da: http://www.internazionale.it/ - di Bernard Guetta, France Inter, Francia
Ci sono due modi di vedere le cose. La
prima, più confortante, è pensare che negli Stati Uniti i contropoteri
funzionano bene. Grazie ai due principali giornali statunitensi, il Washington
Post e il New York Times, i servizi si sicurezza hanno potuto spingere alle
dimissioni il più stretto collaboratore di Donald Trump, il consigliere per la
sicurezza nazionale Michael Flynn, che si era arrogato il diritto di ostacolare
la politica estera del suo paese quando il suo capo era solo il presidente
eletto mentre Barack Obama era ancora in carica.
Questa prospettiva è tanto più rassicurante
se pensiamo che allo stesso tempo una giustizia indipendente ha sospeso
l’applicazione del decreto presidenziale con cui Trump voleva vietare l’accesso
negli Stati Uniti a persone provviste di visti o permessi di soggiorno in
regola, solo perché provenienti da paesi a maggioranza musulmana.
Gli
Stati Uniti non sono la Cina né la Russia o la Turchia. Sono un paese dove vige
lo stato di diritto e un presidente non può fare come gli pare solo perché
eletto dalla maggioranza.
Una vicenda sbalorditiva
Questo
è il lato buono, ma c’è anche un rovescio della medaglia,
profondamente
inquietante. La storia dello spionaggio è piena di agenti che sono riusciti a
infiltrarsi fino ai più alti livello di uno stato per conto di una potenza
straniera. Durante la guerra fredda queste cose accadevano in Germania e nel
Regno Unito, ma non era mai accaduto che un generale (e non un agente
infiltrato), nel nostro caso il capo dei servizi d’informazione militari
Michael Flynn, si permettesse di contattare l’ambasciatore russo a Washington
per comunicargli che con Donald Trump sarebbero state cancellate le sanzioni
contro il suo paese imposte a causa delle interferenze russe nelle elezioni
presidenziali statunitensi.
Si
tratta di una vicenda sbalorditiva, per due motivi. Il primo è che a
condividere informazioni riservate con una potenza straniera è stato
addirittura il principale consulente di Trump e che sarebbe poi diventato il
suo consigliere per la sicurezza nazionale, incarico che fu di Henry Kissinger
e fondamentale per supervisionare la diplomazia, la difesa e i servizi
d’informazione negli Stati Uniti.
Si
tratta di una vicenda sbalorditiva, per due motivi. Il primo è che a
condividere informazioni riservate con una potenza straniera è stato
addirittura il principale consulente di Trump e che sarebbe poi diventato il
suo consigliere per la sicurezza nazionale, incarico che fu di Henry Kissinger
e fondamentale per supervisionare la diplomazia, la difesa e i servizi
d’informazione negli Stati Uniti.
“Michael Flynn ha telefonato
all’ambasciatore russo per dirgli di non prendere sul serio una decisione del
presidente in carica
Siamo vicini all’alto tradimento, ma c’è di
peggio. L’aspetto più preoccupante di tutta la vicenda è che Flynn abbia potuto
pensare che la notizia non sarebbe mai emersa, quando qualsiasi lettore di
romanzi di spionaggio sa benissimo che l’ambasciata russa a Washington (come
quella statunitense a Mosca) è piena di microspie e che l’ambasciatore non può
sostanzialmente avere una conversazione telefonica che non sia registrata.
Michael Flynn ha telefonato
all’ambasciatore russo per dirgli di non prendere sul serio una decisione del
presidente in carica. Delle due l’una: o il braccio destro scelto da Donald
Trump è affetto da un ritardo mentale, o si sentiva coperto dal futuro
presidente, lo stesso che secondo molti sarebbe ricattabile dai servizi segreti
russi. Il congresso adesso vuole vederci chiaro, ma è difficile dire quale
delle due opzioni sia la più sconfortante.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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