da: http://www.glistatigenerali.com/
- di
Jacopo Tondelli
L’ennesima storia in cui i torti si
restituiscono in fretta, e le ragioni invece sono in cerca di autore.
Oggi che i taxi hanno ripreso a circolare –
per la soddisfazione di quel 2% di popolazione che ne è fruitore abituale, con
un’importante quota di politici e giornalisti tra questi – è forse necessario
segnare qualche punto fermo. Riguarda il nostro passato, ben più lungo di ieri
e dell’altro ieri, e il nostro futuro che purtroppo non arriverà domani.
I taxisti
italiani sono una categoria che per lungo tempo è stata protetta dalla concorrenza, e per molte
ragioni “esentata” da controlli e legge. La politica a vari livelli ha
accettato, molti anni fa, la nascita di un mercato
delle licenze che a monte erano state concesse a titolo gratuito. Alcuni, pochi, ottenevano e ottengono le licenze per “concorso” gratuito dai comuni
e poi, però, possono cederle a titolo oneroso ad altri che vogliono subentrare.
Aver consentito questo meccanismo, autorizzando la cessione tra privati, è
stato uno dei peccati originali diventati insanabili perché oggi i tantissimi
taxisti
che hanno la licenza avendola strapagata (magari anche 200 mila euro)
non possono accettare di vederla svalutata. Sia detto per inciso: sono cose che
capitano nel mare aperto del mercato, per informazioni citofonare a chi ha
comprato una casa ai massimo di mercato nel 2005 e ha dovuto o voluto
rivenderla nel 2015. Ma andiamo oltre.
A rendere evidente l’insostenibilità del
meccanismo è stato l’arrivo sullo stesso mercato di nuovi attori dotati, nativamente, di tecnologia, di buone idee
imprenditoriali e di capitali. Il mix perfetto di quello che, nella storia,
ha costruito sempre una base solida per i cambiamenti radicali di paradigma.
L’aumentare di una concorrenza sostanzialmente non regolamentata, in una prima
fase, e comunque difficilmente comprimibile, in prospettiva, ha esacerbato gli
animi di una categoria che aveva considerato l’investimento iniziale,
necessario per la licenza, come un capitale a reddito sicuro, di fatto una
rendita garantita da un lavoro sostanzialmente privo di valore aggiunto. Una
riflessione più attenta avrebbe aiutato a capire che Uber e i servizi di ncc
sono solo una parte dell’erosione di quella rendita. Molto ha fatto la crisi, con conseguente compressione
della capacità di spesa di fruitori abituali e di aziende. Sicuramente anche ha
contribuito il diffondersi (virtuoso) del Car
sharing e – dove funzionano, come a Milano – di nuove reti di servizi pubblici. Ma certo, un punto era e resta
vero: aver consentito la nascita di un mercato delle rendite, aver sempre
accettato di mantenerlo nel tempo, ovviamente ingrossandolo, in cambio di una
rendita di tipo elettorale, è una colpa grave e riguarda la politica italiana,
quella romana in particolare, ben più grave di quella di aver protetto il
mercato con un numero di licenze che in realtà, almeno parzialmente e più per
Milano che per Roma, è allineato con quello di altre città europee. Aver
accarezzato l’idea di affidare a un gigante senza volto e con un’idea dei
diritti ancora tutta da capire, come Uber, la possibile soluzione di un
problema è poi una scorciatoia che non regge, proprio perché la grana non
sarebbe nata e cresciuta senza le colpe delle pubbliche amministrazioni, e del
legislatore.
È dunque chiaro che, per uscire da un
vicolo cieco, la politica nazionale
e quella locale, di qualunque
colore, dovrebbe da un lato riconoscere
gli errori di propria competenza e predisporsi a una soluzione che non può
che passare da un negoziato serio; e dall’altro, proprio con questo obiettivo,
dovrebbe mostrarsi inflessibile nei confronti di proteste inaccettabili nella
forma, come lo è sempre l’apologia del fascismo o, peggio, la violenza fisica e
materiale. Questi ingredienti, purtroppo, non li abbiamo visti nella cucina di
Virginia Raggi, ma neanche in quella di Graziano Delrio e del governo
nazionale. Speriamo che il prossimo menù li contempli, come serve contemplare
la complessità in questi tempi complicati. È difficile, quanto indispensabile.
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