da: http://www.glistatigenerali.com/
Il problema
non è la scissione tra voi, il problema è la scissione dall’Italia
di Jacopo
Tondelli
Va bene, la telenovela è arrivata al punto
finale, quello che più o meno tutti ci aspettavamo. Chi doveva andarsene –
Michele Emiliano, Roberto Speranza, Enrico Rossi, Massimo D’Alema, Pierluigi
Bersani, e altri – se ne va; chi doveva “tirare dritto” tira dritto.
Questo ad adesso, salvo colpi di scena che a questo punto rasenterebbero il
paranormale o, più normalmente, la farsa.
Il Pd si troverà in fretta riconsegnato
dall’iter congressuale e dalle primarie nelle mani di Matteo Renzi e dei suoi
scalmanati supporter. Renzi, a sua volta, sarà apparentemente “padrone” del suo
partito, ma certo quando ci sarà da stilare le liste elettorali non potrà dire
troppi no a chi è “rimasto con lui”, a cominciare da Dario Franceschini. Chi è
uscito adesso dovrà navigare nel mare aperto, ma invero già abbastanza solcato,
di partiti, movimenti, cartelli che da tempo si muovono alla sinistra del pd.
Per fare cosa, con quali prospettive, con quali compagni di viaggio? La
compagnia si restringerà o si allargherà? E ancora, più in generale, quando
toccherà a Paolo Gentiloni di dover “stare sereno”?
Domande alle quali troveremo risposta nei
prossimi mesi, mano a mano che il quadro troverà una sua composizione. Ben più
importanti però, sono le domande cui, probabilmente e purtroppo, non troveremo
risposta. Oppure, la risposta non ci piacerà. Perché è piuttosto chiaro che il
punto, ben più importante delle già troppo fortunate carriere della maggioranza
dei politici italiani, riguarda il futuro del nostro paese, dentro a un tempo
fosco come quello che viviamo e che vivremo. Fa un’impressione mortificante
vedere quanto l’intero dibattito del Pd – le “ragioni” di Renzi e le “ragioni”
dei suoi avversari – si sia svolto attorno a temi procedurali, a lingue
misteriche e non a modelli di sviluppo, a basamenti di idee, a interessi
rappresentati. E guardare in faccia la realtà più profonda – fatta di rancori
personali e di calcoli sui posti in lista e in parlamento – è perfino peggiore.
Come peggiore è lo scenario che porta il
paese e la sua governance pubblica al prossimo futuro. Il congresso “veloce”
sembrano scandire inevitabilmente i tempi che porteranno in fretta verso la fine
della legislatura, anticipata di qualche mese rispetto allo scadere naturale di
febbraio 2018. Con quale legge elettorale, e cambiata su quali assi politici e
sulla base di quali accordi? Ad oggi, tutto è impossibile. Dalle urne
difficilmente uscirà la possibilità di avere governi stabili, e la sostanziale
assenza di prospettiva progettuale in cui viviamo oggi – finita la stagione
delle mance renziane, sapientemente erogate con l’obiettivo di vincere il
referendum – quindi sarà prorogata. I mercati, che non si sono agitati per la
bocciatura della riforma costituzionale, con buona pace di tutte le cassandre
renziane, in quel caso si agiteranno davvero. Lo spread tornerà verosimilmente
a salire. Il mondo, tutto attorno, con Trump e le incognite delle prossime
elezioni in Europa, che ben conosciamo, potrà probabilmente contare su una
variabile problematica in più, cioè l’Italia. Ma i nostri eroi pensano a
regolare definitivamente i conti tra di loro, sperando ovviamente di non aver
sbagliato i propri.
Insomma, ben oltre e ben al di là la
scissione all’interno del primo partito italiano per rappresentanza
parlamentare, si è giocata in questi giorni, e si giocherà nei prossimi mesi,
una partita delicatissima per il paese e per l’Europa, e infine per il mondo. Una
partita delicata e rischiosa. I protagonisti non ne sembrano affatto
consapevoli. Beati loro, e poveri noi.
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