lunedì 1 febbraio 2016

Il sistema bancario italiano: tutti i guai di UBI Banca che deve salvare (con l’ok di Renzi) il Monte dei Paschi di Siena



da: Libero - di Giacomo Amadori e Leonardo Piccini

Ubi, l’istituto fondato da Bazoli, è nel mirino di 4 Procure. Per i dirigenti accuse di truffa, riciclaggio, associazione a delinquere, influenza illecita. Il caso dei finanziamenti a società fallite e agli «amici»

 
Non sono bastate le proteste dei risparmiatori della Popolare dell’Etruria a consigliare maggiore prudenza al premier Matteo Renzi e al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Infatti per salvare il disastrato istituto senese del Monte dei Paschi di Siena hanno bussato alla porta di Victor Massiah, l’amministratore delegato di UBI Banca, la terza banca commerciale italiana. Che con la fusione raggiungerebbe sì 3.750 sportelli, ma anche, stimano gli analisti, un deficit patrimoniale di 2 miliardi. Ubi non è una banca qualunque: è strettamente collegata al banchiere Giovanni Bazoli che di Ubi è stato il fondatore, membro del consiglio di sorveglianza e, secondo alcune inchieste, burattinaio delle nomine della governance attraverso patti parasociali occulti. Il tutto mentre era presidente del consiglio di sorveglianza pure di una banca concorrente, Intesa San Paolo. 



Bazoli è il campione di quel “capitalismo di relazione” che negli ultimi mesi
Renzi, a parole, ha bocciato senza appello. Ora il governo chiede aiuto alla «Bazoli’s Bank» (definizione di Mario Giordano). Una decisione che presto potrebbe creare qualche imbarazzo, pure in Borsa. Infatti Ubi e i suoi vertici negli ultimi mesi sono finiti sotto indagine in almeno quattro procure: Milano, Bergamo, Cuneo e Pisa. Gli inquirenti impegnati da più tempo sono quelli orobici: il pm Fabio Pelosi ha praticamente chiuso le sue investigazioni (il 28 gennaio e il 23 marzo le date di scadenza delle ultime due proroghe).

Nel maggio del 2014 quindici dirigenti, da Massiah, a Bazoli, da Franco Polotti (presidente del consiglio di gestione) al suo predecessore Emilio Zanetti, sono stati sottoposti a perquisizione per reati diversi, dalla truffa al riciclaggio, dalla violazione della norma che regola il conflitto di interessi all’ostacolo all’attività di vigilanza. In particolare il sostituto procuratore Pelosi nel decreto parlava «di una serie di condotte illecite tese a sottrarre beni societari in danno del medesimo gruppo bancario». Nel febbraio del 2015 le Fiamme gialle sono nuovamente intervenute, questa volta per illecita influenza sull’assemblea, contro gli stessi Massiah, Bazoli, Zanetti, Polotti e altri diciassette. Il fascicolo che accorpa i due filoni non è ancora stato chiuso. «Le indagini sono in fase di proroga» confermano in procura. E le imminenti scadenze dei termini? «Teoricamente si potrebbe andare avanti per giusta causa, ma a questo punto l’indagine è completa. La stiamo concludendo di fatto e di diritto». Parole che lasciano presagire un prossimo avviso di chiusura indagini, propedeutico a una richiesta di rinvio a giudizio.

Ma se la procura di Bergamo è in dirittura di arrivo, quella di Milano il 3 dicembre scorso ha inviato gli uomini del Nucleo valutario della Guardia di finanza negli uffici della Iw bank private investments del gruppo Ubi per consegnare 12 avvisi di garanzia e chiedere informazioni sulle operazioni di diverse società. Le accuse sono di «associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio» e di «omessa adeguata verifica alla clientela». La stessa banca è inserita nel registro degli indagati per autoriciclaggio. Sedici milioni di euro di dubbia provenienza sarebbero stati impiegati per finanziare operazioni di trading online su conti correnti intestati a società con sede in sperduti paradisi fiscali. Dopo l’ispezione i finanzieri stanno continuando a far visita a Iw bank settimanalmente. Qualcuno si domanderà se Renzi e Padoan siano informati di queste indagini così invasive. La risposta dovrebbe essere sì.

Il 21 dicembre scorso l’Associazione azionisti di Ubi Banca, presieduta dall’ex parlamentare Giorgio Jannone, ha inviato una lettera-denuncia a Renzi, Padoan, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ai ministri Angelino Alfano e Andrea Orlando, al sottosegretario Claudio De Vincenti, al presidente della Bce Mario Draghi, ai vertici della Banca d’Italia e agli organi di vigilanza. All’interno il dettagliato promemoria delle indagini in corso. Jannone giustifica così la sua iniziativa: «Dobbiamo tutelare gli interessi di oltre 150 mila azionisti di ogni estrazione sociale, verificando, una a una, le delibere assunte negli anni passati e tutti i danni eventualmente causati ai soci». Uno di reati contestati ai vertici è l’influenza illecita sull’assemblea.

Una vicenda che l’ex deputato conosce in prima persona in quanto partecipò con una sua lista, sconfitta, all’ultima elezione del cda: «Gli attuali amministratori, tuttora inspiegabilmente alla guida di Ubi banca, sono stati “eletti” nell’ambito di una assemblea dei soci, definita dagli organi inquirenti “svolta in maniera del tutto irregolare” tramite “atti simulati o fraudolenti con un “reclutamento serrato(…) finalizzato alla conservazione del potere” mediante la configurazione di un sistema di deleghe in bianco o palesemente false dirette a precostituire la necessaria maggioranza nelle assemblee”, con “costi rimasti a carico della Banca, con distrazione di risorse rispetto all’ordinaria attività».
Nella lettera segue un lungo elenco di sanzioni disposte da Consob e dall’Autorità di vigilanza per i più svariati motivi. Per Jannone, però, i responsabili, alcuni «reiteratamente sanzionati», non solo non sono stati rimossi dagli incarichi ricoperti, ma alcuni sarebbero stati addirittura “promossi”. Per esempio alcuni consiglieri di amministrazione e un revisore della «disastrata Ubi leasing o dell’indagata Iw Bank» sono entrati nel consiglio di sorveglianza della capogruppo, mentre un altro è diventato presidente del cda di una delle principali banche controllate.

C’è poi la questione dei paradisi fiscali, in contraddizione con i principi etici del “bilancio sociale” di una banca di matrice cattolica qual è Ubi. L’istituto risulterebbe nell’elenco delle 340 multinazionali che hanno sottoscritto accordi “elusivi” con il Granducato di Lussemburgo e primeggerebbe per numero sedi in paesi a fiscalità privilegiata (dieci società in Lussemburgo, otto in Delaware, due nel Baliato di Jersey, quattro in Svizzera).
Al conto Jannone aggiunge «le opache e numerose operazioni finanziarie intrattenute con soggetti aventi base nelle Isole Vergini, nelle isole Cayman, alle Seychelles, a Cipro, a Madeira» e «la rilevanza delle transazioni dedicate al commercio di armamenti». In più gli specialisti della Guardia di finanza starebbero indagando anche su un nuovo e scottante capitolo: «Sta emergendo una fittissima rete, a dir poco inquietante, di società e fondazioni con sede in paesi “black list” e in paradisi fiscali, dedita a compiti delicatissimi, quali la cartolarizzazione dei crediti, per valori pari a decine di miliardi di euro o la gestione di operazioni finanziarie offshore, potenzialmente elusive rispetto alla vigente normativa fiscale», si legge nella lettera dell’associazione dei piccoli azionisti. Dove vengono menzionate pure le «rilevantissime operazioni anche in conflitto di interessi» e «i default balzati agli onori della cronaca nazionale che hanno causate perdite per miliardi di euro».
 L’elenco delle società in crisi a cui sono stati concessi finanziamenti è lunghissimo: si va dall’Ospedale San Raffaele all’Istituto dermopatico dell’Immacolata, da Carlo Tassara a Burani, da Rimini yacht a Eutelia, per non parlare delle sofferenze di Ubi leasing (il jet di Lele Mora del valore di 1,8 milioni è stato svenduto a 60 mila euro) e Ubi factor, perdite spesso aggravate, secondo la magistratura, da «una complessiva gestione patronale e familistica dell’istituto bancario da parte dei membri dei suoi organismi di vertice».
Diversi prestiti mai restituiti sarebbero finiti ad aziende riconducibili al presidente del comitato di gestione Polotti, il quale si sarebbe schermato attraverso delle fiduciarie, mente uno yacht di 36 metri, pagato dalla banca 12 milioni di euro, sarebbe stato ceduto per 3,5 milioni a soggetti vicini ad altri amministratori. Adesso questi signori sono chiamati dal governo a salvare Mps.

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