lunedì 22 febbraio 2016

Cinema, Orso di Berlino: vince Rosi con ‘Fuocoammare’, il cuore grande di Lampedusa

 

Foto ANSA/EPA
 
da: Corriere della Sera

Rosi vince l’Orso d’oro
Il successo di “Fuocoammare”
Il documentario sul dramma dei migranti a Lampedusa e sul difficile rapporto degli abitanti dell’isola con i nuovi arrivati ha commosso fin dalla prima proiezione. Il regista: Questo film non è un’inchiesta, è politico a prescindere. E richiama l’Europa alle sue responsabilità, forse per questo ha avuto un impatto così forte»
di Valerio Cappelli 

Ha vinto la Bell’Italia di Gianfranco Rosi, l’Orso d’Oro della Berlinale va a «Fuocoammare»: il dramma dei migranti, il cuore grande di Lampedusa. «Dedico il premio a tutte le persone che non sono riuscite ad arrivare su quest’isola nel loro viaggio della speranza, e ai lampedusani che dai primi sbarchi del 1991 accolgono chi scappa dalla fame e dalle guerre. È un posto di pescatori che accetta tutto quello che viene dal mare. Una lezione che dovrebbe essere imparata da tutti. Non è accettabile che la gente muoia in fuga dalle tragedie».

Meryl Streep dice che tutta la giuria da lei presieduta è rimasta «commossa da questo film che unisce politica e arte, e rappresenta tutto ciò che è il Festival di Berlino». È il palcoscenico ideale per il grido di dolore di Rosi, che ha sbancato con quattro premi: all’Orso d’oro vanno aggiunti quello ecumenico, quello di Amnesty International, e quello dei lettori del Morningpost. Gran premio della giuria a Danis Tanovic («Death in Sarajevo»), miglior regista Mia Hansen-Love («L’avenir»). Miglior attrice Trine Dyrholm («The Commune»), miglior attore Majd Mastoura («Hedi»).

Rosi, una giornata che non dimenticherà facilmente.
«Sì, nel pomeriggio, dopo i primi tre riconoscimenti, mi era venuta l’ansia. Questo film non è un’inchiesta, è politico a prescindere. E richiama l’Europa alle sue responsabilità, forse per questo ha avuto un impatto così forte. Per vent’anni l’Italia ha dovuto gestire gli sbarchi dei migranti in totale solitudine».

Le cose sono cambiate perché il quadro è mutato.
«Solo ora, con le masse di persone che si stavano muovendo, gli altri Paesi europei si sono accorti che esiste il problema. Quello che sta accadendo alle frontiere dell’Austria è vergognoso. Ci sono confini fisici e mentali. Se l’Europa non fa i conti con una politica sovranazionale sarà la fine di tutto».

Come ha costruito il film?
«Ci sono due storie parallele, l’isola e le migrazioni, e non si incontrano mai. È difficile creare un rapporto: oggi i migranti vengono fatti sbarcare di notte, salire su un autobus, accompagnati al centro di accoglienza. E dopo due-tre giorni vanno in altre destinazioni».

L’occhio pigro del protagonista, il piccolo Samuele, è la metafora della nostra pigrizia sui rifugiati?
«È piccolo, l’abbiamo portato fuori durante la scena dei morti. A quel momento lo spettatore deve arrivare attraverso il mondo interiore di Samuele, deve conquistarla quell’immagine. Quando lui va con la torcia nella natura è la metafora della fiaba, è il suo romanzo di formazione: la sua difficoltà a crescere, e la nostra difficoltà a cogliere quella realtà. Samuele mi ha detto che dopo essersi visto nel film non mangia più gli spaghetti tirandoli su ad uno ad uno facendo rumore».

Paolo Taviani dice che lei ha una capacità alla Antonioni per le sequenze lunghe.
«Sono lusingato e imbarazzato… I tempi dei miei film sono quelli dei miei personaggi: so dove partono ma non so dove arrivano. Sono incontri con luoghi che poi si riflettono nei personaggi, e più la storia aderisce alla loro intimità, più è profonda, e più facilmente può raggiungere la verità».

Non filtra mai un raggio di sole.
«Tutti i miei film sono così, o interni, o esterni con le nuvole. L’ultima luce del giorno ti dà supporto per il mistero delle cose».

Ha vinto anche la nobiltà della causa?
«Solo sei mesi fa sarebbe stato colto in maniera diversa. Non ho voluto dare soluzioni. Dopo le immagini di una tragedia che ho visto e che nessuno ha raccontato, perché era Ferragosto, ho avuto una rottura emotiva, mi sono detto che il film andava consegnato. La morte mi è arrivata addosso».

Dopo Venezia (Sacro Gra, 2013), questi premi a Berlino con un altro documentario.
«Fortunatamente non c’è più l’idea punitiva del film-inchiesta. Io comunque uso il linguaggio del cinema»

A quale politico vorrebbe far vedere il film?
«A tutti. Ma soprattutto a quello “cattivo”, Matteo Salvini».

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