da: Il Sole 24 ore - di Armando Massarenti
Qualche
anno fa, nel 2009, Umberto Eco si prestò, insieme a molti altri scrittori e
intellettuali italiani al gioco degli autoepitaffi in un volume intitolato
«Meglio qui che in riunione». L'epitaffio che scrisse per sé era, come suo
solito, molto spiritoso: «Aspetta, aspetta», «Non posso, non posso».
Ieri
sera alle 22,30, nella sua casa milanese, la morte del più importante
intellettuale italiano del secondo dopoguerra, non ha potuto più aspettare,
privandoci di una voce che mancherà moltissimo a una cultura, quella italiana,
che egli forse più di chiunque altro ha contribuito a svecchiare e che ancora è
dominata da molti di quei tic che egli ha sapientemente combattuto e
smascherato.
Bibliofilo
quasi per caso, non per feticismo, ma perché interessato a consultare fonti di
prima mano sui temi del sapere che più gli interessavano, il medioevo
innanzitutto, Eco è stato il massimo esponente della cultura del libro, quello
tradizionale, cartaceo, ma è anche stato il primo curatore, già negli anni
Ottanta, di una delle prime Enciclopedie multimediali.
Benché
avesse esordito alla Rai, vincendo un concorso insieme a Furio Colombo e a
Gianni Vattimo, ed essendo assai noto come massmediologo, la cultura del libro
e la dimensione enciclopedica del sapere - che sovrintende anche il settore che
ha contribuito a fondare, la semiotica - sono il trait d'union di tutta la sua
immensa produzione, dalla tesi di laurea su «Il problema estetico in San
Tommaso d'Aquino» (con Pareyson, nel 1956) fino all'opera licenziata poco prima
di morire per la neonata casa editrice La Nave di Teseo, «Pape Satan Aleppe»
(la cui uscita in libreria è stata anticipata a sabato 27 febbraio). Una
produzione nella quale il megabestseller planetario «Il nome della rosa» (1980,
premio Strega, 50 milioni di copie vendute in tutto il mondo) rappresenta una
delle tante chiavi, anche se la più eclatante e la più nota, per introdurre il
lettore con grazia, humour e intelligenza ai reali processi della costruzione
del sapere. Un sapere entro il quale, nell'era di internet, bisogna saper
navigare armati proprio di quegli strumenti critici, figli della cultura del
libro, che Eco ha voluto fornire al lettore.
Ancora
oggi scritti come «Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche
contemporanee», 1962, «Apocalittici e integrati», 1964, «La struttura assente»,
«La definizione dell'arte», 1968 (e più recentemente le incursioni sulla
bellezza e sull'estetica del brutto), «Trattato di semiotica generale», 1975,
«Il superuomo di massa. Studi sul romanzo popolare», 1976, «Lector in fabula»,
1979 e molti altri, su su fino a un'opera filosofica di grande impegno come
«Kant e l'Ornitorinco» (vai alla recensione), 1997, seguito a
«I limiti dell'interpretazione» (1990) in cui si confrontava da par suo,
confutandolo, con il relativismo di Richard Rorty.
Di
tutta questa sterminata produzione accademica di sente un costante riverbero
nei romanzi. Dopo «Il nome della rosa, 1980,«Il pendolo di Foucault», 1988,
«L'isola del giorno prima», «Baudolino», 2000, «La misteriosa fiamma della
regina Loana. Romanzo illustrato» , 2004, «Il cimitero di Praga», 2010, fino
all'ultino «Numero zero», uscito all'inizio del 2015, più che un romanzo una
lunga lezione di giornalismo incentrata sull'analisi della mentalità
complottista (vai alla recensione).
Come
ha ricordato uno dei suoi allievi più noti, Stefano Bartezzaghi, Eco è stato
soprattutto un grande maestro e un grande professore universitario, oltre che
un grande organizzatore culturale. Era un mestiere che gli piaceva enormemente,
quanto la scrittura di calembour, parodie e di giochi di ogni genere con cui ci
ha deliziato con le Bustine di Minerva e, negli anni precedenti, con il «Diario
minimo» (1963) e i memorabili saggi ivi contenuti sulla fenomenologia di Mike
Bongiorno, l'elogio di Franti e il paradosso di Porta Lodovica. Dopo una lunga
vita in cui ha pubblicato tutte le sue opere importanti per Bompiani, è a un
altro paradosso, famoso nella storia della filosofia, che si riferisce la nuova
avventura editoriale che stava iniziando: La nave di Teseo. È questo tocco di
raffinato umorismo, legato anche alle imprese più serie, che ci mancherà di
questo straordinario «buon maestro».
Ripubblichiamo
di seguito due contributi recenti scritti per la Domenica del Sole 24 Ore dallo
scrittore appena scomparso
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