da: Libero - di
Giacomo Amadori e Leonardo Piccini
Ubi,
l’istituto fondato da Bazoli, è nel mirino di 4 Procure. Per i dirigenti accuse
di truffa, riciclaggio, associazione a delinquere, influenza illecita. Il caso
dei finanziamenti a società fallite e agli «amici»
Non sono bastate le proteste dei
risparmiatori della Popolare dell’Etruria a consigliare maggiore prudenza al
premier Matteo Renzi e al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Infatti per
salvare il disastrato istituto senese del Monte dei Paschi di Siena hanno
bussato alla porta di Victor Massiah, l’amministratore delegato di UBI Banca,
la terza banca commerciale italiana. Che con la fusione raggiungerebbe sì 3.750
sportelli, ma anche, stimano gli analisti, un deficit patrimoniale di 2
miliardi. Ubi non è una banca qualunque: è strettamente collegata al banchiere
Giovanni Bazoli che di Ubi è stato il fondatore, membro del consiglio di
sorveglianza e, secondo alcune inchieste, burattinaio delle nomine della
governance attraverso patti parasociali occulti. Il tutto mentre era presidente
del consiglio di sorveglianza pure di una banca concorrente, Intesa San Paolo.
Bazoli è il campione di quel “capitalismo
di relazione” che negli ultimi mesi
Renzi, a parole, ha bocciato senza appello.
Ora il governo chiede aiuto alla «Bazoli’s Bank» (definizione di Mario
Giordano). Una decisione che presto potrebbe creare qualche imbarazzo, pure in
Borsa. Infatti Ubi e i suoi vertici negli ultimi mesi sono finiti sotto
indagine in almeno quattro procure: Milano, Bergamo, Cuneo e Pisa. Gli
inquirenti impegnati da più tempo sono quelli orobici: il pm Fabio Pelosi ha
praticamente chiuso le sue investigazioni (il 28 gennaio e il 23 marzo le date
di scadenza delle ultime due proroghe).
Nel maggio del 2014 quindici dirigenti, da
Massiah, a Bazoli, da Franco Polotti (presidente del consiglio di gestione) al
suo predecessore Emilio Zanetti, sono stati sottoposti a perquisizione per
reati diversi, dalla truffa al riciclaggio, dalla violazione della norma che
regola il conflitto di interessi all’ostacolo all’attività di vigilanza. In
particolare il sostituto procuratore Pelosi nel decreto parlava «di una serie
di condotte illecite tese a sottrarre beni societari in danno del medesimo
gruppo bancario». Nel febbraio del 2015 le Fiamme gialle sono nuovamente
intervenute, questa volta per illecita influenza sull’assemblea, contro gli
stessi Massiah, Bazoli, Zanetti, Polotti e altri diciassette. Il fascicolo che
accorpa i due filoni non è ancora stato chiuso. «Le indagini sono in fase di
proroga» confermano in procura. E le imminenti scadenze dei termini? «Teoricamente
si potrebbe andare avanti per giusta causa, ma a questo punto l’indagine è
completa. La stiamo concludendo di fatto e di diritto». Parole che lasciano
presagire un prossimo avviso di chiusura indagini, propedeutico a una richiesta
di rinvio a giudizio.
Ma se la procura di Bergamo è in dirittura
di arrivo, quella di Milano il 3 dicembre scorso ha inviato gli uomini del
Nucleo valutario della Guardia di finanza negli uffici della Iw bank private
investments del gruppo Ubi per consegnare 12 avvisi di garanzia e chiedere
informazioni sulle operazioni di diverse società. Le accuse sono di «associazione
per delinquere finalizzata al riciclaggio» e di «omessa adeguata verifica alla
clientela». La stessa banca è inserita nel registro degli indagati per autoriciclaggio. Sedici milioni di euro
di dubbia provenienza sarebbero stati impiegati per finanziare operazioni di
trading online su conti correnti intestati a società con sede in sperduti
paradisi fiscali. Dopo l’ispezione i finanzieri stanno continuando a far visita
a Iw bank settimanalmente. Qualcuno si domanderà se Renzi e Padoan siano
informati di queste indagini così invasive. La risposta dovrebbe essere sì.
Il 21 dicembre scorso l’Associazione azionisti di Ubi Banca, presieduta dall’ex parlamentare
Giorgio Jannone, ha inviato una lettera-denuncia a Renzi, Padoan, al presidente
della Repubblica Sergio Mattarella, ai ministri Angelino Alfano e Andrea
Orlando, al sottosegretario Claudio De Vincenti, al presidente della Bce Mario Draghi, ai vertici della Banca d’Italia e
agli organi di vigilanza. All’interno il dettagliato promemoria delle
indagini in corso. Jannone giustifica così la sua iniziativa: «Dobbiamo
tutelare gli interessi di oltre 150 mila azionisti di ogni estrazione sociale,
verificando, una a una, le delibere assunte negli anni passati e tutti i danni
eventualmente causati ai soci». Uno di reati contestati ai vertici è l’influenza
illecita sull’assemblea.
Una vicenda che l’ex deputato conosce in
prima persona in quanto partecipò con una sua lista, sconfitta, all’ultima
elezione del cda: «Gli attuali
amministratori, tuttora inspiegabilmente alla guida di Ubi banca, sono
stati “eletti” nell’ambito di una assemblea dei soci, definita dagli organi
inquirenti “svolta in maniera del tutto irregolare” tramite “atti simulati o
fraudolenti con un “reclutamento serrato(…) finalizzato alla conservazione del
potere” mediante la configurazione di un sistema di deleghe in bianco o
palesemente false dirette a precostituire la necessaria maggioranza nelle
assemblee”, con “costi rimasti a carico
della Banca, con distrazione di risorse rispetto all’ordinaria attività».
Nella lettera segue un lungo elenco di sanzioni disposte da Consob e dall’Autorità
di vigilanza per i più svariati motivi. Per Jannone, però, i responsabili, alcuni «reiteratamente
sanzionati», non solo non sono stati rimossi dagli incarichi ricoperti, ma alcuni
sarebbero stati addirittura “promossi”. Per esempio alcuni consiglieri di amministrazione e un revisore della «disastrata Ubi leasing
o dell’indagata Iw Bank» sono entrati nel consiglio di sorveglianza
della capogruppo, mentre un altro è diventato presidente del cda di una delle principali banche controllate.
C’è poi la questione dei paradisi fiscali, in contraddizione con
i principi etici del “bilancio sociale” di una banca di matrice cattolica qual
è Ubi. L’istituto risulterebbe nell’elenco
delle 340 multinazionali che hanno sottoscritto accordi “elusivi” con il Granducato di Lussemburgo e
primeggerebbe per numero sedi in paesi a fiscalità privilegiata (dieci società
in Lussemburgo, otto in Delaware, due nel Baliato di Jersey, quattro in
Svizzera).
Al conto Jannone aggiunge «le opache e numerose operazioni finanziarie
intrattenute con soggetti aventi base nelle Isole Vergini, nelle isole Cayman,
alle Seychelles, a Cipro, a Madeira» e «la rilevanza delle transazioni dedicate
al commercio di armamenti». In più gli specialisti della Guardia di finanza
starebbero indagando anche su un nuovo e scottante capitolo: «Sta emergendo una
fittissima rete, a dir poco inquietante, di società e fondazioni con sede in
paesi “black list” e in paradisi fiscali, dedita a compiti delicatissimi, quali
la cartolarizzazione dei crediti, per valori pari a decine di miliardi di euro
o la gestione di operazioni finanziarie offshore, potenzialmente elusive
rispetto alla vigente normativa fiscale», si legge nella lettera dell’associazione
dei piccoli azionisti. Dove vengono menzionate pure le «rilevantissime
operazioni anche in conflitto di interessi» e «i default balzati agli onori
della cronaca nazionale che hanno causate perdite per miliardi di euro».
L’elenco
delle società in crisi a cui sono stati concessi finanziamenti è lunghissimo:
si va dall’Ospedale San Raffaele all’Istituto dermopatico dell’Immacolata,
da Carlo Tassara a Burani, da Rimini yacht a Eutelia, per non parlare delle sofferenze di Ubi leasing (il jet di Lele Mora del valore di 1,8
milioni è stato svenduto a 60 mila euro) e Ubi
factor, perdite spesso aggravate, secondo la magistratura, da «una complessiva
gestione patronale e familistica dell’istituto bancario da parte dei membri dei
suoi organismi di vertice».
Diversi prestiti mai restituiti sarebbero finiti ad aziende riconducibili al presidente del comitato di gestione Polotti,
il quale si sarebbe schermato attraverso
delle fiduciarie, mente uno yacht di 36 metri, pagato dalla banca 12
milioni di euro, sarebbe stato ceduto per 3,5 milioni a soggetti vicini ad
altri amministratori. Adesso questi signori sono chiamati dal governo a salvare
Mps.
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