venerdì 3 febbraio 2017

Luigi Bobba: Il posto dei cattolici / 3



Agorà. La mediazione tra pubblico e privato

La democrazia ha bisogno di principi e valori condivisi. Ha bisogno di trovare il proprio fondamento su una concezione comune del bene. Non vi è democrazia che non abbia un’idea del bene da raggiungere. Vi sono sicuramente dei principi irrinunciabili per la democrazia, pena il suo stesso venir meno. Ciò che fonda la democrazia, infatti, non è tanto un comune senso della giustizia, quanto piuttosto una concezione comune del bene. Questo è il vero momento fondativo dello Stato. Allora è possibile una comunità formata solo da persone che la pensano allo stesso modo? Una comunità politica formata da un popolo che ha le stesse tradizioni e la stessa cultura? No, non è questa la sfida che ci attende. Il compito della politica è di creare luoghi in cui le differenze possano essere ricondotte a unità. La sfida è quindi il dialogo, è la ricerca di ciò che ci unisce e, al tempo stesso, il confronto sereno rispetto alle diversità che ci contraddistinguono.
Ma come dialogare, come trovare una sintesi? Che questo sia il tema centrale della politica dei prossimi anni lo si capisce sfogliando un qualsiasi quotidiano. L’Occidente troverà pace e futuro nella misura in cui saprà dialogare con il mondo islamico. Il nostro Paese ritroverà il proprio slancio nel momento in cui
generi, generazioni, religioni e appartenenze culturali diverse saranno capaci di comunicare proficuamente tra loro. Le forze politiche troveranno una propria stabilità solo se accetteranno realmente e seriamente un dialogo. A ben guardare, si potrebbe sintetizzare un buon manuale di politica semplicemente con questa parola, spesso utilizzata in modo inopportuno: dialogo.
E’ ben chiara una cosa: nel nostro Paese il dialogo su qualsiasi tema è bloccato. Per dialogare servono due soggetti che abbiano almeno due capacità sostanziali: quella di ascoltare e quella di raccontarsi.
Ascoltare è trovare il tempo per intendere le ragioni dell’altro. L’atteggiamento di ascolto non è mai passivo, non è un generico sentire. Ascoltare ha in sé lo sforzo, il tentativo di comprendere qualcosa che si discosta dal mio personale punto di vista, e che, per molti versi, rinnova la mia identità. Sull’ascolto della parola di Dio si fonda l’esperienza  di Abramo e del popolo di Israele. Ma sull’ascolto degli ultimi si fonda anche la vicenda politica di Giorgio La Pira e di molti altri testimoni della politica.
Ma se è difficile ascoltare, altrettanto difficile è raccontarsi: un punto spesso tenuto in poca considerazione quando si parla di dialogo. Non si può chiedere a qualcuno di ascoltare se prima non è capace di raccontare se stesso. La possibilità di dialogo tra le culture e le religioni in un tempo di globalizzazione passa proprio da qui.

[..] Ciò è possibile solo se si conosce il modo di comunicare dell’altro, la cultura, le espressioni, i modi di dire.

[..] Ecco allora l’importanza della figura del traduttore, dell’uomo in grado di gettare ponti tra una cultura e un’altra, proprio perché le conosce entrambe. Si dice che il traduttore è sempre un traditore. Certamente è un po’ vero. La traduzione è pur sempre un’interpretazione. Chi traduce traspone la forma e il pensiero di un testo nato in una lingua e in una cultura precisa, in qualcosa di totalmente diverso, figlio di un’altra lingua e di un’altra cultura. Quest’operazione, seppure un po’ traditrice, è oggi quanto mai fondamentale perché ci costringe a utilizzare tutte le nostre categorie per avvicinarci all’altro e tentare di comprenderlo; ci costringe a piegare, fin dove è possibile, il nostro linguaggio, le nostre conoscenze, la nostra cultura per tentare di farci capire dall’altro. Eppure tradurre è anche un modo di consentire ad altri il contatto vitale con quel che si vive, si legge, si pensa. C’è un immenso lavoro che abbiamo davanti con la cultura araba oppure con quella cinese, ancora più distante dalla nostra. Gli anni che verranno saranno gli anni della traduzione?

[..] Ma, dove dialogare? Servono luoghi dove riconnettere la politica con il territorio e con i cittadini.
Perché, invece, a lungo molti hanno predicato la totale separazione tra la sfera del pubblico e del privato, affermando l’autonomia dell’individuo rispetto allo Stato. Senza sapere che in gioco c’è il rapporto tra la persona e la comunità. Tra i diritti individuali e i diritti collettivi. Si fa un gran parlare dei diritti individuali, dimenticandosi che questi vanno a incardinarsi in una comunità, che ha il proprio centro sul noi e sull’io, sulla persona inserita in una trama di relazioni.
Questo problema il mondo classico l’aveva ben presente. Nel mondo greco era chiara la distinzione tra la sfera del privato, la famiglia, e quella del pubblico, il luogo cioè della politica, della polis. Tra questi due estremi si situava l’agorà, che aveva la funzione tutt’altro che insignificante di porli in relazione e di preservare così la vera autonomia della polis, evitando che il politico, la ragion di Stato, prendesse il sopravvento sulle ragioni dei cittadini, ed evitando così l’estremo opposto, ovvero che la società diventasse un insieme di individui senza politica, senza un pensiero e una prassi rivolti al bene comune.
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