da: http://www.linkiesta.it/it/
Il
rapporto di Save The Children denuncia: il futuro dei ragazzi è affidato a una
“lotteria sociale”
Marta ha 14 anni, vive a Bari e da meno di
un mese ha cominciato le scuole superiori. Fino ad ora farla studiare è stata
una vera e propria impresa per la sua famiglia. Il padre fa il rottamaio, come
dice nel video realizzato da Save The Children in esclusiva per Linkiesta. Un
guadagno troppo basso («10, 20 euro… massimo 30 euro», racconta il padre) anche
solo per comprare libri o per far sì che Marta possa andare in gita con gli
amici o frequentare corsi extrascolastici.
Nella «buona scuola» di Matteo Renzi e
Stefania Giannini, al di là degli annunci, c’è anche questo. Perché fare
scuola, significa, soprattutto oggi, garantire a bambini e ragazzi quelle
«competenze cognitive indispensabili per farsi strada in un mondo sempre più
caratterizzato dall’economia della conoscenza, dalla rapidità delle
innovazioni, dalla velocità delle connessioni», come ci dicono direttamente
dall’associazione umanitaria che, a riguardo, ha stilato un dettagliato
dossier.
Parliamo di «povertà educativa», ovvero
della privazione delle competenze necessarie ai bambini e agli adolescenti per
crescere e vivere. Un dettaglio non da poco, se è vero che l’educazione è la
chiave per poter comprendere e interpretare la realtà in cui viviamo.
La situazione in Italia
Secondo i test Pisa (Programme for
International Student Assessment, il programma internazionale promosso
dall’Ocse che permette di valutare la capacità degli studenti di applicare alla
vita di tutti i giorni ciò che apprendono dietro i banchi di scuola), in Italia
il 24,7% degli alunni di 15 anni non supera il livello minimo di competenze in
matematica e il 19,5% in lettura.
In altre parole, un bambino su 4 «non è in grado di ragionare in modo matematico,
utilizzare formule, procedure e dati, per descrivere, spiegare e prevedere
fenomeni», mentre un bambino su 5
non è in grado di «analizzare e comprendere il significato di ciò che hanno
appena letto». Un risultato tutto fuorché encomiabile, considerando che il
nostro Paese si colloca al ventiquattresimo posto su 34 Paesi Ocse nella
classifica che misura il livello di competenze minime di bambini e ragazzi. In
Europa va ancora peggio, dato che ci posizioniamo solo prima di Portogallo,
Svezia e Grecia.
Interessante il raffronto, poi, per aree
geografiche. Al Sud, infatti, le stime raccolte da Save The Children peggiorano
inesorabilmente. Se al Nord e nel Centro Italia la percentuale di
adolescenti che non raggiungono le competenze minime in matematica si attesta
tra il 23,2 (Liguria) ed il 13 per cento (Friuli), al Sud e nelle Isole
saliamo fino a raggiungere il 46 per cento della Calabria e il 37 della
Sicilia. Situazione analoga per i livelli minimi in lettura: al Nord-Ovest il
22 per cento dei minori è in povertà educativa, al Sud si viaggia su una media
di oltre il 30%.
Ma non è finita qui. Altro dato su cui
bisognerebbe riflettere è relativo alle disuguaglianze
di genere associate al contesto
geografico. Ancora una volta, il Sud non esce bene dal confronto. Le
ragazze meridionali sono maggiormente svantaggiate, sia in matematica che in
lettura, rispetto alle loro coetanee settentrionali.
Prendiamo le competenze in matematica. La
percentuale delle ragazze che non raggiungono la soglia minima è del 32 per
cento al Sud, esattamente il doppio delle regioni settentrionali (16 per cento)
e assai di più che al Centro (20%). E i ragazzi? Stesso discorso: il 28 per
cento di loro non raggiunge le competenze minime in matematica. E anche qui
parliamo esattamente del doppio del dato registrato al Nord (14%).
Status
socio-economico e origine migrante
La storia di Marta, raccontata nel video, è
eloquente. Specie perché, esattamente come nel suo caso, lo status
socio-economico della famiglia è spesso causa di povertà cognitiva. Basti
pensare che circa un terzo dei minori di 15 anni che vivono in famiglie con un
più basso livello socio-economico e culturale (appartenendo al primo quinto o
20% delle famiglie più disagiate), non raggiunge i livelli minimi di competenza
in matematica e lettura.
Ma non basta. Le differenze di reddito dei
genitori incidono anche sulla possibilità di fruire di diversi stimoli
ricreativi e culturali. I minori che non accedono ad attività ricreative,
sportive, formative o culturali toccano quota 64%. Un numero altissimo, che
diventa impressionante in Campania (84%), Sicilia (79%) e Calabria (78%). In
particolare, il 48,4% dei minori tra 6 e 17 anni non ha letto neanche un libro
nell’anno precedente, il 69,4% non ha visitato un sito archeologico e il 55,2%
un museo, mentre il 45,5% non ha svolto alcuna attività sportiva.
La nostra analisi, però, non finisce qui.
Stando ai dati, un altro fattore determinante per la povertà cognitiva è l’origine
migrante dei genitori. I ragazzi di 15 anni figli di migranti soffrono
maggiormente questo fenomeno. In particolare, ben il 41% dei minori figli di
genitori migranti e non nati in Italia (migranti di prima generazione) non
raggiunge i livelli minimi di competenze in matematica e lettura. Tale
percentuale scende al 31% in matematica e al 29% in lettura per i cosiddetti
ragazzi di seconda generazione nati in Italia da genitori stranieri, e si
dimezza ulteriormente per i quindicenni non migranti (il 19% in matematica e il
15% in lettura).
In sintesi, conclude Save The Children, «i
bambini e gli adolescenti nati in famiglie svantaggiate hanno minori
probabilità di raggiungere le competenze minime necessarie per crescere e
lavorare nel mondo di oggi e hanno anche meno possibilità di arricchirsi
attraverso la cultura e lo sport».
Scuola
italiana: bocciata
Una situazione, dunque, profondamente
problematica e per la quale occorrerebbe una pronta soluzione. L’ingiustizia
della diseguaglianza, infatti, sta proprio «nel lasciare che il futuro dei
ragazzi sia determinato da una ‘lotteria sociale’: dalla provenienza sociale,
geografica, migratoria, spesso anche di genere». Ed è esattamente a questo
compito che la scuola italiana da troppo tempo rinuncia.
Partiamo dagli asili nido. Se l’obiettivo
Ue per il 2020 parla di una soglia minima da raggiungere per i servizi dedicati
ai bambini tra 0 e 2 anni fissata al 33% per Paese, l’Italia è ancora molto
indietro, dato che si attesta al 13,5%. Le differenze per regioni sono
abissali: se nel caso dell’Emilia Romagna e della Valle d’Aosta il target del
33% entro il 2020 è a portata di mano (sono oggi al 27%), in regioni quali
Calabria, Campania e Puglia non può che essere un miraggio, dato che la presa
in carico non supera il 5%. Stesso discorso anche per “insospettabili” regioni
come Veneto e Piemonte, ferme al 15%.
Saliamo con l’età e arriviamo alla scuola
elementare. «L’offerta educativa di qualità nella scuola – dicono ancora da
Save The Children – si misura innanzitutto attraverso il numero di classi che
garantiscono il tempo pieno», intendendolo sia in riferimento al numero di ore
per le attività didattiche, sia a quello per le attività extra-curricolari
(musica, teatro, sport e via dicendo), e per il sostegno ai bisogni educativi
speciali.
Anche in questo caso, il dato è desolante:
in media circa il 70% delle classi della scuola primaria non offre il tempo
pieno. Solo la Basilicata vanta un’offerta di poco superiore al 50%, mentre in
Molise, Sicilia, Campania, Abruzzo e Puglia più dell’80% delle classi non
garantisce l’orario lungo. Stesso discorso anche al Nord, con il Veneto che
tocca quota 74% e la Liguria il 60. Andrà meglio con la scuola media? Niente
affatto. Anzi, il saldo negativo è addirittura maggiore dato che il tempo pieno
è un miraggio nell’80% delle classi italiane. Clamoroso il dato molisano: il
99% delle scuole non lo assicura.
Mense,
biblioteche, Internet: miraggi e nulla più
E per quanto riguarda i servizi? Peggio che
peggio. Nell’era digitale, come detto d’altronde dagli stessi Renzi e Giannini
a più riprese, è essenziale preparare sin da piccoli gli studenti alle nuove
tecnologie. Peccato però che in diverse regioni italiane da Sud a Nord la
percentuale di aule didattiche disconnesse superi il 30% (Basilicata, Piemonte,
Veneto, Lazio e Friuli), mentre in Calabria sfiora il 40%.
Per lo meno ci sono i buon vecchi libri
cartacei, si penserà. E invece no. Anche per quanto riguarda le biblioteche non
brilliamo, dato che, nella stragrande maggioranza dei casi, il servizio è
sottodimensionato o poco accessibile. Per non parlare, infine, delle mense. Da
un lato, troviamo regioni dove il servizio è assente in quasi un terzo delle
istituzioni scolastiche, tra cui Liguria (29%), Lombardia (27%) e Piemonte
(27%); dall’altro abbiamo regioni nelle quali il servizio non è presente in
circa metà degli istituti, come capita in Sicilia (49%), Campania (51%) e
Puglia (53%). Insomma, così messa, tra povertà educativa e dis-servizi, la
scuola oggi tanto “buona” non è.
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