Condivido e sottoscrivo l’articolo di un
vero giornalista quale è Negri. Eccetto per una definizione. Non si tratta di
realpolitik. La realpolitik è un do ut des. E’ un mediare, negoziare, accettare
anche situazioni, scelte, decisioni che non dovrebbero essere accettate per un
obiettivo di interesse generale. L’Italia non sa cosa sia la realpolitik. Non
riceve nulla in cambio quando si piega, ignora, mente, accetta situazioni che
dovrebbe respingere. L’Italia non conta un organo sessuale maschile nel
panorama internazionale. E’ un non
contare a doppia corsia. Nel senso che: non contiamo nulla nei confronti di
altri paesi, altri paesi possono fare quel che vogliono a casa nostra restando
impuniti. Pensiamo a Ustica, alla strage del Cermis e tante altre vicende che
ci hanno visti usati e piegati. Altre vicende che attendono ancora verità e
giustizia.
Il
presidente della Camera, Fico, sospende le relazioni con l’Egitto. Ma la verità
è che l’Italia non ha gli strumenti, la potenza, e forse nemmeno la volontà di
mettere sotto pressione Al Sisi
Il caso di Giulio Regeni, come in parte
quello dell’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, è irresolubile. A
meno che non si accettino verità di comodo che non mettano in discussione il
potere assoluto dei dittatori alleati dell’Occidente. Nel caso di Khashoggi è
quello della casa regnante saudita, in quello di Regeni l’autorità dittatoriale
del generale Al Sisi, che per altro abbiamo ricevuto con tutti gli onori alla
conferenza libica di Palermo perché, insieme ai buoni uffici dei russi, ci ha
portato come omaggio la visita del generale Khalifa Haftar nemico del governo
Sarraj di Tripoli sostenuto da Italia, Turchia e Qatar.
Al Cairo sono andati in visita Salvini,
Moavero, Di Maio e cosa hanno portato a casa? Un bel nulla. Anzi, l’impressione
è che i loro viaggi abbiano seppellito il caso Regeni come del resto intendeva
fare il governo precedente quando ha rimandato al Cairo l’ambasciatore: è
servito agli affari bilaterali e ma non a sapere la verità. Ora il presidente
della Camera Roberto Fico sospende le relazioni con il Parlamento egiziano: si
tratta ovviamente di un atto puramente simbolico, come lo sono le indagini
della procura sugli agenti egiziani che resteranno al loro posto e mai il
generale Al Sisi ce li consegnerà.
Tutto questo girare a vuoto si chiama
realpolitik e l’Italia, media potenza con scarsa rilevanza sulla scena
internazionale, non ha i mezzi o non vuole usarli per mettere sotto pressione
il regime egiziano. A meno che non vogliamo fare una guerriglia economica e
diplomatica all’Egitto in tutte le sedi possibili. Ma siamo noi per primi a
crederci poco. Ci sono considerazioni politiche ed economiche ormai abbastanza
chiare: in Egitto c’è il mega-giacimento di gas di Zhor dell’Eni e molte altre
attività italiane, inoltre il Cairo è una potenza chiave in Libia come
sostenitrice di Haftar insieme a Russia e Francia.
L’Egitto ha potenti alleati. Gli Usa
appoggiano il regime del generale che ha fatto fuori i Fratelli Musulmani con
il sostegno non indifferente dei miliardi dell’Arabia Saudita. La Russia punta
a basi militari in territorio egiziano, la Francia è uno dei maggiori fornitori
di armamenti del Cairo e dopo l’uscita della Gran Bretagna è rimasta l’unico
Paese Ue membro del consiglio di sicurezza Onu e potenza nucleare. Sono i
francesi gli interlocutori europei degli americani, non certo gli italiani.
Si potrebbe obiettare che l’Italia è un
Paese membro della Nato e dell’Unione quindi come un peso specifico maggiore
dell’Egitto. In realtà non è così perché gli Usa non hanno nessuna intenzione
di appoggiare le nostre richieste di giustizia e i partner di Bruxelles hanno
lo stesso atteggiamento. Figuriamoci la Gran Bretagna, dove studiava Regeni,
che è alle prese con la Brexit.
Perché siamo arrivati a contare così poco,
come dimostrano il caso Regeni ma anche la Libia? Inutile prendersela con
questo Governo, quello di Gentiloni o di Renzi: tutti rappresentano bene un
Paese ridicolo che dal 2011 a oggi con la caduta di Gheddafi non si è reso
conto non solo di avere perso una guerra -la maggiore sconfitta dalla fine del
secondo conflitto mondiale- ma di avere contribuito con i raid aerei alla
stessa caduta del regime libico perdendo ogni credibilità sulla Sponda Sud.
Non soltanto la Francia ha bombardato il
maggiore alleato dell'Italia nel Mediterraneo, passando sopra il nostro spazio
aereo senza farci neppure una telefonata, ma abbiamo anche concesso le nostre
basi a Parigi, Londra e Washington. Non contenti ci siamo pure accodati un mese
dopo ai raid della Nato per far fuori il Colonnello che soltanto sei mesi prima
ricevevamo a Roma in pompa magna firmando contratti miliardari. Allora c’era il
pericolante governo Berlusconi e fu il presidente della repubblica Napolitano
come capo delle forze armate a decidere la nostra partecipazione ai raid
dell’Alleanza Atlantica. Detto e scritto mille volte.
La vicenda del Global Migration Compact,
senza volere entrare nel merito, è emblematica: prima con il premier Conte e il
ministro degli Esteri Moavero diciamo che aderiamo poi smentiamo noi stessi.
Nessuno però che si dimetta con un gesto di dignità: in Gran Bretagna chi non
era d’accordo con la May se ne è andato. Qui restano attaccati allo scranno
senza vergogna: sempre. Ma chi volete che creda a questo Paese?
Certo c’è una considerazione generale da
fare e che va oltre il caso italiano. Al G-20 di Buenos Aires ci sarà il
principe saudita Mohammed bin Salman, alleato ombra di Israele sostenitore di
Al Sisi, mandante di un assassinio e responsabile con gli Usa di migliaia di
morti in Yemen. Dopo un certo imbarazzo (tranne che di Putin) MBS verrà
riaccolto da una comunità internazionale che non ha intenzione di perdere né
una goccia di petrolio né una commessa militare di Riad.
È la solita realpolitik, ma anche un
messaggio sbagliato che di solito porta i dittatori come i Saud e Al Sisi a
pensare di poter fare quello che vogliono.
Cosa può fare dunque l’Italia sul caso
Regeni? Potremmo chiudere le basi della Nato, sperando che gli americani ci
diano retta e mettano al Sisi con le spalle al muro. Oppure chiedere a Israele,
così amico di Salvini, ed essenziale alla stabilità anche dell’Egitto, di fare
gli interessi dell’Italia al posto nostro. Ovviamente sono scenari assai ipotetici,
più che altro delle battute di spirito, soprattutto da parte di un Paese che
dalla fine della seconda guerra mondiale è a sovranità assai limitata e non
vuole rischiare mai nulla. Chi come Mattei, Moro, Andreotti o Craxi si è
opposto a questo stato delle cose ci ha rimesso le penne, in un modo o
nell’altro. Ai politici italiani conviene sollevare polvere negli occhi degli
ingenui ma di fatto restare muti e allineati se si tratta di agire.
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