemente limitato i diritti
delle donne, per le quali Raffaella divenne il simbolo della libertà negata per
decenni. L’euforica Spagna aveva voglia di festeggiare un’era nuova, la
democrazia, e lo fece insieme a quella rubia italiana scatenata che ballava e
cantava Felicidad in tv dopo le partite di calcio nel programma Hola Raffaela, rendendola
un mito, tanto da farle incontrare personalmente il re e insignirla di ben due
onorificenze, l’ultima il mese scorso per il merito civile.
Avanti anni luce allora, ma anche adesso.
Da sempre icona del mondo gay, mentre qui discutiamo di complotti gender e di
autorizzazioni dei genitori per l’educazione sessuale a scuola, la Carrà piazza
nel video della sua canzone natalizia Chi
l’ha detto una coppia gay e per una volta non è volontà di
sembrare “avanti”, ma pura coerenza alla sua storia artistica. Raffa può. E
mentre le showgirl di oggi, con un terzo dei suoi anni, cedono all’ibridazione
con l’inorganico (vedi sedute di chirurgia plastica) Raffaella regala parole
sante e, ancora una volta, liberatorie: «Insieme alla libertà - ha svelato
durante la conferenza stampa – la cosa più importante è l’ironia, non prendersi
mai troppo sul serio. L’ironia è la chiave di tutto; se te la tiri prima o poi
sei rovinata, tanto una con le gambe più belle delle tue si trova sempre.
Abbiate piuttosto il coraggio di essere voi stessi». Amen.
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