da: http://www.dazebaonews.it/ - di Roberto Bertoni
Non è nostra intenzione dare addosso a
Renzi sempre e comunque, qualunque cosa dica o faccia, anche perché sulla
questione dei migranti, tanto per citarne una, ha ragione lui e lo stesso
Juncker, ospite venerdì scorso a Roma, è stato costretto ad ammettere che
l'atteggiamento di quei paesi europei che stanno sospendendo in maniera
unilaterale Schengen è inqualificabile.
E ha dovuto ammettere anche che bisognerà
rivedere l'accordo di Dublino perché proprio non funziona, probabilmente non ha
mai funzionato, e oltretutto scarica sulle nazioni più fragili e in difficoltà
tutto il peso di un'emergenza che l'Europa può fronteggiare solo rimanendo
unita e recuperando i valori della solidarietà e della coesione sociale.
E qui si chiude la parte positiva e inizia
l'ampia parentesi negativa, almeno per Renzi, del viaggio a Roma del presidente
della Commissione europea. Checché ne dicano i trombettieri, i turiferari e i giannizzeri
al seguito, nel PD e in una parte della stampa, il colloquio fra i due è stato
infatti tutt'altro che chiarificatore. Diciamo che si sono confrontate due
debolezze e, visti i tempi, al pari dei pugili quando sono a corto di fiato e
di energie, hanno preferito
abbracciarsi al centro del ring, serrando i pugni
nella speranza di ritrovare le forze per assestare all'avversario il colpo del
KO.
Il guaio è che né l'uno né l'altro sanno a
chi darlo questo benedetto cazzotto, per il semplice motivo che Juncker sa di
non poter fare a meno dell'Italia (paese fondatore, troppo grande per fallire,
con investimenti sparsi in tutto il mondo e un'economia in affanno ma comunque
indispensabile per tenere a galla la nave europea, se non altro per i copiosi
contributi che le garantisce ogni anno) e Renzi, al netto delle sparate
propagandistiche che servono unicamente a contenere l'avanzata delle cosiddette
forze anti-europeiste, e dunque sono benedette innanzitutto dai vertici di
Bruxelles, sa benissimo che senza l'Europa la nostra sarebbe una zattera alla
deriva, con un'autonomia di qualche mese al massimo.
Pertanto, quello di venerdì è stato il
mesto ritrovo di due uomini obbligati a fare i conti con i propri fallimenti e
le proprie numerose contraddizioni, in quanto sulla Grecia hanno commesso
entrambi un drammatico errore ed entrambi devono fronteggiare i rispettivi
falchi, i quali da una parte hanno le sembianze dei paesi del Nord e dell'Est
Europa e dall'altra quelle di alleati imbarazzanti che condizionano, con il
proprio populismo e con l'assurda pretesa di veder attuato per intero il
proprio programma elettorale, un esecutivo che già di per sé non è restio ad
assecondare la pancia e gli istinti più bassi dell'elettorato.
Non a caso, la preoccupazione dei partner
europei si è appuntata proprio sul fisco, sull'elevato debito pubblico,
sull'inspiegabile abolizione tout court della TASI, che beneficia anche coloro
che potrebbero permettersi di pagarla, e su richieste di flessibilità che non
servono a favorire nuovi investimenti e, dunque, ad incentivare la crescita e
lo sviluppo del Paese bensì a coprire le mance elettorali del premier e a
garantirgli la sopravvivenza alle Amministrative e, soprattutto, la vittoria
che egli auspica nel referendum costituzionale d'autunno, dal quale dipendono
le sorti della sua carriera politica.
Al che si comprende meglio quale sia la
posta in gioco e il perché dei toni tutto sommato morbidi da parte dello stesso
plotone d'esecuzione che la scorsa estate ha costretto Tsipras alla resa: Renzi
non lo stimano affatto, i suoi modi di fare sono ritenuti fastidiosi e
arroganti ma mentre il presidente greco è visto come il fumo negli occhi, in
quanto è un uomo il cui intento è quello di provare a modificare sul serio lo
status quo liberista del Vecchio Continente, Renzi ai tecno-burocrati che fanno
il bello e il cattivo tempo va benissimo, in quanto è arcinoto che alza la voce
solo davanti ai microfoni e alle telecamere dei giornalisti italiani, salvo poi
eseguire pedissequamente gli ordini e mettersi a rimorchio della Merkel quando
si tratta di discutere ai tavoli nei quali si decidono le sorti dell'Europa.
Oltretutto, il quadro politico italiano non offre alcuna garanzia, con una
destra estrema e lepenista che intende mettere in discussione i capisaldi della
comunità europea, compresi quelli positivi sanciti dai padri fondatori, e un
movimento che vorrebbe contrastare sul serio i dogmi dell'austerity, dunque va
tenuto fuori dalla stanza dei bottoni ad ogni costo.
Pertanto, Renzi non piace ma al momento,
questo è il ragionamento di Juncker e degli altri membri della Commissione
europea, non esistono alternative credibili: e allora vada per la flessibilità,
passi lo smantellamento della Costituzione che piace tanto alla JP Morgan e di
sicuro non dispiace al fascistume sparso per l'Europa, si faccia buon viso a
cattivo gioco quando l'uomo di Rignano esonda e ricopre di contumelie la stessa
Commissione, si stenda un velo pietoso sui suoi rapporti, ormai tutt'altro che
positivi, con la Mogherini, della quale proprio lui aveva caldeggiato la nomina
a commissario agli Affari esteri, si speri che Moscovici e Padoan trovino
un'intesa accettabile sui conti pubblici italiani e si chiuda un occhio anche
su un debito pubblico esorbitante e su una propaganda stucchevole, destinata a
nascondere i dati reali secondo cui la crescita è anemica e, quel che è peggio,
non strutturale.
Meglio un cattivo governo amico che un buon
governo ostile ai nostri interessi: questa è la linea di Juncker e,
probabilmente, anche della Cancelliera.
Gli americani, con il pragmatico cinismo di
cui sono capaci, direbbero: "È un figlio di puttana, ma è il nostro figlio
di puttana", quindi deve essere sostenuto e coperto. Tanto a rimetterci,
nel caso in cui le cose dovessero andar male e la situazione dovesse diventare
insostenibile, saremmo solo noi italiani.
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